Fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo un ruggito si propagava fra le campagne incontaminate del Nepal e terrificava gli abitanti di Champawat, bloccandoli nelle proprie abitazioni. Era il ruggito della Tigre mangiatrice di uomini che aveva ucciso dozzine di persone, la cui fame sembrava essere inarrestabile. Nonostante la sua reputazione non le fu mai dato un nome ufficiale, e rimane tutt’oggi nel Guinnes dei Primati per essere l’animale che uccise il maggior numero di esseri umani nella propria vita.
Gli attacchi alla popolazione erano così frequenti che le persone parlarono di demoni e di punizioni divine. La responsabile era una magnifica tigre del Bengala femmina rimasta ferita da un cacciatore. L’animale era infatti riuscito a fuggire dalle grinfie dell’uomo, ma aveva i canini spezzati dal proiettile. Questa menomazione, quasi insignificante per noi uomini, impediva al felino di cacciare le sue prede naturali, e la costrinse a rivolgersi a quelle più facili e meno “selvatiche”:
Gli esseri umani
La tigre inoltre provava sicuramente un dolore costante, che probabilmente ne acuiva la ferocia.
La tigre iniziò le uccisioni, tutte per la necessità di nutrirsi, in una regione nepalese alle pendici dell’Himalaya. Dopo le prime dozzine di morti furono inviati alcuni cacciatori nella zona per tentare di ucciderla, ma invano. Il fallimento dei cacciatori spinse le autorità a coinvolgere l’esercito, che comunque non uccise l’animale ma riuscì a farlo spostare attraverso il confine con l’India, nel quale continuò la sua attività predatoria nel distretto di Kumaon.
L’audacia dell’animale, o forse la sua fame, crebbero con il passare del tempo, e cominciò a uccidere non solo con il favore delle tenebre, ma anche durante il giorno. Le campagne indiane erano popolate di persone che viaggiavano a piedi fra i villaggi, e che venivano aggredite dall’implacabile animale. Gli uomini non uscivano dalle baracche per andare a lavoro, e la vita delle placide campagne indiane era diventata un vero inferno.
Un giorno la tigre, dopo quasi un decennio che si cibava esclusivamente di uomini, finì nelle mire di Jim Corbett, un cacciatore inglese che sarebbe diventato famoso prima per la sua capacità di uccidere i “predatori di uomini”, e poi per la conversione alla causa ambientalista di protezione degli animali. La tigre aveva ucciso una ragazza di 16 anni nel villaggio di Champawat, lasciando una scia di sangue e brandelli di carne che Corbett riuscì a seguire. Il cacciatore trovò la tigre il giorno seguente e la freddò, ponendo fine alle agonie dell’animale e a quelle degli abitanti della regione.
L’autopsia sulla tigre evidenziò come i denti canini superiori e inferiori del lato destro fossero rotti, quello superiore a metà e quello inferiore sino all’osso. Queste lesioni, con ogni probabilità, impedivano al grande felino di cacciare le sue prede naturali, e lo costringevano a cercare nell’uomo un’alternativa pericolosa ma al tempo stesso accessibile di alimentazione. Al momento della cattura, l’animale aveva ucciso almeno 436 esseri umani, ma è probabile che il numero fosse assai più elevato a causa delle sparizioni non denunciate dei viandanti.
Jim Corbett pubblicò un libro, “La mangiatrice di uomini di Kumaon”, che venne poi trasposto su pellicola ad Hollywood. Di seguito, la scena finale del film:
Naturalmente la prima vittima di questa storia fu proprio la tigre, che fu costretta a cacciare una preda tanto poco nutriente quanto pericolosa come l’uomo. Le conseguenze infauste della caccia alla tigre e ad altri felini, nelle regioni indiane, del Nepal e del Pakistan, provocarono sovente episodi di animali feriti che, costretti loro malgrado, attaccavano l’uomo.