Le Conseguenze della Crisi: l’Allevamento di Pesce Abbandonato in Grecia

Gli impianti di acquacoltura, conosciuti come allevamenti di pesce, sono una risorsa fondamentale per l’alimentazione di tutti noi e della grande maggioranza della popolazione del globo. In Italia e nei paesi occidentali il pescato “all’amo” (il pesce di mare preso anche con le reti) rappresenta ormai una parte molto marginale dell’alimentazione quotidiana di ognuno di noi, con costi proibitivi per molti pesci di piccole-medie dimensioni (saraghi, orate, spigole, cernie, dotti, ricciole etc).

Alcune di queste specie pregiate, più comunemente orate e spigole ma anche ombrine, vengono quindi commercializzate a prezzi accessibili (dagli 8 ai 15 euro al Kg contro i 30/45 euro al Kg delle prede selvatiche) grazie agli allevamenti intensivi di pesce. La qualità del pesce allevato è ovviamente inferiore rispetto a quello selvatico, con la presenza di accumuli lipidici tipicamente assenti nei pesci pescati in mare.

Sotto: le vasche per il pesce

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Nel Mediterraneo sono stati creati nel corso degli ultimi decenni centinaia di impianti, costituiti da profonde reti sostenute da strutture galleggianti. In Italia e in Grecia, in particolare, sono numerosissimi gli allevamenti ittici che riforniscono i banchi dei supermercati di tutta Europa.

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All’inizio degli anni ’80 ottenere la licenza per un allevamento di pesce significava sostanzialmente vincere una lotteria. Le Orate e i Branzini (le spigole) allevati venivano infatti vendute dai produttori ad un prezzo superiore ai 10 euro al Kg. I raccolti avvenivano (come ancor oggi) ogni 15/18 mesi circa, e da ogni vasca potevano esser prelevati circa 8 tonnellate di pesce, per un equivalente di 80.000 euro a vasca per decine di vasche. L’allevamento delle foto, a pieno regime, fatturava oltre 4 milioni di euro annui (dati convertiti in Euro dalle Dracme).

Sotto: la casetta di guardia

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L’allevamento delle fotografie fu aperto proprio negli anni ’80 del secolo scorso, e da allora ha continuato, per oltre 30 anni, a rifornire i supermercati di pesce. L’abbassamento di prezzo del prodotto, a circa 4/5 euro al Kg per Orate e Spigole (prezzi praticati dal produttore al grossista), ha comportato una crisi sistemica del sistema di allevamento di queste specie ittiche.

Sotto: la piattaforma con le bilance e l’impianto di confezionamento del pesce

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Far crescere una di queste due specie di sino a circa 500 grammi (il peso poco inferiore al quale vengono commercializzati) significa impiegare circa 1,3/1,5 chilogrammi di mangime, che ha un costo di circa 1 euro al Kg. In aggiunta alla spesa per il cibo vi è il personale addetto all’allevamento, i costi di carburante e di trasporto e diversi altre voci di spesa.

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L’allevamento diventa quindi una sorta di gioco sul filo del rasoio della sostenibilità economica, con l’aggiunta delle frequenti rotture delle reti che comportano la fuga di tonnellate di pesce in mare che non scappano lontano (non saprebbero alimentarsi naturalmente) ma che diventano difficilissimi da recuperare.

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Fatte queste premesse è quindi assai meno strano vedere come, nelle azzurre acque di una laguna greca, giaccia completamente abbandonato un allevamento con 54 reti di contenimento. Fra le varie piattaforme artificiali create per sostenere le strutture necessarie si può comprendere come funzionasse l’allevamento e quali ingenti risorse venissero impiegate per la coltivazione del pesce.

Sotto: la lavatrice per le reti

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L’allevamento ha terminato il corso naturale del proprio periodo di vita e sarebbe dovuto esser spostato in altro luogo, dove avrebbe continuato la propria attività. L’allevamento arreca infatti danni ingenti all’ecosistema marino in cui viene reso operativo, ed il suo spostamento è obbligatorio per legge.

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Nonostante la possibilità per la società di traslocare la produzione in zone limitrofe, l’allevamento è stato abbandonato, preferendo non investire altro denaro in un’attività di difficile riuscita economica.

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Naturalmente la legge imporrebbe la rimozione delle strutture dell’allevamento, ma in questa zona l’applicazione del “Nomos” non è una priorità così stringente per le forze dell’ordine.

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Di conseguenza le strutture per l’allevamento, i macchinari, i tubi di plastica, le casette galleggianti e molti altri “pezzi” giacciono alla deriva all’interno della laguna, testimonianza di un’epoca di ricchezza economica ormai lontana nel tempo.

Fotografie di Antonio Pinza: Instagram

Matteo Rubboli

Sono un editore specializzato nella diffusione della cultura in formato digitale, fondatore di Vanilla Magazine. Non porto la cravatta o capi firmati, e tengo i capelli corti per non doverli pettinare. Non è colpa mia, mi hanno disegnato così...