“La verità in marcia”, fu la frase di chiusura di un articolo pubblicato da Emile Zola sul quotidiano Le Figaro nel 1897. Purtroppo, quell’augurio impregnato di speranza era ben lontano dal realizzarsi, perché, sì, la verità era in marcia, ma non la giustizia.
L’Affaire Dreyfus iniziò nel 1894 e si concluse nel 1906; fu un evento storico senza precedenti, che godette di un’impressionante attenzione mediatica e divise l’opinione pubblica in due fazioni opposte: i dreyfusards e gli antidreyfusards. Militari, politici, intellettuali, borghesi… Ogni cittadino francese di fine XIX secolo partecipò al dibattito sociale che scaturì dal presunto tradimento dello sventurato Alfred Dreyfus.
Le origini di Dreyfus e il contesto storico-sociale
Alfred Dreyfus nacque il 9 ottobre 1859 come ultimogenito di Raphaël Dreyfus, un industriale ebreo, e Jeannette Libmann-Weill. La sua famiglia viveva in Alsazia, ma a seguito della vittoria prussiana nel conflitto del 1871 contro Napoleone III, la regione passò sotto il controllo di Guglielmo I insieme a parte della Lorena. Gli abitanti degli ex possedimenti francesi ebbero due possibilità: andarsene e mantenere la cittadinanza francese o restare e diventare sudditi tedeschi. I Dreyfus si trasferirono a Parigi, dove, nel 1890, Alfred entrò nella Ecole de la Guerre e iniziò il suo percorso nell’esercito, diventandone, in seguito, l’unico ebreo di alto rango.

All’epoca degli esordi dell’Affaire, la disfatta nel conflitto franco-prussiano era ancora una ferita aperta per la Francia. Con la caduta del Secondo Impero, la Terza Repubblica si adoperò per modernizzare il proprio apparato bellico e, al contempo, iniziò una serratissima attività di spionaggio nei confronti del Reich. Il clima sociale francese era intriso di un diffuso antisemitismo, oltre che di un acceso e, a tratti, fanatico nazionalismo, connotato da un certo grado di sospetto verso i vecchi abitanti dell’Alsazia-Lorena, e di un desiderio di rivalsa sul Kaiser. Al tramonto del secolo, tutti questi sentimenti di ostilità si rivolsero a un’unica persona, ingiustamente eletta capro espiatorio al di sopra di ogni ragionevole dubbio.
Galeotto fu il bordereau… e chi lo scrisse
Tutto ebbe inizio il 26 settembre del 1894, quando il bureau del controspionaggio del Ministero della Guerra francese ricevette un documento sottratto a Maximilian von Schwartzkoppen, l’addetto militare tedesco di stanza all’ambasciata di Germania a Parigi. Quel giorno, Madame Bastian, un membro dei servizi segreti infiltrato nelle vesti di semplice donna delle pulizie, come di consueto rovistò nel cestino della carta dell’ufficio di Schwartzkoppen e vi trovò una lettera, poi soprannominata il bordereau, senza né data né firma e strappata in sei grossi pezzi.

La donna fece rapporto al maggiore Hubert Joseph Henry, a cui consegnò la missiva: era indirizzata all’ufficiale tedesco e annunciava l’arrivo imminente di alcuni dettagli riguardanti il processo di ammodernamento dell’apparato bellico francese. Fu subito informato il Ministro della Guerra, Auguste Mercier, che già da tempo sospettava una possibile fuga di notizie e, insieme ai suoi collaboratori, diede il via alle prime indagini.

Per trovare il colpevole adottò un ragionamento rozzo e approssimativo che, a posteriori, si rivelò completamente inesatto. La lettera conteneva dei riferimenti all’artiglieria francese di cui solo pochi membri dell’esercito potevano essere a conoscenza e il candidato ideale al titolo di traditore era Alfred Dreyfus, un ufficiale trentacinquenne di origini ebree e alsaziane. Affidò l’inchiesta preliminare al comandante Armand du Paty de Clam, che confontò la grafia del bordereau con quella del sospettato. Le due scritture si somigliavano e du Paty interpellò anche uno dei massimi esperti del campo, Alphonse Bertillon.
Nel suo resoconto, questi evidenziò che i tratti grafici presentavano molte similitudini, ma non combaciavano; tuttavia, formulò la cosiddetta teoria dell’autofalsificazione, da lui sostenuta anche durante il processo. Secondo Bertillon, l’ufficiale aveva volutamente alterato alcuni connotati della sua scrittura allo scopo di confondere un’eventuale tentativo di identificazione.

Per lo Stato Maggiore francese non c’era alcun dubbio sull’identità del traditore e il generale Mercier lo fece convocare il 15 ottobre per un’ispezione generale in borghese, al fine di ottenere una piena confessione. Dreyfus si presentò al Ministero della Guerra, dove il maggiore Georges Picquart lo scortò nell’ufficio del capo di Stato Maggiore Charles de Boisdeffre. Ad attenderlo vi era du Paty, che gli dettò una lettera ispirata al contenuto del bordereau, nella speranza che, messo alle strette, l’imputato scegliesse di costituirsi di sua spontanea volontà. Dreyfus obbedì senza fare domande e trascrisse parola per parola tutto ciò che gli fu detto, finché du Paty, in un eccesso di collera, lo accusò formalmente di alto tradimento. Incredulo, l’ufficiale negò invano di essersi venduto alla Germania. Si narra che prima di farlo arrestare e portare in prigione, du Paty gli concesse l’opportunità di ristabilire il suo onore militare mediante il suicidio: dopo avergli consegnato una rivoltella, lo lasciò da solo nella stanza per qualche minuto, ma non vi fu alcuno sparo, anzi, l’uomo affermò di voler vivere per dimostrare la sua innocenza. L’Affaire iniziò a ingigantirsi ancor prima del processo e La Libre Parole, un giornale marcatamente antisemita, rese la vicenda di pubblico dominio il 29 ottobre.

Il processo del 1894
In quanto membro dell’esercito, spettava a un Consiglio di Guerra il compito di giudicare Dreyfus e suo fratello Mathieu ne affidò la difesa all’eminente avvocato penalista Edgar Demange. L’accusa aveva in mano prove circostanziali che, nel complesso, si reggevano in piedi solo attraverso la convinzione della somiglianza grafica con il bordereau. Di contorno, vi erano semplici illazioni di natura diffamatoria come, ad esempio, la presunta situazione finanziaria dell’imputato, benestante più di quanto avrebbe dovuto, quindi, arricchitosi mediante i suoi servigi da spia.
Il processo ebbe inizio il 19 dicembre 1894 e si rivelò una farsa fin dagli esordi. Le alte sfere militari avevano già deciso il destino di Dreyfus e l’accusa, sostenuta dalla testimonianza di Bertillon, fu irremovibile nel presentare la perizia grafia, corredata dalla tesi dell’autofalsificazione, come prova schiacciante.
Il 22 dicembre i sette giudici pronunciarono il verdetto: all’unanimità riconobbero Alfred Dreyfus colpevole del reato di alto tradimento e lo condannarono alla deportazione a vita nella temutissima Isola del Diavolo, nella Guyana francese.

Du Paty si recò in prigione il 31 dicembre e gli offrì una riduzione della pena in cambio di una confessione, ma il fiero Dreyfus rifiutò e ribadì la sua innocenza. Il 5 gennaio del 1895, nella Scuola Militare di Parigi, ebbe luogo la cerimonia di pubblica degradazione. Dreyfus fu umiliato di fronte a oltre 4000 persone, ma ancora una volta rinnegò l’epiteto di traditore e disse:
«Soldati, umiliate un innocente. Soldati, disonorate un innocente. Lunga vita alla Francia! Viva l’esercito!»

Il 12 marzo fu imbarcato su una nave e il successivo 14 aprile giunse all’Isola del Diavolo per scontare la condanna.
Il vero colpevole
Mentre il fratello era ai lavori forzati nella Guyana francese, in patria, Mathieu si adoperò per far sì che venisse fatta luce sulla vicenda e sollevò un polverone mediatico a cui lo Stato Maggiore non poté restare indifferente.

I generali Boisdeffre e Gonse incaricarono il comandante Henry di ampliare il fascicolo dell’accusa, per evitare ogni tentativo di revisione del caso. Nel marzo del 1896, il tenente-colonnello Picquart, che aveva seguito l’Affaire fin dall’inizio, ricevette in consegna una missiva di von Schwartzkoppen, indirizzata all’ufficiale Ferdinand Walsin Esterhazy e intercettata dal controspionaggio francese. La questione lo insospettì e si procurò una lettera scritta a mano da Esterhazy e destinata a von Schwartzkoppen, nella quale riconobbe la stessa grafia del bordereau. A fronte di tali scoperte, il tenente-colonnello si cimentò in un’indagine segreta, senza il consenso dei suoi superiori, con la quale si accertò che Esterhazy era a conoscenza dei dettagli menzionati nel bordereau.

Dopo la guerra del 1870 aveva prestato servizio nell’ufficio di controspionaggio e dal 1877 al 1880 aveva lavorato a stretto contatto con il comandante Henry. Quasi certamente era lui che aveva tradito la Francia in cambio di grosse somme di denaro in grado di saldare i suoi numerosi debiti di gioco. Piquart era consapevole di aver fra le mani le informazioni necessarie a scagionare un innocente e fece subito rapporto, ma, per il Ministro della Guerra Mercier, non si poteva più tornare indietro e Dreyfus doveva assolutamente rimanere colpevole: annullare il verdetto del ’94 avrebbe messo in cattiva luce l’esercito francese.

Vista la sua insistenza, Picquart divenne una personalità scomoda e, per assicurarsene il silenzio, le alte sfere dello Stato Maggiore lo trasferirono in Tunisia. Nel frattempo, anche Mathieu venne a conoscenza delle macchinazioni di Esterhazy. Il giornale Le Figaro aveva pubblicato una copia del bordereau e il banchiere Jacques de Castro informò il fratello di Alfred di aver riconosciuto la grafia di un suo debitore che militava nell’esercito francese.
Mathieu ebbe la certezza assoluta che il traditore era Esterhazy grazie all’incontro con il vicepresidente del Senato Auguste Scheurer-Kestner, alsaziano e dreyfusard, che era stato a sua volta messo al corrente della situazione dallo stesso Picquart. La relazione del tenente-colonnello aveva però allarmato lo Stato Maggiore e, in una situazione precaria, dove verità e menzogne viaggiavano sul filo d’un rasoio, il comandante Henry scelse di agire di sua spontanea volontà e contribuire ancora di più a ostacolare il regolare corso della giustizia. L’11 novembre del 1896 utilizzò l’intestazione e la firma di una lettera di Alessandro Panizzardi, l’addetto militare dell’ambasciata italiana in Francia che, come von Schwartzkoppen, era incaricato di spiare l’esercito, per redigere una finta lettera scritta di suo pugno, da cui trasparivano elementi di colpevolezza di Dreyfus.

L’uomo, poi, consegnò la missiva, denominata a posteriori il “falso Henry”, ai generali Gonse e Boisdeffre che, nonostante l’evidente natura grossolana, la trasmisero al generale Billot. Per lo Stato Maggiore era la prova tangibile che le accuse di Picquart nei confronti di Esterhazy erano infondate ed era necessario proteggerlo. Anche Picquart venne a conoscenza del “falso Henry”, tornò in Francia e, mentre Mathieu sporgeva denuncia al Ministero della Guerra contro Esterhazy, rivelò pubblicamente i risultati della sua indagine segreta.

A quel punto, di pari passo con la sua rilevanza mediatica, l’Affaire allargò anche la cerchia delle persone coinvolte. Attraverso Le Figaro, l’ex amante di Esterhazy, Madame de Boulancy, pubblicò una serie di lettere dell’ufficiale, datate dieci anni prima, nelle quali esprimeva tutto il suo disprezzo per l’esercito francese.
La notizia fu eclatante e lo Stato Maggiore non esitò a schierarsi in sua difesa, dando vita a una battaglia mediatica senza precedenti. Nonostante ciò, la francofobia che traspariva dalle lettere era evidente e i suoi superiori istruirono Esterhazy su un piano atto a scongiurare ogni pericolo di revisione del caso Dreyfus. L’ufficiale ammise pubblicamente la paternità della corrispondenza, si professò estraneo a qualsiasi attività di spionaggio e chiese di essere giudicato per dimostrare la sua innocenza. La strategia dello Stato Maggiore ebbe successo e il Consiglio di Guerra del 10 gennaio del 1898 assolse l’imputato con giudizio unanime. Nell’enorme farsa che ebbe luogo quel giorno, tre periti furono chiamati a confrontare la sua grafia con quella del bordereau: nessuna somiglianza.
Se nel ’94 una congiura burocratica aveva messo alla gogna un innocente, per ordine delle alte sfere militari, nel ’98, un traditore era stato solennemente riabilitato in nome di una giustizia inesistente. Libero da ogni accusa, Esterhazy si trasferì in Inghilterra, mentre Picquart, suo principale detrattore, fu arrestato per aver diffuso informazioni riservate.
J’accuse
La notizia dell’assoluzione di Esterhazy non passò inosservata e fomentò ancora di più gli intellettuali dreyfusards, primo fra tutti Emile Zola, che il 13 gennaio 1898 pubblicò su L’Aurore il celebre J’accuse, un articolo di 4500 parole sotto forma di lettera aperta al presidente Félix Faure.
“Signor Presidente, mi permettete […] di preoccuparmi per la Vostra giusta gloria e dirvi che la Vostra stella, se felice fino ad ora, è minacciata dalla più offensiva e inqualificabile delle macchie? […] Ma che macchia di fango sul Vostro nome- stavo per dire sul Vostro regno- è questo abominevole affare Dreyfus! Per ordine di un Consiglio di Guerra è stato scagionato Esterhazy, ignorando la verità e qualsiasi giustizia. […] La storia scriverà che è sotto la Vostra Presidenza che è stato commesso questo crimine sociale. E poiché è stato osato, oserò anche io. […] Io accuso il tenente-colonnello du Paty de Clam di essere l’artefice diabolico dell’errore giudiziario- a sua insaputa, voglio credere- e di aver in seguito difeso la sua opera nefasta, da tre anni a questa parte, mediante le macchinazioni più assurde e colpevoli. Io accuso il Generale Mercier di essersi reso complice, almeno per debolezza di spirito, di una delle più grandi iniquità del secolo. Io accuso il generale Billot di aver avuto tra le mani le prove certe dell’innocenza di Dreyfus e di averle soffocate, di essersi reso colpevole di tale delitto di lesa umanità e di lesa giustizia, per scopi politici e per salvare lo Stato Maggiore compromesso. Io accuso il generale de Boisdeffre e il generale Gonse di essersi resi complici dello stesso delitto. […] Io accuso infine il primo Consiglio di Guerra di aver violato il diritto […] e accuso il secondo Consiglio di Guerra di aver coperto tale illegalità dietro un ordine, commettendo a sua volta il crimine giuridico di prosciogliere scientemente un colpevole. Formulando queste accuse non ignoro che sono soggetto agli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881, che punisce i reati di diffamazione. Appunto per questo mi espongo. […] E l’atto che qui compio non è che un modo rivoluzionario per accelerare l’esplosione della verità e della giustizia. […] Che si osi dunque chiamarmi in Corte d’Assise e che le indagini si svolgano alla luce del sole! Attendo”.

Le parole di Zola infersero un colpo durissimo allo Stato Maggiore. Come si evince dall’estratto, lo scrittore era intenzionato a subire un processo per calunnia e diffamazione che, essendo legato all’Affaire, avrebbe portato il tutto davanti a un tribunale non militare. D’altro canto, vista l’eccezionale risonanza mediatica del J’accuse, l’esercito francese non ebbe altra scelta che sporgere denuncia.
Tuttavia, le alte sfere militari erano consapevoli del pericolo a cui andavano incontro, quindi istruirono i giudici affinché Zola venisse giudicato per il solo reato diffamatorio, cercando di ridurre al minimo ogni riferimento all’Affaire. Il 18 agosto del 1898 fu ritenuto colpevole e condannato a un anno di carcere. In seguito presentò ricorso, ma, visto il clima di tensione, si recò in esilio in Inghilterra, in attesa che si calmassero le acque. Nonostante l’esito del verdetto, il suo piano aveva sortito l’effetto sperato: le contraddizioni dell’Affaire e la corruzione dell’esercito erano uscite alla luce del sole. L’insensata assoluzione di Esterhazy e le condanne politiche di Zola e Picquart furono i nuovi elementi messi a disposizione dell’opinione pubblica, ormai consapevole del misterioso clima di corruzione e omertà che orbitava attorno all’intero caso.
La scoperta del “falso Henry”
Nel frattempo, come Ministro della Guerra succedette a Mercier Godofroy Cavaignac, che era convinto del ruolo di spia dell’ex ufficiale ebreo e decise di raccogliere nuove informazioni per dimostrare definitivamente e senza alcun’ombra di dubbio la legittimità della sua condanna. Consultò l’intero dossier dell’Affaire e vi scoprì la presenza di numerosi documenti che durante il processo non erano stati rivelati alla difesa, incluso il “falso Henry”. Sapeva di aver fra le mani molte più prove di quante il pubblico ne conoscesse e il 7 luglio 1898, in una seduta della Camera, espose tutte le sue scoperte agli altri deputati, che accolsero con entusiasmo il suo discorso e votarono per renderlo di pubblico dominio.

Ogni comune della Francia lesse le parole di Cavaignac e il successo antidreyfusard parve schiacciante ma, involontariamente, il Ministro aveva ammesso che la difesa non aveva avuto accesso a tutte le prove e, dunque, rese legittima una richiesta di revisione. Intanto, il capitano Cuginet, membro del gabinetto di Cavaignac, mentre era intento ad analizzare il “falso Henry” alla luce di una lampada nella sera del 13 agosto, si rese conto che la tipologia di carta dell’intestazione con la firma di Panizzardi non corrispondeva a quella del corpo centrale della lettera: qualcuno le aveva unite per spacciarle come un unico testo. Cavaignac fu subito informato e aprì un’indagine interna per venirne a capo. Dopo un’ora di interrogatorio, Henry confessò di aver falsificato la missiva e altri documenti chiave del dossier segreto. Fu posto in stato di arresto e il giorno seguente si suicidò tagliandosi la gola con un rasoio.
Il secondo processo e la riabilitazione
I passi falsi degli antidreyfusards crearono i presupposti ideali per far sì che la Corte di Cassazione annullasse la sentenza del ’94 e accogliesse la richiesta di revisione del caso. Le conseguenze furono immediate: Zola e Dreyfus ebbero il permesso di rimpatriare, Picquart fu scarcerato e alcune alte sfere dell’esercito, come l’ex Ministro Mercier, furono accusate di aver ostracizzato il regolare svolgimento delle indagini.
Purtroppo, l’odissea dell’ufficiale ebreo non era ancora terminata: la Cassazione, il più alto organo giuridico della Francia, aveva ordinato altre indagini, ma il giudizio spettava di nuovo a un Consiglio militare. Il 7 agosto del 1899 ebbe inizio il secondo processo e la Francia versava in un clima di tensione non indifferente. Dall’esilio, Esterhazy ammise pubblicamente la paternità del bordereau, ma ciò non bastò affinché venisse fatta giustizia. Ogni prova dell’accusa fu prontamente smontata e, ancora una volta, lo Stato Maggiore pressò la Corte per ribadire il verdetto del ’94.

Il 9 settembre Alfred Dreyfus fu riconosciuto colpevole del reato di alto tradimento, però, a differenza di cinque anni prima, con soli 5 voti a favore e con “attenuanti”. La sentenza fece molto discutere: pur non volendo rinunciare alla condanna, lo Stato Maggiore aveva ugualmente ammesso l’errore giudiziario, poiché il concetto di tradimento con attenuanti risultava alquanto forzato. La nuova pena prevedeva dieci anni di carcere e il 10 settembre Dreyfus presentò istanza di ricorso, ma, essendo palese la volontà dell’esercito a non assolverlo anche a fronte di un’innocenza evidente, il nuovo presidente del Consiglio, Pierre Waldeck-Rosseau, ideò un escamotage per permettergli di tornare a casa. Il piano prevedeva di presentare una richiesta di grazia al Presidente della Repubblica, ma ciò implicava ammettere il reato.

Dreyfus tergiversò molto sul da farsi, ma, infine, si convinse a dichiararsi colpevole e poté ricongiungersi con la moglie e i figli. Tuttavia, dovette aspettare ancora qualche anno prima che la giustizia riabilitasse il suo nome. Al precedente governo di destra succedette uno di sinistra molto più vicino alla causa dell’ufficiale e ciò favorì un lento distacco dalla corruzione dell’esercito. Il 9 marzo del 1905, il procuratore generale Baudolin chiese alla Cassazione la revisione del caso, esonerando il Consiglio di Guerra da qualsiasi giudizio.
A fronte di una chiara e veritiera analisi delle prove, con lo Stato Maggiore tagliato fuori, la corte annullò la sentenza del ’99 e ordinò la pubblica riabilitazione di Dreyfus. Libero dalle accuse di alto tradimento, fece ritorno nell’esercito, dove prestò servizio nella Grande Guerra con il grado di tenente-colonnello e le sue gesta gli valsero l’assegnazione della Légion d’honneur.

Alfred Dreyfus, il martire del più grande complotto politico-militare del XIX secolo, si spense a Parigi il 12 luglio del 1935. Fu sepolto nel Cimitero di Montparnasse e l’epitaffio sulla tomba recita: “Qui giace il Tenente Colonnello Alfred Dreyfus, ufficiale della Légion d’honneur”.