La Vendetta di Gaetana: 23 bambini vittime della superstizione nell’Italia di fine ‘800

La drammatica vicenda di Gaetana Stimoli sembra uscire dritta dritta da un passato oscuro: stregoni, incantesimi malvagi, superstizioni e veleni. E invece la donna, capace di commettere una serie di omicidi tra i più raccapriccianti della storia del crimine in Italia (e non solo), compie le sue tristi imprese nel 1895.

Poco più di cento anni separano la nostra epoca da quella degli eventi occorsi ad Adernò (oggi Adrano), in Sicilia, eppure sembra esserci in mezzo un abisso temporale e si stenta a credere che, alle soglie del XX secolo, un’atavica condizione di povertà e ignoranza abbia potuto indurre una giovane donna a trasformarsi in una pluriassassina di bambini, immune – stando alle cronache dell’epoca – al pentimento e al rimorso.

In realtà, ad innescare la furia omicida della donna non sono solo povertà e ignoranza, ma è un dolore che non conosce conforto né tregua, un dolore che nemmeno tutto il tempo di una vita può alleviare:

La perdita dei propri figli

Certo, all’epoca miseria e malattie si portavano via tanti bambini (nel 1887 – secondo dati ISTAT – in Italia si contavano 347 decessi per mille nati vivi contro i 2 odierni), ma questo non significava che la perdita di un figlio potesse essere accettata con più rassegnazione o con meno dolore.

La povera Gaetana, che all’epoca dei fatti ha appena 33 anni, li perde tutti i suoi figli, e non ha certo modo di elaborare un lutto simile, anzi, quella tragedia la conduce sulla strada per il suo personale inferno.

Panorama dell’odierna Adrano – Immagine di Azoto Liquido via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0

Adernò, alle pendici dell’Etna, è un paese come tanti in Sicilia, dove il neonato Regno d’Italia porta qualche cambiamento quanto a strutture pubbliche (si inaugura un ospedale, il primo liceo, una stazione del telegrafo e una centrale elettrica), ma nulla muta nella vita delle classi più povere: i contadini rimangono nella loro miseria e le terre incolte dei feudi non vengono riassegnate. Insomma, la grande speranza di riscatto nata con l’arrivo della Spedizione dei Mille di Garibaldi muore sul nascere.

Malattie infettive ed epidemie – in particolare vaiolo nero e colera ad Adernò – mietono moltissime vittime, senza neppure la consolazione di una diagnosi che potesse spiegare quelle morti. I medici condotti dell’epoca non sapevano dare un nome a certe malattie per le quali non esistevano cure, e comunque, chi viveva in miseria non poteva certo permettersi di pagare la parcella di un dottore.

Gaetana Stimoli non può o forse non vuole rivolgersi a un medico, oppure l’ha fatto e non è servito a nulla, fatto sta che i suoi bambini muoiono. Le poche notizie che oggi si riescono a reperire raccontano della perdita di due bambini piccoli, portati via da chissà quale malattia. Gli eventi successivi – il processo e la condanna della donna – vengono riportati con grande enfasi da molti giornali di tutto il mondo, in Germania, Stati Uniti, Francia, ma è il quotidiano svizzero Le Temps che, con un lungo e dettagliato articolo, fornisce particolari un po’ diversi: la donna racconta di aver già assistito alla morte di quattro dei suoi figli, così, quando si ammala il quinto e ultimo rimasto, si rivolge a un mago conosciuto per la sua capacità di spezzare anche le più potenti “fatture”. Gaetana si convince che no, non c’entrano le malattie: i suoi figli “sono stati strogati” (stregati) da un’anima malvagia, addirittura la sua stessa sorella. Questo è quanto le dice lo stregone, che di fronte alla morte dell’ultimo figlio – oltre a rifiutarsi di restituire quanto la Stimoli aveva pagato – si giustifica parlando di una maledizione troppo potente, impossibile da annullare.

Non esiste speranza in una giustizia umana o divina in grado di confortare quel dolore, che si trasforma in furia omicida: Gaetana Stimoli decide che tutte le madri di Adernò debbano provare il suo stesso tormento, e mette in atto una diabolica vendetta.

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I bambini del paese, di età compresa fra i 4 e i 6 anni, iniziano misteriosamente a scomparire, oppure a morire tra atroci dolori sotto gli occhi delle madri tanto atterrite quanto impotenti. Nessuno sa spiegare quelle morti improvvise, e addirittura un medico del luogo si spinge a dire che potrebbe trattarsi di una particolare epidemia, tanto selettiva da colpire solo i bambini di quell’età. Responsi di questo tipo spiegano, in un certo qual modo, perché poi la gente del paese si sia rivolta a qualche strega per tentare di salvare i propri figli, senza ottenere ovviamente nessun risultato.

Nel giro di un mese, fra settembre e ottobre del 1895, muoiono (o scompaiono) 23 bambini. Tra loro c’è anche l’unico figlio della sorella di Gaetana. La strage sarebbe probabilmente continuata fino a che non fossero morti tutti i piccoli del paese se non fosse accaduta una cosa che Gaetana Stimoli non aveva certo previsto: l’ultima delle sue vittime arriva a casa con tutti i sintomi degli altri bambini – vomito e dolori allo stomaco – ma in forma un poco più leggera, tanto che i genitori hanno speranza di salvarlo e così si decidono a chiamare il medico, che in effetti fa la diagnosi giusta – avvelenamento da fosforo – e riesce a curare il bambino.

Grazie al racconto del superstite emerge l’agghiacciante realtà dei fatti: Gaetana Stimoli offriva dei dolci a ogni bambino che si trovasse a passare vicino a casa sua, e poi anche un bel bicchiere di latte per dissetarlo. Proprio nel latte (vogliamo vederci un simbolo del nutrimento materno o dell’avvelenato desiderio di morte di una madre? ) la donna scioglieva del fosforo e del velenosissimo liquido estratto da una pianta locale, l’Euphorbia bivonae (carramuni in dialetto siciliano), un intruglio che non dava scampo.

Pianta di Euphorbia bivonae alla riserva dello Zingaro – Immagine di Tato Grasso via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0

L’ultima vittima si salva perché la quantità di veleno era evidentemente insufficiente, così il bambino riesce a raccontare di quella donna così gentile, che gli ha offerto qualche dolcetto e una bevanda bianco latte. E’ la sfortunata Gaetana Stimoli, la povera donna che, dopo aver perso i suoi figli, si consola coccolando i bambini degli altri.

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Nessuno, in paese, sospettava di lei

I gendarmi si precipitano a casa della donna, che inizialmente nega tutto, poi si decide a raccontare, apparentemente con sadico piacere (sempre secondo le cronache dell’epoca), lo svolgersi degli eventi: la morte dei figli “affatturati”, la volontà di far provare il suo stesso dolore alle altri madri, l’odio verso quei bambini che, a differenza dei suoi, potevano ancora correre liberi e felici per il paese.

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Oltre alla Stimoli vengono arrestati il marito e altre sette persone in qualche modo coinvolte nei riti magici che accompagnavano gli omicidi. Ma solo il destino della donna ci è noto: le guardie devono portare via la donna di nascosto, durante la notte, perché tutti gli abitanti di Adernò vogliono farsi giustizia da soli. Lei arriva al carcere di Catania, dove tenta di suicidarsi con i cocci di una bottiglia rotta, ma poi collabora con gli inquirenti e indica dove ha sepolto dieci dei bambini scomparsi.

Inizialmente, tutti coloro che si occupano del caso tendono a ritenere la donna inferma di mente, ma la sua lucidità e la mancanza di qualsivoglia segno di rimorso inducono i giurati a non tenere conto di quella diagnosi: Gaetana Stimoli viene condannata a trenta anni di reclusione.

Così commenta, qualche anno dopo, il medico legale Salvatore Ottolenghi (a lui si deve la nascita della criminologia come scienza):

“Come l’idea di una subìta malia possa per vendetta trascinare ai più gravi reati di sangue, è pure dimostrato da quanto avvenne nell’autunno 1895 in Adernò (Catania). Dieci ragazzi, intorno ai dieci anni, morirono in breve tempo per causa ignota. Si venne a scoprire ch’erano stati tutti avvelenati da certa Gaetana Stimoli, che volle in questo modo vendicare un figlio ch’essa credette morto in causa di stregonerie. La terribile madre comparve alle Assise di Catania: i periti la ritennero inferma di mente e quindi irresponsabile; lo stesso Pubblico Ministero ammise il vizio parziale di mente; i giurati esclusero qualsiasi alterazione mentale e la condannarono a trent’anni di reclusione, con soddisfazione del pubblico, dissero i giornali di quei giorni; di quel pubblico, aggiungo io, ch’era animato dallo stesso spirito di vendetta che aveva trascinata quella disgraziata al suo pazzesco reato.

Se a tanto può condurre la vendetta per malia subìta, come debbono apparire pericolosi coloro che coi loro consulti mantengono vive queste superstizioni fra il credulo popolino!”
[Salvatore Ottolenghi, La suggestione e le facoltà psichiche occulte in rapporto alla pratica Legali e Medico-Forense, Fratelli Boca, Torino, 1900, p. 377]

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Malgrado la notizia sia riportata da Ottolenghi con qualche imprecisione (il numero e l’età delle vittime), la sua analisi mette in evidenza due cose: il terribile potere della superstizione e l’altrettanto terribile desiderio di vendetta che, anche quando giustificato, non può che avere effetti per nulla legati all’idea di giustizia.

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Gaetana Stimoli muore in carcere, e certamente essere rinchiusa in un manicomio criminale non avrebbe fatto chissà quale differenza per lei. Quella scelta avrebbe però potuto far comprendere quanto fosse folle attribuire la morte dei suoi figli a un maleficio, ma tant’è, probabilmente non era solo lei a crederlo…


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