Nell’immaginario comune, il “ponte” é associato simbolicamente ai concetti di unione, congiunzione e contatto, ma a Mitrovica, città situata nel nord del Kosovo, tale rappresentazione è totalmente ribaltata: qui il ponte costituisce un elemento di scissione di due differenti etnie, albanese -a sud del fiume Ibar – e serba nella zona nord.
E’ sabato, nella sponda sud un bambino indossa un berretto blu con le sei stelle, simbolo del Kosovo: la piazza pullula di persone e in cielo sventola la bandiera albanese. Non molto lontano da qui si trova la più grande moschea kosovara che, oltre ad avere un’importanza religiosa, costituisce un simbolo di indipendenza rispetto alla sponda al di là del fiume, di matrice ortodossa.
Gli abitanti del quartiere albanese passeggiano sul ponte, si fermano per ammirare le lontane montagne innevate, percorrono ancora pochi passi e poi tornano indietro. Prima e dopo il ponte ci sono le vetture dei Carabinieri della missione Kfor, garanti dell’ordine in questa zona dei Balcani che, negli anni ’90, fu colpita da una feroce guerra. Il Kosovo nel 2008 ha dichiarato la propria indipendenza, al momento la popolazione è costituita per il 92% da albanesi e per il 5% da serbi ma in questa città le percentuali si equivalgono e la convivenza è problematica.
Sull’altra sponda del fiume si trova la comunità serba, nei pressi del ponte sono ancora presenti le macerie del muro iniziato a costruire anni fa con l’intento di sancire una separazione ancor più netta dalla comunità albanese. Nonostante la decisione europea di eliminare le tracce di questa opera architettonica, ne rimangono tuttora i resti, atti a testimoniare un ancor nitido intento di reciproca chiusura.
I contrasti e le differenze si respirano nel quotidiano: nella zona sud viene utilizzato l’euro, l’alfabeto latino e le macchine sono targate RKS (Kosovo); nella zona nord, invece, si paga con dinaro serbo, si usa l’alfabeto cirillico, le macchine sono targate SRB (Serbia) ed è possibile trovare bandiere serbe esposte orgogliosamente ovunque, persino nei murales e nelle insegne dei negozi. In quest’ultima area, istituzioni, ospedali e università dipendono da Belgrado, ragion per cui si è scelto di rendere il ponte zona pedonale, garantendo una maggior tutela dell’influenza serba sui comuni del nord. L’atmosfera tra le due aree è nettamente separata anche a livello sonoro: i canti dei muezzin dei minareti che riecheggiano nella zona albanese si contrappongono al forte suono delle campane della chiesa ortodossa.
Le due comunità non si incontrano mai, non hanno contatti se non per poche eccezioni. Le ragioni per visitare “l’altra sponda” sono di ragione sociale. L’ospedale nella zona serba è in condizioni migliori rispetto a quello a sud, invece le vie della zona albanese sono ricche di negozi, anche di marchi prestigiosi, e qui si trova l’unico fast food internazionale di Mitrovica.
Quello che può essere, invece, considerato un punto di contatto tra le due realtà é uno spomenik, presente sulla cima di una collina della zona nord, ossia un monumento socialista eretto in memoria delle vittime -serbe e albanesi- delle miniere locali. Mitrovica si presenta come una città più che sicura per i turisti, che non dà adito a timori riguardanti i possibili scontri tra le due realtà.
Ciò che lascia l’amaro in bocca é, però, questa netta divisione tra due popoli così vicini seppur così distanti che ricercano la pace tramite la separazione.