L’Atroce martirio di Marcantonio Bragadin

“Cipro fu conquistata dall’Impero Ottomano, i difensori sbaragliati e il rettore della città, Marcantonio Bragadin, torturato e ucciso…”

Questo è il classico testo che possiamo trovare in qualsiasi manuale scolastico delle Superiori, ma anche di qualche volume universitario che tratti dell’epoca Moderna. Un trafiletto di due righe che conclude l’assedio ottomano all’isola di Cipro, conquistata dai soldati turchi a discapito dei veneziani, parte di quel mondo cristiano che si contrappose all’Islam.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Quelle due righe però non solo non rendono giustizia, ma non fanno neanche immaginare uno degli episodi più cruenti della lunga storia di guerre e conflitti fra Ottomani ed Europei, che indignò l’intero mondo cristiano e che fu motore, fra i tanti, anche della battaglia di Lepanto, combattuta due mesi dopo (circa) di fronte all’odierna Nafpaktos, in Grecia.

E allora ricordiamolo il Generale Marcantonio Bragadin, il fiero condottiero Astorre II Baglioni e quel drammatico e sanguinosissimo assedio a Famagosta, durato (quasi) un anno e che rischia di finire dimenticato in brevi trafiletti nei libri di storia.

In questo articolo accennerò soltanto alla figura di Astorre II Baglioni e all’assedio di Famagosta perché penso siano temi che meritino un articolo a parte, fatemi sapere nei commenti se siete interessati a conoscerli nel dettaglio.

Premessa storica alla conquista di Cipro

Il Sultano Selim II è alla ricerca di facili conquiste per tentare di non sfigurare troppo rispetto al padre, Solimano il Magnifico, e per distogliere l’attenzione della sua corte da due caratteristiche che lo rendono poco popolare, sia davanti al popolo sia davanti ai dignitari:

Selim II è alcolizzato e omosessuale

Nel Marzo del 1570 invia quindi un ambasciatore a Venezia per tentare di ottenere l’isola di Cipro per vie diplomatiche. L’isola è vicinissima all’Impero e lontanissima dalla Serenissima, e i veneziani già pagano un dazio ai turchi per la sua occupazione, 8.000 Ducati d’oro all’anno. La richiesta non è poi così assurda. Da Venezia giunge una risposta forse inattesa: Cipro rimane cristiana. L’unica soluzione è la guerra.

Raffigurazione dell’assedio di Giovanni Camocio, 1574

Ottomani e Veneziani sono abituati allo scontro, e Selim II decide che Cipro va conquistata. I Veneziani, dal canto loro, fanno migliorare le fortificazioni in fretta e furia delle due principali città dell’Isola, Famagosta e Nicosia, sperando di riuscire a resistere agli attacchi dei turchi.

Ma gli ottomani sono un numero incomprensibile, impressionante

Il 1° Luglio sbarcano a Limisso, e in poco tempo conquistano diverse città e castelli fino a quando arrivano a Nicosia, la città principale dell’isola, difesa da circa 8/9 mila uomini ai comandi di Nicolò Dandolo. Oltre a loro in città si trovano 50 mila persone fra abitanti e profughi delle campagne. Le fortificazioni sono rinforzate, gli uomini non sono poi così pochi, ma la città cade immediatamente.

I turchi sono padroni di Nicosia il 16 Agosto

Fanno un massacro fra nobili e dignitari, ma la popolazione viene in gran parte risparmiata, molti resi schiavi e spediti sia a Costantinopoli sia ai mercati africani come Algeri. Il comandante delle truppe Ottomane, Lala Kara Mustafa Pascià, volge ora le sue attenzioni a Famagosta, una città più piccola della capitale che ha una popolazione di circa 10.000 persone contro le 25 mila di Nicosia, governata da Marcantonio Bragadin.

Famagosta di Giacomo Franco

Pochissimi giorni dopo aver preso Nicosia Mustafa Pascià muove l’esercito di fronte a Famagosta, pensando di conquistarla in poco tempo. Il 22 Agosto del 1570 le truppe turche sono di fronte alle porte della città. Non si sa con precisione quale sia il loro numero. Alcune fonti dicono 180 mila uomini, altri 220 mila altre ancora 250 mila, ma poco importa. Quel che conta di più non è il numero degli assedianti ma degli assediati:

Dentro Famagosta non ci sono più di 7.000 uomini d’arme

Insomma, Bragadin, Baglioni e tutti gli abitanti sono in trappola. Mustafa Pascià manda quindi un’ambasceria all’interno della città, un uomo con un carniere di pernici, per un’offerta che non si può rifiutare (per dirla storpiando il Padrino):

Se vi arrendete non vi sarà torto un capello

L’assedio

E qui, inizia quella che è un’epopea che forse non ha eguali nella storia. Bragadin rifiuta sia l’offerta sia il carniere di pernici, e Lala Mustafa Pascià non la prende bene. Manda un altro uomo con in mano non delle vettovaglie ma la testa in putrefazione di Nicolò Dandolo, ex-governatore di Nicosia. Bragadin non molla. Fa seppellire quel che resta di Dandolo e pensa solo a preparare le difese.

L’immenso esercito Ottomano attacca i bastioni della città, ma gli esperti veneziani, sostenuti anche da truppe arrivate come rinforzo da Venezia, contengono le sortite nemiche, e Astorre II Baglioni insieme ai suoi cavalieri riesce a mandare al creatore migliaia di turchi. Mustafa Pascià capisce che questa non è la tattica giusta. Inizia a predisporre un attacco di artiglieria e bombarda notte e giorno la città, sperando di fiaccare il morale degli abitanti.

A proposito di abitanti. La popolazione di Famagosta era di circa 10.000 persone prima dell’inizio dell’assedio, ma quando la città viene stretta nella morsa degli assedianti Bragadin prende la decisione più difficile e drastica:

Liberarsi delle bocche inutili

Le fonti riportano che furono fatti uscire dalla città qualcosa come 5.360 abitanti fra donne, bambini e anziani, lasciati in balia della benevolenza, se così possiamo definirla, dei turchi. Di loro si narra che vennero lasciati liberi abitanti di Cipro, anche se è difficile avere una conferma storica di quanto accadde. Questi non erano aspetti che venivano registrati spesso nelle cronache.

Giuseppe-gatteri 1571 A Famagosta si resiste a tutti i costi

Bragadin non si limita solo a questo nella sua resistenza. Ordina il conio di moneta Ossidoniale, ovvero monete realizzate con qualsiasi metallo presente in città e utilizzata in tempo di guerra. Fa coniare monete in rame di diverso taglio e impone la pena di morte a chi avesse rifiutato la valuta come mezzo di pagamento. Grazie a tante accortezze la situazione dentro Famagosta è questa: l’esercito è pagato, le provviste sono razionate, le mura sono resistenti e i cavalieri pronti a infierire sui Giannizzeri che si lanciano all’assalto.

Raccontare tutto ciò che successe durante l’assedio è impossibile, ci vorrebbe un libro intero, ma è importante capire quali furono le dinamiche della battaglia. Da terra le truppe ottomane attaccavano costruendo gallerie sotterranee per far saltare in aria le mura della città e bombardavano verso le fortificazioni. Dalla parte veneziana la prima preoccupazione era scovare i tunnel sotto le mura, poi tentare di resistere in ogni modo agli attacchi in attesa di rinforzi, ma non solo. Si tentava anche di stanare i nemici, come quel giorno in cui a tutta la popolazione della città fu ordinato di nascondersi e non farsi vedere. Gli ottomani non scorgendo movimenti si avvicinarono incauti alla città, pensando che gli abitanti fossero scappati via mare. I veneziani e i greci da dentro attendevano soltanto che gli aggressori fossero abbastanza vicini da risultare a tiro… attesero, attesero, fino a quando non furono così vicini che gli assediati uscirono allo scoperto e fecero una carneficina degli assedianti.

Ma le forze in campo erano troppo sproporzionate. Dopo mesi di assedio, dopo un inverno rintanati con il nemico alle porte e una primavera/estate di assalti anche i pochi veneziani rimasti all’interno delle mura non possono che arrendersi e vedere che succede. Tanto il destino era comunque la morte. E’ il 1° Agosto del 1571. Io chiedo scusa agli appassionati di assedi per la brevità con cui arrivo a questa conclusione, ma raccontare l’assedio di Famagosta e tutto ciò che accadde sarebbe lunghissimo, penso sia meglio parlarne in un articolo dedicato.

La resa di Bragadin

Dopo la promessa scritta di un salvacondotto per tutti i soldati e i civili presenti a Famagosta, Bragadin, Baglioni e Luigi Martinengo, comandanti della città, raggiunsero la tenda di Mustafa Pascià, dove fu ordinato loro di deporre le armi. I colloqui iniziarono nel più cordiale dei modi, ma presto presero una piega diversa. Mustafà Pascià chiese con Bragadin cosa ne avesse fatto dei prigionieri ottomani, e questi rispose che parte erano in città e parte a Venezia, lì spediti con alcune navi. Mustafà si infuriò e lo accusò di averli trucidati. Di aver resistito all’interno di Famagosta senza speranza, mandando al creatore decine di migliaia di uomini, sia cristiani sia musulmani, senza alcuno scopo. Da qui iniziò uno spettacolo truculento.

Tiziano Aspetti, Marcantonio Bragadin (1571 ca.). Fotografia di Sailko via Wikipedia

Il Martirio

A Bragadin Mustafà Pascià taglio personalmente l’orecchio destro, poi ordinò a un soldato di tagliarli il sinistro e il naso. Fece decapitare seduta stante Astorre Baglioni e Luigi Martinengo, poi fece ammazzare 300 soldati cristiani dell’esercito. Bragadin fu messo col collo sul ceppo per tre volte, e per tre volte fu calpestato e torturato, ma non ucciso. Mustafà Pascià ordinò la scorreria per la città di Famagosta dove i soldati ottomani compirono un massacro fra quanti erano superstiti.

Ma l’orrore doveva ancora abbattersi su Bragadin. Rinchiuso in una gabbia esposta al calore del sole e senza cibo né acqua per 12 giorni, con la testa in putrefazione per le orecchie tagliate, il 17 agosto del 1571 gli fu ordinato di alzarsi e raggiungere la sua nave. Qui fu legato all’albero maestro e martoriato con 100 frustate, poi gli fu ordinato di camminare per le vie della città portando una pesante cesta di pietre, dove fu oggetto di scherno e sassaiole. Bragadin era seguito sempre da Mustafà Pascià, il quale rincarava la dose con insulti di ogni tipo. Marcantonio ormai era lo spettro di un essere umano, più morto che vivo, ma probabilmente, almeno così riporta la cronaca di Antonio Riccoboni che è una delle fonti di questo articolo, riuscì a dirgli che la pena per colui che aveva promesso la salvezza a coloro che si sarebbero arresi era divina, e che solo Dio poteva giudicarlo. L’ultima invettiva di un uomo senza scampo.

Sacco di Famagosta

Bragadin era ormai una maschera di pus e sangue, vestito con pochi stracci, e fu condotto nella piazza principale di Famagosta. Qui venne denudato e si procedette al supplizio. Il boia iniziò a scorticarlo dalla testa, dalla schiena e dalle spalle, lontano dai punti vitali, poi passò alle braccia e al collo, e infine raggiunse il ventre, il punto in cui la cronaca del Riccoboni ci dice che morì. Il cronista racconta che Bragadin spirò perdonando i suoi aguzzini e raccomandando la propria anima a dio, rifiutandosi di convertirsi all’Islam per aver salva la vita. Probabilmente, ma questo lo immagino io, era solo svenuto e scioccato per il dolore. Il suo corpo fu squartato in quattro parti e mandato agli angoli della città, mentre la testa alzata su una picca nella piazza.

Quell’atroce martirio e quelle tremende ritorsioni sulla popolazione indignarono in modo orizzontale tutto il mondo cristiano, che si organizzò in una imponente flotta e vinse la battaglia di Lepanto contro la flotta Ottomana il 7 Ottobre del 1571. Ci racconta Gian Jacopo Fontana nel suo libro “Marcantonio Bragadin, Eroe Veneto”, che un anno dopo tale Almorò Tiepolo, veneziano, catturò un corsaro barbaresco di grande fama, chiamato Ricamatore. Tiepolo ordinò che questi venisse scorticato vivo alla maniera di Bragadin, una vendetta che si abbatté su una persona avulsa dai fatti.

Il pellegrinaggio delle spoglie di Marcantonio Bragadin

La pelle del povero Bragadin fu impagliata, vestita con i suoi abiti usuali e portata a Costantinopoli come trofeo di guerra, custodita nell’Arsenale. Ma non era destinata a rimanere lì. Pochi anni dopo gli eventi di Famagosta e la battaglia di Lepanto un marinaio veronese, tale Girolamo Polidori, riuscì a trafugarla e la portò al Bailo veneziano Antonio Tiepolo, (l’ambasciatore, detto con una parola moderna) il quale spedì a Venezia le spoglie di Marcantonio, dove furono sepolte nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo.

Interno di della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo (Venezia) – Monumento a Marcantonio Bragadin. Fotografia di Didier Descouens via Wikipedia

Ma il povero Girolamo subì una sorte terribile. Lascio chiudere l’articolo a lui, in modo che ci si possa rendere conto di che mondo abitassero queste persone vissute meno di 500 anni fa nel Mediterraneo.

«Io, Hieronimo Polidoro da Verona, fatto schiavo in servizio della Serenissima… e non scordando nella mia schiavitù la divotione mia, né atterrendomi a nessun pericolo, sono stato quello felicissimo martire, il quale, a richiesta dell’illustrissimo Tiepolo allora Bailo in Costantinopoli, levai da una cassa dell’arsenale la pelle del clarissimo Bragadin, e di quella sotto i panni vestitomi, la portai salva ed intera all’illustrissimo Bailo, con questo atto di virtù e ardimento significando con certezza di morte la infinita divozione che porto alla Serenità vostra.

Quello che mi sia successo dopo è orribile ad ascoltare… accusato di questo lecito furto ai ministri turcheschi ho patito innumerevoli… fieri tormenti, imperoché per mólti giorni fui torturato alla corda con li piedi in su, bastonato sul ventre e sulla schiena… battuto sulla natura che si guastò, ed io divenni eunuco… Dopo i tali tormenti tutto guasto e rovinato e in mendicità… mi sono finalmente condotto ai piedi della Serenità vostra, la quale
supplico…».

Lo Stato veneziano riconoscente per il suo eroismo, gli concedette una pensione di 5 ducati al mese.

Matteo Rubboli

Sono un editore specializzato nella diffusione della cultura in formato digitale, fondatore di Vanilla Magazine. Non porto la cravatta o capi firmati, e tengo i capelli corti per non doverli pettinare. Non è colpa mia, mi hanno disegnato così...