Le (dis)avventure di Tarrare: l’uomo più vorace della Storia

In un mese imprecisato del 1798, il dottor Tessier era di turno all’ospedale di Versailles quando vide arrivare un giovane deperito e debilitato. Diceva di chiamarsi Tarrare e la ragione del suo male era una forchetta d’argento che aveva ingoiato due anni prima. Il paziente era in balia del dolore e chiese espressamente del barone Pierre-François Percy, un medico che già in passato lo aveva curato. Tessier si mise in contatto con il collega, Percy andò a Versailles e interrogò Tarrare. Questi ribadì la storia della forchetta e, a suo dire, l’incidente aveva posto fine alla fame insaziabile che lo aveva contraddistinto negli anni addietro.

Pierre-François Percy – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Il quadro clinico di Tarrare è un argomento che ha interessato sia la scienza medica del passato sia quella del presente. Tutt’oggi la causa del suo proverbiale appetito gargantuesco è sconosciuta e si ipotizza che fosse dovuta all’ipertiroidismo o a un raro disturbo dell’apparato endocrino. Nel 2006, il reumatologo e scienziato svedese Jan Bonderson ne ha studiato il caso nel suo libro Freaks: The Pig-Faced Lady of Manchester Square and other Medical Marvels e ha optato per un danneggiamento dell’amigdala, un complesso nucleare situato nel cervello. All’epoca non mancarono i trattati medici sull’argomento, e il più importante fu il Journal de medicine, chirurgie, pharmacie, dove, nel 1804, lo stesso Percy fornì un resoconto molto approfondito su uno dei suoi pazienti più strani.

Il Journal de medicine, chirurgie, pharmacie del dottor. Percy – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Scrive il barone:

Si immagini tutto ciò che gli animali domestici e selvatici, i più immondi e più avidi, sono capaci di divorare e si avrà l’idea dei gusti e dei bisogni di Tarrare: gli stessi cani e gatti fuggivano alla sua sola vista come se presagissero, in un certo qual modo, la sorte che li attendeva”.

Ma, dunque, di cosa era capace Tarrare?

Illustrazione di Tarrare – Immagine di pubblico dominio

Della sua biografia si sa ben poco. Quando morì, Percy ipotizzò che aveva 26 anni; ne consegue che nacque intorno al 1772. La sua città di origine era un modesto villaggio nei pressi di Lione, forse il comune di Tarare, da cui trasse ispirazione per il suo nome d’arte. Quello di battesimo, invece, è sconosciuto. Era il figlio di una modesta famigliola di contadini e già nella più tenera età manifestò i sintomi di una fame implacabile. Con la pubertà il suo organismo peggiorò, i genitori lo cacciarono di casa e gli imposero di provvedere da solo al suo dispendioso sostentamento. Tarrare, infatti, necessitava di ingenti quantità di cibo e il suo stomaco sembrava un pozzo senza fine.

La cittadina francese di Tarare, a circa quaranta chilometri da Lione, nel 1901 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Eppure, come ci tramanda Percy, il suo aspetto fisico non rispecchiava questa particolare condizione. Pesava appena 45 chili, era magro e di media statura, con i capelli biondi e le labbra sottilissime, quasi inesistenti. Dopo l’abbandono del tetto paterno, girovagò per qualche anno in cerca di cibo e si unì a una banda di ladri e prostitute. Iniziò a mendicare e compiere furti, ma intuì che poteva sfruttare la sua voracità in delle esibizioni e conobbe un ciarlatano che lo trasformò in un fenomeno da baraccone itinerante. In quegli anni Tarrare sfidò il pubblico a lanciargli qualsiasi cosa da ingerire. Tappi di sughero, sassi, animali vivi o frutta intera… Tutto ciò che entrava nella sua bocca poi non vi usciva.

La piazza di Notre-Dame de Paris con, a destra, il vecchio Hôtel-Dieu – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Nel 1788 si mise in proprio e andò a Parigi per continuare la sua bizzarra carriera di artista di strada. Lo spettacolo era sempre lo stesso: la folla, attonita, gli lanciava qualcosa e lui la deglutiva. In poco tempo divenne molto popolare, ma dovette affrontare le conseguenze di una grave occlusione intestinale. Finché non si ritirò dalle scene, se così si può dire, entrò e uscì dall’Hôtel-Dieu, il più antico ospedale parigino, come se nulla fosse. Tarrare si recava dai medici in preda a fortissime coliche e questi lo curavano con dei potenti lassativi. Il dolore passava e subito riprendeva a cibarsi di qualsiasi cosa avesse attorno. Di quel periodo Percy ci tramanda alcuni aneddoti.

La vecchia struttura ospedaliera dell’Hôtel-Dieu fotografata da Charles Marville intorno al 1865-1868 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Un giorno Tarrare propose a un tale dottor Giraud di verificare la sua guarigione con un singolare esperimento: ingoiare il suo orologio da taschino e restituirglielo dopo la defecazione. Ovviamente, la richiesta non fu accolta. Tarrare continuò a mangiare oggetti per intrattenere il pubblico e i soggiorni ospedalieri divennero un appuntamento fisso della sua agenda. Tutto ciò andò avanti finché un altro medico, monsieur Desault, volle fargli uno scherzo. Un po’ per spaventarlo, un po’ per convincerlo a smetterla con le sue malsane abitudini alimentari, scrive Percy, “gli annunciò che, questa volta, avrebbe potuto salvarlo solo aprendogli lo stomaco; e ordinò al signor Courville, uno dei suoi assistenti, di far preparare sul campo l’apparecchiatura”.

Il panico s’impadronì di Tarrare, che si curò alla bene e meglio, bevendo dell’olio tiepido, e fuggì a gambe levate per non tornare mai più.

Napoleone durante la campagna in Italia, parte integrante della Guerra della prima coalizione – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Da quel momento si aprì un nuovo capitolo della sua vita. Allo scoppio della Guerra della prima coalizione si arruolò nelle file dell’Armée révolutionnaire, ma le razioni dell’esercito erano misere. In cambio di un po’ di cibo in più si accordò con i suoi commilitoni per sostituirli in compiti anche sgradevoli, come la pulizia delle latrine, e arrotondò appropriandosi degli avanzi della mensa. I suoi sforzi, però, non bastavano, e in poco tempo si ritrovò deperito e debilitato. I suoi superiori lo raccomandarono alle cure dell’ospedale militare di Soultz-Haut-Rhin, al confine con la Svizzera. I medici della struttura certo non si aspettavano un paziente del genere e, pur accordandogli il quadruplo di una razione normale, il suo appetito non diminuì. Il povero Tarrare continuava ad avere fame e non disdegnò di frugare nei cassonetti o nelle grondaie, di sottrarre pietanze agli altri pazienti e cibarsi di cataplasmi.

Soldati dell’Armée révolutionnaire – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Nessuno capiva il perché di quel suo particolare quadro clinico, ma, da un punto di vista medico, era interessante studiarlo; perciò, attorno a lui si riunì un’équipe capeggiata da un chirurgo militare, il dottor Courville, che già l’aveva conosciuto ai tempi dell’Hôtel-Dieu, e il barone Percy. Era impossibile formulare una diagnosi e i medici si concentrarono sul valutare fin dove si potesse spingere la sua fame. Grazie a questi studi, Percy stilò un compendio di tutte le caratteristiche di Tarrare.

Come si è detto, nonostante la sua singolare dieta, non era affatto sovrappeso, ma aveva un bocca molto ampia e i denti macchiati. Quando era a digiuno, la sua pelle diventata molle e si piegava su se stessa; a stomaco pieno, dove pieno si fa per dire, il suo addome si gonfiava come un palloncino. Le guance, invece, erano rugose e flaccide e potevano contenere fino a dodici mele contemporaneamente. Come se non bastasse, Tarrare era soggetto a un’intensa sudorazione, che lo portava a puzzare “a tal punto che– scrive Percy- a venti passi non si sarebbe potuto sopportare il suo avvicinamento”.

Un ingordo in un dipinto di Georg Emmanuel Opiz – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

I medici notarono che dopo i pasti la situazione si aggravava. Il suo corpo, già di per sé caldo, diventava bollente e si circondava di una sorta di vapore. Sudorazione e conseguenti cattivi odori si intensificavano, gli occhi si riempivano di sangue e il paziente iniziava a ruttare in continuazione. Infine, Tarrare cadeva in un sonno profondissimo e nelle successive ore nulla poteva svegliarlo.

A questo punto la domanda sorge spontanea:

Perché non ingrassava?

Anche se oggi, dopo oltre due secoli, è impossibile rispondere, risulta interessante notare che nemmeno dopo aver mangiato inimmaginabili quantità di pietanze il suo corpo gli imponeva il vomito. D’altro canto, il conto glielo presentava più in basso, con numerosi e intensi attacchi di diarrea. Percy li descrisse come “fetidi al di là di ogni concezione”.

Illustrazione di Tarrare di George Cruikshank – Immagine di pubblico dominio

Tutti questi dettagli, Courville e Percy li appresero in seguito a degli esperimenti. Nel primo di una lunga serie gli offrirono un banchetto, in teoria, imbandito per circa 15 operai. Il menù prevedeva due enormi pasticci di carne, cotti al forno con acqua, sale e grasso, e ben quattro brocche di latte. È facile immaginare la gioia negli occhi di Tarrare quando gli dissero che tutto quel ben di Dio era a sua disposizione. Non se lo fece ripetere due volte e, come si suol dire, a momenti divorò anche i piedi del tavolo. Come da prassi, poi, cadde in un sonno profondo. Attorno a lui, invece, lo stupore regnò sovrano.

Da quel momento la fantasia dei medici si scatenò e ogni volta il paziente non tradiva le aspettative. Un giorno Tarrare catturò un gatto vivo e lo staff lo lasciò fare. Ne strappò a morsi l’addome, ne bevve il sangue e ne risparmiò solo le ossa. Poco dopo sputò il pelo e la pelle. La dieta animale non si esaurì lì e Courville gli offrì serpenti, lucertole e anguille.

Tutti piatti graditi

Raffigurazione del peccato d’ingordigia – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

I mesi passavano. Tarrare era pur sempre un soldato e l’esercito lo aveva mandato a Soultz-Haut-Rhin per guarire dal deperimento; non certo per vivere da nababbo…. un nababbo molto alternativo. I suoi superiori lo richiamarono, ma Courville non volle privarsi degli studi su di lui e propose al generale Alexandre de Beauharnais un compromesso che accontentasse tutti. La fama, o fame, che dir si voglia, di Tarrare era ben nota e poteva prestarsi anche a scopi militari.

Il generale francese Alexandre de Beauharnais – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Dalla teoria, si passò alla pratica e Courville gli fece mangiare una scatola cilindrica di legno con dentro una lettera, per poi appurare che, dopo la defecazione, la carta rimaneva intatta. Problema risolto: Tarrare sarebbe diventato un messaggero sotto copertura, incaricato di trasportare documenti. De Beauharnais, però, era molto scettico sull’effettiva efficacia del ragazzo, che riteneva semplicemente pazzo. Seguì una dimostrazione al cospetto dei membri dell’Armée du Rhin, dove Tarrare ingoiò la custodia lignea e ricacciò con successo il messaggio che conteneva. Come premio, ebbe una carriola con 30 libbre di polmoni e fegato di toro crudi, che divorò senza troppi complimenti. De Beauharnais accettò la proposta di Courville, ma era restio ad affidare a Tarrare documenti importanti. Per questo motivo il suo primo incarico fu di consegnare un messaggio a un colonnello che i prussiani tenevano prigioniero nei pressi della cittadina di Neustadt. De Beauharnais gli disse che si trattava di una lettera con informazioni cruciali, ma, in realtà, il suo contenuto chiedeva al mittente di confermare di aver ricevuto la nota e, nel caso, comunicare eventuali dettagli sull’esercito rivale.

Tarrare si travestì da contadino e, col favore delle tenebre, oltrepassò il confine prussiano, ma si rese conto di non conoscere il tedesco e le milizie del kaiser lo smascherarono quasi subito vicino a Landau. Courville, però, aveva previsto una simile eventualità e quando i soldati perquisirono Tarrare non trovarono niente. Il generale Zoegli fu messo al corrente della situazione e ordinò la fustigazione del prigioniero, affinché vuotasse il sacco.

La città di Landau nel 1916 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

È ironico pensare che, in realtà, doveva far vuotare a Tarrare ben altro se voleva delle informazioni. E, infatti, dopo 24 ore dall’arresto, la natura bussò alla sua porta. In un pubblico e violento attacco di diarrea defecò i documenti che gli avevano affidato, ma ebbe la prontezza di ringoiarli all’istante. L’episodio divertì e, al contempo, fece infuriare i prussiani, che finsero di impiccarlo. Lo condussero al patibolo e gli posero il cappio attorno al collo, per poi liberarlo, percuoterlo ancora e rispedirlo dall’esercito francese.

Soldati prussiani al passaggio del kaiser – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

L’esperienza traumatizzò Tarrare e si convinse della necessità di guarire da quella misteriosa malattia che lo affliggeva fin dalla tenera età. Di sua spontanea volontà tornò all’ospedale di Soultz-Haut-Rhin e supplicò Percy di sottoporlo a qualsiasi terapia gli venisse in mente. Il medico le provò tutte. Usò impacchi d’oppio, bevande acide, pillole di tabacco e vongole veraci del Po di Levante, delle quali se ne cibavano i viaggiatori per combattere i morsi della fame durante i lunghi percorsi. Ovviamente, fu tutto inutile e nulla riuscì a placare l’ingordigia di Tarrare. La buona volontà c’era, ma lo stomaco brontolava in continuazione e si ribellava a qualsiasi tentativo di dieta controllata. Le infermiere lo sorpresero spesso a sgattaiolare fuori dalla struttura e rovistare fra l’immondizia o contendersi gli avanzi dei macellai con i cani randagi. Il povero Tarrare aveva così tanta fame che si adeguò perfino a bere il sangue prelevato dai pazienti e tentò di cibarsi dei cadaveri presenti nell’obitorio. Il tempo passava e non c’era nessun progresso. Tutti i dottori dell’ospedale erano convinti che fosse vittima di una qualche malattia mentale e necessitasse di un trasferimento in manicomio, ma non Percy, che continuò con i suoi esperimenti.

Tuttavia, nemmeno lui riuscì a difenderlo quando scomparve un bambino di 14 mesi da un ambulatorio. I sospetti caddero sul paziente più discutibile della struttura, che, visti i precedenti, fu accusato di cannibalismo. Anche se non c’era alcuna prova contro di lui, lo staff lo cacciò.

Illustrazione di Tarrare che mangia un bambino – Immagine di pubblico dominio

Nei successivi quattro anni, di Tarrare si perse ogni traccia, finché, nel 1798, si presentò all’ospedale di Versailles. Come da lui richiesto, il dottor Tessier chiamò il barone Percy. Il paziente era convinto che la causa dei forti dolori di cui era vittima fosse una forchetta d’argento che aveva ingerito e pregò Percy di estrargliela in qualche modo. La diagnosi del dottore, però, fu un’altra: una tubercolosi in fase avanzata che non gli avrebbe lasciato scampo. Un mese dopo, Tarrare ebbe un violentissimo attacco di diarrea cronica infiammatoria e morì.

Versailles nel 1722 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Il suo cadavere iniziò a marcire molto in fretta e nessuno ebbe il coraggio di sezionarlo, tranne Tessier. Era curioso di scoprire i misteri dell’organismo di Tarrare e si occupò personalmente dell’esame autoptico. La fantomatica forchetta d’argento non saltò fuori, ma scoprì che il corpo era pieno di pus e che l’esofago era molto più ampio del normale, proprio come il canale che collegava la bocca allo stomaco. Anche altri organi, quali fegato e cistifellea, si presentavano di dimensioni spropositate. All’origine della sua leggenda, però, vi era sempre lo stomaco, che occupava circa il 90% della zona addominale, ed era totalmente ricoperto di ulcere.

Non si sa cosa ne fu del cadavere e così ebbe fine la vita di Tarrare, l’uomo dall’appetito gargantuesco, un mistero medico tutt’oggi senza alcuna spiegazione.


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