La storia delle Case del Popolo in Italia

La seconda metà del XIX secolo vide in tutta Europa l’affermarsi del sistema economico industriale capitalistico e conseguentemente il crescere del numero degli operai i quali, dopo la faticosa giornata di lavoro, si ritrovavano per bere, giocare e discutere in piccole taverne e/o caffè.

Con la crescita del movimento operaio e socialista questi luoghi divennero però troppo piccoli e inadeguati per scambiare idee e confrontarsi su temi politici anche perché spesso bersaglio di controlli e irruzioni da parte delle forze dell’ordine.

La necessità, comune a tutti i movimenti socialisti europei, di avere più spazio e un luogo in cui poter discutere tranquillamente, fu inizialmente risolta riunendosi dietro i caffè, negli orti, nei cortili, mentre in un secondo momento gli stessi operai presero in affitto o costruirono un edificio con aule abbastanza grandi sia per le riunioni politiche, che per il ballo e le feste, ovvero le “Case del popolo”. La prima Maison du Peuple nacque in Belgio il 5 agosto 1872.

La situazione italiana

Lo sviluppo capitalistico, in Italia, avvenne in tempi successivi rispetto ad altri Paesi europei, ma allo stesso modo esso diede vita ad un movimento operaio che per lo svago, la bevuta e per discutere e confrontarsi sui problemi comuni si riuniva nelle osterie e in altri locali tra cui: le cantine sociali, le mescite di vino, le birrerie, i “casini” operai nel Carrarese, i catobi nel Parmense e nel Ferrarese, le cameracce in Romagna.

La ex Casa del Popolo di Crocemosso. Fofotografia di F Ceragioli condivisa con licenza Creative Commons 3.0 via Wikipedia:

In Romagna era uso, infatti, già prima dell’Unità d’Italia, che i lavoratori delle campagne si riunissero nelle cosidette “Cameracce”, luoghi ricreativi privati dove si giocava e si beveva, al pari delle osterie, e che possiamo considerare come le antenate delle Case del popolo.

Questi centri di ritrovo come le osterie, le Cameracce e gli altri sopracitati, già frequentati dai lavoratori nei giorni di festa e/o durante i mercati settimanali, perché vicini alle fabbriche, divennero presto anche sedi di diffusione di idee e di propaganda dal momento che qui si potevano reperire e leggere i giornali del tempo e discutere con i compagni sulle questioni politiche e sulle tematiche attuali. Molti di questi luoghi ospitavano anche le sedi di Associazioni e Circoli come: Circoli di reduci, Circoli monarchici, liberali e così via. A Bologna, per esempio, l’osteria “ed Cipuloni”, detta la “garibaldéna”, era la sede del “Circolo reduci” e del “Circolo Pisacane”, “ed Pincì” la sede della “Società Popolare per l’Istruzione, la Libertà e il Benessere”, “ed Carmèli” era frequentata dagli operai della vicina azienda “Ceramica Bucci”. Togliatti, nel 1935, racconta:

“Esistevano delle organizzazioni le quali si riallacciavano a delle forme di organizzazioni preesistenti. Per esempio nella Venezia Giulia vi era una larga rete di organizzazioni culturali, di circoli, ecc… Ma era questa una eredità della socialdemocrazia austriaca lasciata all’Italia dopo l’annessione a questa della Venezia Giulia. […] Dappertutto erano elemento caratteristico gli scopi molto semplici i quali non andavano più in là del

trattenimento serale, del locale per bere un bicchiere di vino e di cose di questo genere. […] L’Emilia ha una grande quantità di circoli vinicoli i quali si propongono questi scopi. Questi circoli esistono anche in Piemonte e, in generale, in tutte le regioni vinicole. […] Queste forme nel Mezzogiorno non esistevano, o almeno esistevano in misura molto limitata…

Nel 1871 sempre nel capoluogo emiliano all’interno del ristorante e albergo delle “Tre Zucchette”, venne fondato il Fascio Operaio, associazione in Emilia legata all’Internazionale socialista.

Nella storia del movimento socialista la nascita delle Case del popolo fu un momento di svolta poiché significò passare da un’organizzazione per certi aspetti clandestina, discontinua e occasionale ad una più stabile, con un’attività continua, pubblica e diffusa nel territorio.

Le strutture ex novo venivano edificate con il lavoro volontario dei soci e col loro denaro. Quest’ultimo raccolto tramite le sottoscrizioni dei soci che si autotassavano acquistando azioni della Cooperativa, della Società o del Circolo, e ne diventavano quindi comproprietari. Sebbene le forme di autofinanziamento fossero diverse da un luogo all’altro, il metodo e gli statuti erano simili.

La prima Casa del popolo italiana

La prima Casa del popolo in Italia fu quella di Massenzatico (RE) inaugurata nel 1893. La struttura fu edificata su un terreno messo a disposizione da Camillo Prampolini, uno dei fondatori del Partito dei lavoratori italiano, per ospitare la nuova sede della Cooperativa di consumo, e, per questo, venne chiamata dai reggiani “L’Artigiana” o “La Braguzza” o “Casa Madre”. L’edificio fu denominato “Casa del popolo” da parte dei delegati del Psi durante il II Congresso Nazionale del Partito socialista, per sottolineare che il movimento si riuniva in una casa costruita dagli stessi lavoratori. Tutti i partecipanti, infatti, al termine del Congresso, che si tenne a Reggio Emilia dall’8 e al 10 settembre 1893, si recarono a Massenzatico per la cena conclusiva e per l’inaugurazione dell’edificio appena costruito. Tra i presenti vi furono anche il delegato belga Vandervelde, fondatore del Partito socialista belga e i delegati del Partito operaio italiano, Turati e Ferri.

Le Case del popolo, oltre che sedi delle organizzazioni dei lavoratori, divennero centri per l’educazione democratica e per la lotta all’alcolismo; per la rivendicazione della laicità dello Stato e della scuola.

Case del popolo italiane: socialiste, repubblicane e cattoliche La Casa del popolo inizialmente fu l’espressione del movimento socialista, e solo successivamente anche i repubblicani e i cattolici si dotarono di strutture simili. Le Case del popolo repubblicane si presentavano come edifici isolati e venivano costruite dai militanti riuniti in Società cooperative, e, come quelle socialiste, ospitavano: mescite di vino; stanze di ricreazione; uffici di Società operaie e di Mutuo soccorso e, soprattutto nei centri rurali, spacci cooperativi. Queste strutture ebbero maggiore diffusione in Romagna dove il movimento repubblicano era molto forte.

Per quanto riguarda i cattolici, prima ancora dell’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII del 15 maggio 1891, la Chiesa esortava i fedeli ad occuparsi dei lavoratori e delle loro condizioni di vita, pertanto quando i socialisti iniziarono a costituire le proprie Case del popolo, anch’essi formarono Cooperative, Circoli, Leghe bianche, Casse rurali, Associazioni di mutua carità e Circoli di studenti cattolici, ed inoltre fondarono Scuole di arti e mestieri, teatrini e filodrammatiche. In Emilia-Romagna, a Cesenatico, l’8 aprile 1900, venne costituita la prima Cooperativa di consumo cattolica, e Casse rurali sorsero a Gattolino, Calisese, Pievesestina, San Carlo ed in altri piccoli centri.

In contrapposizione alle Leghe socialiste e repubblicane nacquero le Unioni Professionali del Lavoro il cui statuto fu approvato durante il VI Congresso dei cattolici romagnoli tenutosi a Faenza il 21 e il 22 novembre 1900 e che si diffusero in tutto il Faentino. La diffusione di tutte queste istituzioni cattoliche, seppur concepite all’ombra delle canoniche, richiesero sedi adatte che furono individuate nelle Case del popolo. La prima di queste fu costituita il 9 settembre 1905 a Faenza, dove il movimento cattolico era molto forte, nei locali della Biblioteca di via Castellani 25 nata nel dicembre 1877 per opera di don Antonio Montanari.

Questa Casa del popolo [di Faenza n.d.r.] è una cooperativa cattolica e ha un riferimento ad altre due cooperative cattoliche, Ferrara e Piacenza, e insiste nell’area cattolica a differenza di altre cooperative della zona qui che insistevano nell’area socialista. Un’esperienza derivante dalla scossa che diede al movimento cattolico l’enciclica Rerum novarum di Leone XIII nel 1891. Il mondo cattolico si mosse, furono fondate soprattutto le casse rurali che si risolvevano in piccole entità racchiuse soltanto nel portafoglio del prete o del parroco, casse rurali che durante il periodo fascista praticamente scomparirono quasi completamente al di fuori di quattro o cinque.

Indipendentemente dalla storia individuale che ogni Casa del popolo ebbe, tutte furono accomunate dall’essere un luogo per i lavoratori, costruito con il loro contributo volontario e pertanto di loro proprietà e che accoglieva le loro organizzazioni.

Libri consigliati / bibliografia

– L. Arbizzani, S. Bologna, L. Testoni (a cura di), Storie di Case del popolo. Saggi documenti e immagini d’Emilia-Romagna, Grafis, Casalecchio di Reno (Bologna), 1982

– A. Canovi, M. Fincardi, R. Pavarini, M. Poletti, R. Testi (a cura di), Di nuovo a Massenzatico.

Storie e geografie della cooperazione e delle case del popolo, Rubbettino, Reggio Emilia, 2012

– S. Cortesi, La piuma e il mattore, Storia della Casa del popolo di Castello d’Argile, Pedragon, Bologna, 2017

– L. Liotti, I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Fratelli Lega Editori, Faenza, 1957

– G. Mayer, Friedrich Engels, la vita e l’opera, Einaudi, Torino, 1969

– S. Martelli e L. Testoni, Lineamenti per una storia dell’associazionismo culturale sportivo e ricreativo in Italia, Arci Regionale Emilia-Romagna, Bologna, 1980

– A. Schiavi, Note di Economia sociale sulla Mostra della Previdenza, Società tipografico editrice nazionale, Torino, 1907

– Sidney e Beatrice Webb, Storia delle Unioni Operaie in Inghilterra, Unione Tipografico – Editrice Torinese, Torino, 1913

– S. Sozzi, Breve storia della città di Cesena, Circolo Culturale «Rodolfo Morandi», Cesena, 1972

– P. Togliatti, Lezioni sul Fascismo, Editori Riuniti, Roma, 2019

Alice Strazzeri

Alice Strazzeri consegue la laurea in Lettere cum laude presso l'Università di Cagliari con una tesi sul partigiano Antonio Garau comandante della Brigata modenese “Aldo Casalgrandi” lavorando su interviste inedite dell'ISSRA (Istituto sardo per la storia della Resistenza e dell'Autonomia). Continua i propri studi laureandosi col massimo dei voti all'Università Almae Mater Studiorum di Bologna in Scienze Storiche e Orientalistiche con una tesi sul femminismo che le permette di vincere il premio di laurea “Luciana Zerbetto”. Ha collaborato con la Fondazione Berlinguer di Cagliari e partecipato al Workshop etnografico sulla metodologia dell'intervista presso il Centro Servizi culturali di Carbonia (SU). Pubblica articoli in varie riviste online quali: WitnessJournal; Nuovatlantide; ParentesiStoriche; Ancorafischiailvento e FattiPerLaStoria. Attualmente collabora con la Fondazione Duemila di Bologna per la scrittura di un libro sulle vicende storiche della Casa del popolo di Calcara (BO).