La visione infernale di Wetti: il monaco che ispirò Dante per Inferno e Paradiso

Abbazia di San Gallo, IX secolo dopo Cristo. L’abate del monastero è un tale di nome Walhafrid Strabo. Oltre ad essere un religioso, Walhafrid è anche un poeta. Sta infatti lavorando per mettere in versi, rigorosamente latini, un fosco e inquietante racconto che gli è giunto dalla Germania. A fissarlo per primo sulla pergamena era stato un altro abate, il quale, a propria volta, lo aveva udito da uno dei suoi monaci, morto nell’anno 824, ai primi di novembre. Il giorno prima di esalare l’ultimo respiro, costui aveva deciso di mettere i confratelli a conoscenza di una straordinaria visione che aveva avuto qualche tempo addietro.

Walhafrid Strabo

Tutto era cominciato un giorno in cui Wetti – questo il nome del monaco – stava cercando di riposare, steso sul pagliericcio della sua cella. Era malato, ma nonostante si sentisse esausto non riusciva ad addormentarsi. Ad un tratto aveva avuto l’impressione che lì, accanto al suo giaciglio, ci fosse qualcuno. Non si era ingannato: sollevate le palpebre, gli era apparsa infatti la figura di un uomo, vestito con un saio proprio come il suo. Sembrava, però, che avesse il viso imbrattato di fuliggine, e i suoi occhi si distinguevano a malapena. Con grande sgomento di Wetti, l’uomo aveva subito preso a minacciarlo, agitando nell’aria i più orribili strumenti di tortura. Ma, per sua fortuna, era intervenuto poco dopo un terzo personaggio, ammantato di porpora, dal viso splendido, che aveva scacciato quel terrificante intruso e si era poi chinato al suo capezzale mormorandogli alcune brevi, dolcissime parole.

Ritrovatosi di colpo nuovamente solo, Wetti aveva quindi fatto chiamare il priore, e gli aveva narrato ogni cosa. Dopodiché aveva chiesto che gli fossero portati nella cella i Dialoghi di Gregorio Magno, e aveva insistito affinché venissero recitati per lui i sette salmi penitenziali. Il priore, pensando forse che il fratello stesse delirando per la febbre (o, forse, temendo per la sua anima), lo aveva accontentato senza obiettare e, dopo aver fatto leggere per lui un paio di brani, si era infine ritirato in modo che Wetti potesse coricarsi e dormire. Ma ecco di nuovo il suo bel salvatore, non più vestito di porpora, ma di una veste bianchissima. Lo aveva fatto alzare, e lo aveva condotto per un sentiero mai visto.

Lui e la sua guida erano giunti così in un luogo arcano, stupefacente, nel quale si ergeva una montagna, cinta tutt’intorno da un fiume fragoroso. A breve distanza si intravedeva un bizzarro edificio di legno e di pietra, assai fatiscente, dal quale si innalzava un gran fumo. La sua scorta gli aveva quindi rivelato che all’interno della costruzione dimoravano le anime di alcuni monaci, «ad purgationem suam», cioè al fine di ottenere una purificazione dai peccati commessi durante la vita terrena.

Mappa del 1707 dell’isola di Reichenau, dove si trovava l’abbazia di Wetti

Wetti aveva compreso allora che il luogo che stava visitando si trovava al di là del mondo degli uomini, e che l’uomo dalle vesti candide altro non era che un angelo. È bene ricordare che ci troviamo nel IX secolo, in un’epoca in cui non si era ancora imposta l’idea di un regno ultraterreno intermedio tra il regno dei beati e la dimora delle anime dannate, come più tardi sarà il Purgatorio. Qui comincia la sezione più tenebrosa della visione di Wetti, dalla quale trapela anche una certa ossessione per la sessualità. Il monaco racconta infatti che l’angelo gli aveva indicato le anime di numerosi sacerdoti, i quali erano sottoposti a terribili castighi per aver sedotto delle donne. Wetti aveva visto poi queste ultime, immerse nel fuoco fino all’inguine. La sua guida gli aveva reso noto che, ogni tre giorni, le donne sarebbero state frustate sul pube. Wetti era disorientato, atterrito, ma la sua angoscia era arrivata al culmine pochi istanti dopo, quando l’angelo gli aveva additato l’anima di un uomo che, in vita, era stato addirittura incoronato imperatore, e si era eretto a difensore della Chiesa e del “popolo romano”:

Carlo Magno

Wetti lo aveva visto a terra, immobilizzato e completamente nudo, mentre una bestia feroce gli sbranava i genitali. L’angelo aveva dunque spiegato al monaco che quella punizione era dovuta agli amori illeciti ai quali Carlo si era abbandonato. All’epoca della visione circolava invero più di una diceria sul conto dell’imperatore franco: si favellava che avesse avuto rapporti incestuosi con la sorella, e che fosse lui il vero padre di Rolando, il leggendario paladino della “Chanson de geste” eponima. L’angelo aveva tuttavia assicurato a Wetti che, una volta espiate le sue colpe, Carlo sarebbe stato accolto tra i beati.

Ed è tra questi ultimi che si svolge l’ultima parte del viaggio. Wetti racconta di essersi lasciato alle spalle innumerevoli torture, e di aver raggiunto finalmente una valle di meravigliosa bellezza, sfavillante d’oro e d’argento. Alla presenza delle anime dei santi e dei martiri, era stato ammonito a fare ammenda delle proprie colpe, ed esortato a predicare in favore della povertà e dell’umiltà. Dopodiché, Wetti aveva preso congedo dalla sua scorta e dai quei luoghi oltremondani, risvegliandosi all’interno della cella quando, ormai, già cominciava ad albeggiare.

Papa Leone III incorona Carlo Magno

Un’ultima nota riguarda proprio il fatto che Wetti si sia risvegliato alle prime luci del giorno: era opinione diffusa, nel Medioevo, che i sogni fatti in prossimità dell’alba contenessero un messaggio veritiero. Sulla scia di un’antica tradizione, prima neoplatonica e poi araba, si riteneva infatti che, sul fare del mattino, l’anima fosse più distaccata dalle impressioni sensoriali, e potesse quindi accedere indisturbata alla realtà profonda, extrasensoriale.

1 Cfr. JACQUES LE GOFF, La nascita del Purgatorio, Einaudi, Torino 2014 pp. 131-133
La versione poetica di Walhafrid Strabo – la cosiddetta Visio Guetini – è riportata nel secondo tomo dei «Monumenta Germaniae Historica. Poetae latini».


Pubblicato

in

,

da