Erone d’Alessandria, questo sconosciuto. Forse, chi studia matematica e geometria lo ricorda per la formula che consente di trovare l’area di un triangolo in funzione dei lati.
Erone di Alessandria come immaginato in una stampa del 1688
Di Erone si sa veramente poco, non è certo nemmeno il periodo in cui visse: forse nel I secolo a.C, forse nel III d.C, più probabilmente nel I, tra gli anni 10 e il 70 d.C. Eppure fu uno dei più grandi ingegneri e matematici della sua epoca, direttore della prestigiosa “scuola meccanica” di Alessandria, all’interno di due fondamentali luoghi di studio e insegnamento dell’antichità: il Museo e la Biblioteca di Alessandria.
Disegno del volto di Erone da un’edizione tedesca della Pneumatica – 1688
Erone studia le scoperte di Ctesibio, inventore tra l’altro dell’orologio ad acqua e dell’organo a canne, di Euclide, di Archimede.
Il matematico/ingegnere sviluppa numerose invenzioni che oggi si potrebbero considerare “strabilianti” per l’epoca, ma che in realtà, a guardar bene, non lo erano affatto. Già intorno al 200 a.C. Archimede di Siracusa aveva inventato una macchina da guerra che faceva uso della forza del vapore, e che poi Leonardo Da Vinci chiamerà architronio: “una macchina di fine rame, invenzione di Archimede, e gitta ballotte di ferro con grande strepito e furore”, mentre Filone di Bisanzio aveva usato quella stessa forza per far funzionare una sirena nel Faro di Alessandria.
Ricostruzione dell’eolipila di Erone
Presumibilmente intorno al 50 d.C, Erone progetta e realizza la prima macchina a vapore di cui si abbia certezza, l’eolipila, dove l’energia del vapore consente il movimento rotatorio di una sfera, antichissimo precursore della turbina idraulica.
Replica moderna dell’eolipila
Ai tempi di Erone, l’eolipila non è altro che un oggetto divertente, volto a creare stupore, così come molte altre sue invenzioni: giochi, uccellini che cantano, un distributore automatico di acqua e vino, un teatrino meccanico dove si svolge uno spettacolo di una decina di muniti con automi mossi da ruote dentate, fino a un dispositivo, chiamato “macchina di Erone”, che apre le porte del Tempio di Serapide automaticamente, quando un fuoco viene acceso sull’altare.
Macchina di Erone
Immagine condivisa via Wikipedia con licenza CC BY-SA 3.0
Le conoscenze di Erone e dei suoi predecessori avrebbero potuto portare a uno sviluppo della tecnica, in funzione utilitaristica, che in realtà non avviene.
Perché gli antichi greci non usano le loro conoscenze per scopi pratici?
La spiegazione sta tutta nella loro concezione filosofica della vita e della natura: Platone e Aristotele considerano negativamente le speculazioni volte all’utilità:
“Man mano che venivano scoperte sempre più arti [technai], alcune relative alle necessità e altre ai passatempi, gli inventori di questi ultimi erano sempre considerati più saggi degli inventori delle prime, perché la loro conoscenza non era orientata verso l’utilità.” (Aristotele, Metafisica).
Più importante dello “sperimentare” e dell’abilità tecnologica è la comprensione teorica dei concetti e delle leggi della natura, anche se in realtà poi ci sono delle applicazioni pratiche, come il meccanismo di Anticitera, il dispositivo a vite di Archimede o il planetario, etc… Eppure, lo scienziato di Siracusa considerava le sue invenzioni pratiche assai meno importanti degli studi di geometria e matematica.
Ricostruzione moderna di un organo a vento di Erone
Lo studio della matematica e della geometria era una ricerca speculativa orientata a una conoscenza filosofica dell’ordine dell’universo, una comprensione del mondo senza nessun interesse per le applicazioni pratiche:
“Un’indagine adeguatamente disciplinata sulla natura potrebbe portare a una più piena comprensione delle questioni morali da cui dipendevano le questioni di giustizia nella comunità. Il valore pratico di tale indagine era quindi principalmente morale.” (Ian Johnston, Ancient and Moderne Science: Some Observation)
De Automatis – 1589
L’altro motivo per il mancato sviluppo della tecnologia è legato di più al tipo di società dell’epoca, nella quale il lavoro degli schiavi era di fondamentale importanza.
Con strumenti tecnologici in grado di sostituire il lavoro degli schiavi, cosa ne sarebbe stato di loro?
“Una delle grandi cause del non sviluppare una fonte di energia che non dipendeva dalla potenza muscolare era la paura di ciò che i muscoli avrebbero potuto fare se non fossero stati mantenuti completamente impiegati.” (Peter Green, Hellenistic History & Culture).
Non sappiamo se i Greci fossero coscienti di questo rapporto di causa-effetto, ma probabilmente in parte lo erano. Sempre nel I secolo d.C, ai tempi di Erone, pare (a detta di Svetonio) che l’imperatore Vespasiano, a Roma, abbia fatto distruggere un marchingegno che avrebbe consentito una maggiore efficienza nell’edilizia, con questa motivazione: ”Devi lasciarmi dare da mangiare ai miei poveri plebei” (sine, inquit, me plebeculam meam [pane] pascere”).
La spiegazione appare quindi abbastanza semplice, quello che forse non è chiaro è il motivo per il quale tutte le conoscenze scientifiche dell’antichità, conservate anche grazie al grande lavoro di trascrizione operato da bizantini e arabi, non abbiano portato a sperimentazioni pratiche prima del XIV secolo. Forse la risposta sta sempre lì, esplicata dallo storico/giornalista/divulgatore Hendrik W. van Loon: “La quantità di sviluppo meccanico sarà sempre in rapporto inverso al numero di schiavi che si trovano a disposizione di un paese.”