L’anello d’Oro di Isopata e la straordinaria libertà delle Donne di Creta

Lì sulla sabbia, dove spunta il bianco giglio di mare che di notte inebria col suo profumo, un tempo danzavano libere e leggere le sacerdotesse della Grande Madre, divinità che racchiude in sé tutte le altre, come espressione della fertilità della terra e di tutti gli esseri viventi, così come del cielo, che governa dall’alto il ciclo eterno delle stagioni.

Giglio di mare (Pancratium maritimum)

Immagine di Stemonitis via Wikipedia – licenza CC BY-SA 2.5

Questo è ciò che ci racconta un oggetto straordinario, dalla valenza quasi magica: l’anello di Isopata. Tra tutti i reperti trovati sull’isola di Creta (relativi all’età minoica) questo è certamente uno dei più misteriosi e affascinanti, un’opera artistica che va ben oltre la sua splendida fattura, capace di evocare “l’incanto di un mondo fatato”, usando le parole dell’archeologo Gerhard Rodenwaldt.

Immagine di Olaf Tausch via Wikipedia – licenza CC BY 3.0

L’anello, vecchio di 3500 anni, fu trovato in una tomba nei pressi del Palazzo di Cnosso, e racconta, con poche immagini simboliche, tutto un mondo di miti e credenze lontanissimi nel tempo.

Ci sono quattro figure femminili, con gonne lunghe ma a seno scoperto, che danzano tra i fiori, mentre un’altra figura di donna molto più piccola sembra scendere dall’alto. Intorno, molti simboli: serpenti, un occhio, una spiga di grano, un misterioso segno ovale circondato da “gocce”. Il personaggio principale della scena è la donna posta al centro, verso la quale le altre allungano le braccia in segno di venerazione.

Raffigurazione grafica della scena sull’anello di Isopata

L’interpretazione è difficile, ma gli studiosi propendono per l’ipotesi mistico-religiosa: è l’epifania della Grande Madre, evocata durante un rito dove danze, musiche e sostanze allucinogene – quasi un rito sciamanico – conducono all’estasi che consente la visione della divinità, prima raffigurata come una minuscola creatura che scende dal cielo, e poi in tutta la sua maestosità, al centro della scena, “piena di grazia e verità”.

D’altronde, anche i greci dell’età classica (forse conservavano memorie antichissime) conoscono e descrivono bene l’estasi, ἔκστασις, che letteralmente significa “essere fuori”.

Le figure nell’anello di Isopata hanno il volto solo accennato da un ovale, contornato da sfere che potrebbero simboleggiare proprio uno stato di allucinazione, indotto magari dal vino (come avveniva nei riti in onore di Dioniso, nella Grecia classica) o dai semi di papavero da oppio, pianta sicuramente coltivata nella Creta minoica e raffigurata sulle ceramiche.

Gli altri simboli possono essere rappresentazioni del sole (l’occhio), animali sacri come serpente e toro, e stelle a forma di goccia (le Iadi, portatrici di pioggia): tutto un mondo naturale che si muove secondo il ciclo celeste, ben conosciuto dai minoici, che sono sia agricoltori sia esperti navigatori.

Dea dei serpenti da Cnosso

Immagine di Chris 73 via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0

Nell’ancora misteriosa civiltà minoica, che si sviluppa a Creta nell’età del bronzo (2700 a.C.-1400 a.C.), le donne hanno nella società un ruolo e una libertà difficili da trovare nel mondo antico, e che certamente si perde nella Grecia classica. E’ la cultura “più vicina a un matriarcato che abbiamo”, almeno tra il 1600 e il 1500 a.C, a detta di John Younger, storico esperto dell’età del bronzo.

Sono gli affreschi e le statuette trovate a Creta che raccontano lo status delle donne dell’epoca: la religione ruota appunto intorno a divinità femminili, con rituali officiati da sacerdotesse, che nel nostro immaginario, come probabilmente in quello dei Greci dell’età classica, assumono più l’aspetto di donne in preda ad estasi mistiche. Di quelle danze frenetiche rimane forse memoria, a mille anni di distanza, nei versi di Euripide, che nelle Baccanti scrive:

Verranno mai da me, mai più,

le lunghe lunghe danze,

attraverso l’oscurità fino al tramonto delle stelle oscure?

Devo sentire la rugiada sulla mia gola e il soffio

del vento nei miei capelli?

I nostri piedi bianchi risplenderanno nelle distese oscure? (….)

E’ gioia o terrore, piedi tempestosi? 

Tre donne che furono probabilmente regine – affresco a Cnosso

Immagine di cavorite via Wikipedia – licenza CC BY-SA 2.0

Tra tutti i reperti che raccontano questa storia di libertà e probabilmente di uguaglianza tra i sessi ci sono ad esempio gli affreschi che mostrano uomini e donne impegnati negli stessi esercizi ginnici rituali, pericolosi salti acrobatici effettuati su tori vivi. Nulla invece ci possono dire le fonti scritte, perché la scrittura minoica, chiamata Lineare A, è ancora indecifrata.

Acrobazie con un toro: sport o rituale di “taurocatapsia” (la figura dalla pelle scura, in groppa al toro è un uomo, mentre le altre due con la pelle chiara sono donne)

Immagine di pubblico dominio

Restano quindi aspetti ancora misteriosi della civiltà minoica. Certo, i miti raccontati in epoche successive rimandano a Minosse, al Minotauro, a Teseo e Arianna, al Labirinto di Dedalo e Icaro, ma in realtà non sappiamo nemmeno quale fosse il nome che gli abitanti di Creta davano a se stessi e alla loro isola: “minoici” è il termine coniato dall’archeologo Arthur Evans, al quale si devono i primi scavi a Cnosso, e che si rifece al mitico re Minosse.

Quello che si sa, sulla civiltà cretese dell’età del bronzo, è quasi sempre corredato da “forse” e “probabilmente”.

Minosse, ad esempio, non era forse il nome di un re, ma un titolo ereditario dei sovrani che, probabilmente, condividevano il potere con una sacerdotessa di rango elevato. Esisteva certamente anche un “dio padre”, che prendeva le sembianze del toro, animale simbolo di forza e anche di fertilità, stranamente associato al culto lunare (solitamente femminile) per la forma delle sue corna.

Taurocatapsia su un sigillo minoico in oro

Immagine di Zde via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0

Quello che sappiamo per certo, anche grazie all’archeologia di siti del Mediterraneo e del Vicino Oriente, è che la Creta minoica aveva una società altamente organizzata, che basava la sua ricchezza sul commercio con tutte le altre civiltà contemporanee, anche lontane geograficamente, dalla Spagna alla Mesopotamia, dall’Egitto a Cipro. Non c’erano scambi invece con gli Ittiti, forse a causa di un embargo imposto dall’Egitto, superpotenza dell’epoca (non c’è mai nulla di nuovo sotto il sole…).

Il suo dominio in questo campo, una presunta talassocrazia, non era dovuto alla forza militare: non ci sono (almeno fino ad ora) prove che dimostrino l’esistenza di un esercito minoico, né di una dominazione violenta su altri popoli. Le rappresentazioni di armi e guerrieri sembrano più associate a rituali religiosi, dove non mancavano episodi violenti e talvolta sanguinosi. A dimostrare la pax minoica (teorizzata da Evans, ma messa in discussione negli ultimi anni) ci sarebbe la quasi totale mancanza di fortificazioni sull’isola, anche se si può supporre che la difesa delle città costiere fosse in realtà affidata alla potente flotta del regno. Su questo particolare aspetto della civiltà minoica storici e archeologi devono ancora mettersi d’accordo.

Rappresentazione grafica degli esercizi di taurocatapsia

Ci piace pensare (almeno a chi scrive) che la forte influenza femminile nella società minoica abbia consentito lo sviluppo di una civiltà pacifica, che inizia il suo declino dopo l’eruzione vulcanica di Thera/Santorini, ed è destinata a soccombere (probabilmente) all’aggressività dei ben più militarizzati Micenei, che intorno al 1450 a.C. invadono Creta, saccheggiano e distruggono i Palazzi, e mettono fine all’era delle sacerdotesse.

Rovine di Itanos – Creta

Immagine di Philbutler via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 4.0

Eppure, ascoltando il rumore del mare su una spiaggia di Creta, in un tramonto già punteggiato di stelle, si può immaginare di vedere danzare, lievi come farfalle, le sacerdotesse della Grande Madre, simbolo di una vita che segue il ritmo della natura, ormai perduta per sempre.


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