La triste storia del mangaka Hideo Azuma, creatore di Pollon

Hideo Azuma a 19 anni è un ragazzo giapponese come tanti, con il sogno di diventare un mangaka (un autore di fumetti), e per raggiungere lo scopo nel 1969 si trasferisce dall’isola dell’Hokkaido a Tokyo. È quel genere di fumettista che disegna storie divertenti, allegre e con quel pizzico di ironia surreale che non guasta. Comincia subito a farsi conoscere e debutta come aiutante di Rentaro Itali, un mangaka professionista, nel realizzare opere nonsense Sci-Fi.

Lavora molto Hideo, e lavora sodo, e i disegni in cui passa la sua mano vengono molto apprezzati dal pubblico (soprattutto quello maschile), perché le protagoniste sono in prevalenza dei personaggi femminili con fattezze infantili in atteggiamenti ammiccanti che tanto piacciono a questa fetta di lettori.

Uno di questi, “Fujori Nikki” (Diario assurdo), vince addirittura il premio Seiun come miglior manga; anche sulle riviste specializzate come Weekly Shonen Champion il lavoro di Hideo viene apprezzato, ma in questa sequela di successi e riconoscimenti l’unico insoddisfatto è proprio il suo fumettista.

Hideo Azuma in giovane età:

Hideo è prolifico, certo, riesce a regalare al lettore momenti di ilarità, su questo è imbattibile, ma proprio non ce la fa a sostenere quel ritmo di lavoro così pressante, e lentamente in lui si fa strada un disagio che non riesce a comprendere. Sente che c’è qualcosa che non va, qualcosa che gli manca, e nessun foglio o matita al mondo riescono a colmare il vuoto esistenziale che ha dentro. Così, per cercare almeno di arginare quel malessere interiore si lascia andare al vizio più subdolo di tutti: l’alcool.

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Beve Hideo, beve tanto, beve troppo. Le sue ubriacature lo portando a distaccarsi dalla realtà di tutti i giorni, e poco importa se è il papà di altre due opere che lo hanno consacrato tra i mangaka preferiti dal pubblico come “Ochamegami monogatari Korokoro Poron” e “Nanako SOS”, in Italia diventati celebri rispettivamente con gli anime “C’era una volta Pollon…” e “Nanà Supergirl”, l’alcool ormai lo ha fatto cadere in un baratro senza via d’uscita..

Ebbene, sì, Hideo Azuma è il disegnatore di Pollon, della piccola semidea combina guai che ha divertito una generazione di bambini, ma anche adulti,  con le sue strambe e surreali avventure.

Se in Italia la trasposizione animata “C’era una volta Pollon…” è diventato un cult, in Giappone non è andata benissimo, ma in compenso, in madre patria, la versione animata di Nanako SOS ha fatto esplodere la sua notorietà.

Una notorietà che diventa pressante e lo stressa a tal punto che il suo sogno è diventato un incubo! Come dirà in seguito. Un incubo dal quale è meglio scappare. Hideo sparisce di casa per ben due volte e per ben due volte viene ritrovato a vagare per strada mentre vive come un barbone.

La prima volta che sparisce lo fa alcuni giorni prima del Natale del 1989: decide di non avvertire nessuno, gli balena alla mente la più torbida delle idee nel tentare il suicidio, ma fortunatamente non riesce nell’intento e prende un’altra strada, quella del vagabondaggio. Vive alla giornata, lontano dai ritmi frenetici non ritrova la serenità ma piuttosto una fase di totale stallo. La vita frenetica che un fumettista si accolla sulle spalle ogni giorno in ufficio sembra un ricordo lontano, o forse sono solo i fumi dell’alcool a dilatare il tempo. Si isola completamente dal mondo e lì campa e sopravvive al freddo invernale attaccato alla bottiglia. Si copre con stracci e lembi di tela lerci, mangia cibo avanzato frugando nella spazzatura e una volta ruba del cibo di un altro senzatetto. Man mano che il tempo passa si fa più furbo, e per cibarsi si reca direttamente ad un cassonetto dei rifiuti sul retro di un ristorante. Un giorno, per puro caso, un poliziotto di quartiere lo trova, lo riconosce e lo riconsegna alla famiglia.

La seconda volta che sparisce è nel 1992, e stavolta sa come cavarsela, avendo già una certa esperienza come senzatetto: cambia città, va il più lontano possibile e stavolta si concede anche qualche altro vizio, oltre all’alcool; fuma mozziconi di sigarette trovate nei posaceneri, si diverte assai mescolando le gocce di liquori rimaste sui fondi delle bottiglie dei cassonetti dell’immondizia e chiama questi cocktail “by Azuma”.

Si diverte, anzi no, non si diverte affatto, perché si annoia.

“C’era qualcosa che mi cresceva in testa”, dirà in seguito al suo ritorno all’ovile, perché la seconda volta Hideo torna a casa, ma non prima di aver vissuto come una persona qualunque in una città qualunque.

Annoiato dalla vita per strada, decide di trovarsi un lavoro, e lo trova in un’impresa di manutenzione di reti idrauliche. È un lavoro semplice, si tratta solo di rimuovere tubi e fare buche nel terreno. In poco tempo stringe amicizie coi colleghi e gli viene anche offerta una casa, Hideo accetta e presto si fa non solo un nome ma si fa degli amici fidati ed è promosso come supervisore. Purtroppo, però, come in tutti i settori, c’è sempre qualche collega insopportabile e litigioso e a lui non va proprio di bisticciare. Così, da un giorno all’altro, si dimette. Di quell’esperienza dirà: “visto che non avevo più niente da fare, ho deciso di tornare a fare manga”.

Hideo torna a casa e quel “qualcosa” che gli cresce in testa ancora non matura, ma riprende a lavorare nel suo settore. Se la vita da mangaka è ripresa, non si può dire che l’esperienza da alcolista sia al termine, perché Hideo non ha mai smesso di bere. A singhiozzo tenta di buttar giù nuovi disegni e scrivere ancora, ma non ce la fa proprio. Il culmine arriva nel 1998, durante il matrimonio del fratello, dove arriva ubriaco fradicio: è l’inizio della fine per Hideo.

In preda al delirium tremens ha le allucinazioni e perde totalmente il controllo del suo corpo. Ancora una volta fa capolino l’idea del suicidio, ma stavolta lo fa in maniera subdola: beve e vomita.

A questo punto la famiglia prende una decisione drastica, lo prende di peso e lo porta in una clinica psichiatrica per disintossicarsi. Hideo viene costretto a letto, legato e sedato quando quelle terribili crisi di astinenza si presentano; vengono a trovarlo spesso amici e conoscenti , e questo gli fa bene e ne favoriscono la ripresa, seppur dolorosa e lenta.

Tornato a casa ricomincia a disegnare manga e finalmente si concretizza quel “qualcosa” che faticava ad uscire dalla sua mente: “Il diario della mia scomparsa”. Il fumetto racconta la sua personale epopea di vita in strada con la sua solita ironia, ma non manca di riportare le sue frustrazioni, i suoi momenti bui e lo stress che ha dovuto subire a causa del lavoro intenso. Quest’opera vince il premio Japan Media Arts Festival e il Premio culturale Osamu Tezuka.

Quando qualcuno gli domanda come fosse la vita da vagabondo Hideo risponde:

“Se si riesce a superare la fame e il freddo, la vita da senzatetto è piena di momenti piacevoli, visto che si è completamente liberi, non si hanno obblighi né limitazioni”.

Il tempo passa e sembra tornato il sereno nella vita di Hideo, ma i suoi eccessi presentano il conto. La sua salute crolla. A 69 anni si ammala di cancro all’esofago e il 13 ottobre del 2019 se ne va per sempre. La famiglia ne dà il triste annuncio solo alcuni giorni dopo aver svolto le esequie in forma privata. Hideo ha lasciato questa terra, ed è bello pensare che sia riuscito a raggiungere l’agognata libertà che gli era sfuggita nella sua vita da mangaka.

Valeria Colle

Nata a Napoli, è una grande appassionata di Storia e Arte.