Lauro De Bosis, un nome forse più noto negli Stati Uniti che in Italia. Eppure, questo ragazzo di 30 anni che amava la letteratura, traduceva i classici greci e gli autori americani, scriveva poesie e dava lezioni di letteratura italiana ad Harvard, sacrificò la sua vita per combattere il fascismo. Non era un partigiano, non prese parte alla Resistenza, ma fu protagonista di un’impresa solitaria che beffò l’Aeronautica Regia (ovvero Italo Balbo), andando incontro a una morte quasi certa.
Lauro De Bosis
Convinto della verità di una frase mazziniana, secondo la quale “il martirio non è mai sterile”, De Bosis effettuò il “Volo su Roma”, nell’ottobre del 1931, durante il quale lanciò 400.000 manifestini con due diversi testi di esortazione a combattere il fascismo, in nome dei valori risorgimentali che lui, da monarchico liberale qual era, riteneva fondamentali per riportare l’Italia alla libertà.
Lauro De Bosis condusse la sua lotta antifascista con l’appoggio di pochi, (Salvemini e Don Sturzo), perché lui, antifascista ma anche anticomunista, si rivolgeva ai monarchici e ai cattolici, al Re e al Papa, due grandi forze che avrebbero potuto contrastare Mussolini se si fossero alleate in nome della libertà. Costituì un’associazione clandestina antifascista, Alleanza Nazionale per la Libertà, che fu scoperta nel 1930, portando in carcere gli altri due co-fondatori, mentre lui si trovava negli Stati Uniti per un ciclo di conferenze. De Bosis pensò di rientrare in Italia, per condividere la sorte dei suoi amici e soprattutto per tacitare le voci che lo indicavano come un agente provocatore del fascismo.
Poi studiò un piano diverso, un ultimo tentativo di scuotere Casa Savoia e tutti i monarchici
Nel 1931, in Francia, dove viveva facendo il portiere d’albergo, prese le prime lezioni di volo, poi si trasferì a Londra, dove riteneva di essere meno controllato. Comprò un piccolo aereo da turismo e organizzò il piano di volo: un pilota inglese avrebbe portato il velivolo fino in Corsica, da dove lui sarebbe decollato con destinazione Roma. L’impresa fallì sul nascere, perché l’aereo rimase danneggiato durante l’atterraggio in Corsica, dove si sparsero tutti i volantini.
Lauro De Bosis con il suo “Pegaso”, prima del “Volo su Roma”
De Bosis non si perse d’animo e acquistò un altro aereo, un Klemm L 25, che due istruttori tedeschi portarono in un aeroporto vicino a Marsiglia. Il 3 ottobre del 1931, con appena sette ore di volo sulle spalle, De Bosis salì sull’aereo e lo portò sul cielo di Roma. Quella sera di primo autunno sulla capitale piovvero i 400.000 manifestini, come gocce di libertà che nessuno era riuscito a fermare.
Il testo era questo:
“Roma, anno VII dal delitto Matteotti
Chiunque tu sia, tu certo imprechi contro il fascismo e ne senti tutta la servile vergogna. Ma anche tu sei responsabile colla tua inerzia. Non cercarti una illusoria giustificazione col dirti che non c’è nulla da fare. Non è vero. Tutti gli uomini di coraggio e di onore lavorano in silenzio per preparare l’Italia libera. (…) Abbi fede nell’Italia e nella libertà. Il disfattismo degli italiani è la vera base del regime fascista. Comunica agli altri la tua fede e il tuo fervore. Siamo in pieno Risorgimento. I nuovi oppressori sono più corruttori e più selvaggi di quelli antichi, ma cadranno egualmente. Essi non sono uniti che da una complicità e noi dalla volontà d’esser liberi. Gli spagnuoli han liberato la patria loro. Non disperar della tua“. (Fonte: Wikipedia).
Poi De Bosis si diresse verso il mare sul quale, forse, volò a motore spento, sostenuto solo dalle ali del suo aereo chiamato “Pegaso”, leggero e libero come il mitico cavallo alato. Forse si sentiva come l’Icaro protagonista del suo unico dramma in versi, un poeta che sacrifica la sua vita per combattere la tirannia di Minosse, per amore della libertà.
Ci provarono, Italo Balbo e la sua aeronautica, a cercarlo, ma di De Bosis e del suo Pegaso si perse ogni traccia, probabilmente inabissati nel Mar Tirreno per mancanza di carburante. Il fascismo tenne nascosta la notizia della morte del giovane poeta e censurò ogni riferimento alla sua impresa, che trovò diffusione invece sulla stampa estera, tanto che, dal 1934, la cattedra di Civiltà Italiana dell’Università di Harvard è intitolata a Lauro De Bosis.
Busto di Lauro De Bosis al Gianicolo – Roma
Lui, il giorno prima di partire per il Volo su Roma, aveva scritto una lettera, intitolata Storia della mia morte: era consapevole di non potercela fare, ma convinto dell’impresa. Così convinto da iniziare il suo ultimo scritto con una descrizione del suo aereo densa di riferimenti alla potenza del mezzo e alla poesia del volo:
Domani alle tre, su un prato della Costa azzurra, ho un appuntamento con Pegaso. Pegaso – è il nome del mio aeroplano – ha la groppa rossa e le ali bianche; benché abbia la forza di ottanta cavalli, è svelto come una rondine. S’abbevera di benzina e si avventa nei cieli come il suo fratello di un tempo, ma di notte, se vuole, sa scivolare nell’aria come un fantasma. (…) Ma non andremo a caccia di chimere. Andremo a portare un messaggio di libertà a un popolo schiavo di là dal mare.”
Tutte le immagini sono di Pubblico Dominio.
Sotto, un estratto dal documentario “I Giorni della Nostra Storia” del 1974 diretto da Ermanno Olmi: