La storia della sanguinosissima Congiura dei Pazzi di Firenze

Firenze, Anno Domini 1478, 26 aprile. I forti rintocchi delle campane di Santa Maria del Fiore squassano la quiete dell’ora del pranzo, spargendosi tra le tegole, i piccioni tubanti e le torri merlate dei palazzi.

Chiamano i Fiorentini alla Messa di Pasqua

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

C’è un’atmosfera frizzante, sotto le svettanti volte ogivali della cattedrale cittadina: c’è attesa e speranza non solo per la sacra ricorrenza; il rito celebrerà la ritrovata pace tra Firenze e Roma.

Da qualche tempo non corre buon sangue tra il ricchissimo banchiere che governa dall’ombra la città sull’Arno, Lorenzo de’ Medici, e Papa Sisto IV. I Medici sono stati per decenni i banchieri del Papato e Sisto ha preso a piene mani fiorini dai loro forzieri. Nel ’73 ha però bruscamente interrotto i rapporti, facendo di un’altra famiglia fiorentina, i Pazzi, i suoi banchieri. Il motivo era semplice. Lorenzo de’ Medici non voleva prestare al Papa i soldi necessari per comprare la città-fortezza di Imola, chiave per il controllo della rotta commerciale che dall’Adriatico valicava gli Appennini in direzione di Firenze. In quanto Cripto-Signore di Firenze, Lorenzo non può infatti permettersi una simile avventatezza strategica.

Lorenzo de’ Medici:

Il vecchio Jacopo Pazzi ne ha approfittato, strappandogli il primato alla tavola del pontefice e guadagnandosi il favore del suo ambizioso nipote, Girolamo Riario, neoeletto Signore di Imola. Poco dopo, Lorenzo s’era scontrato con un altro nipote di Sisto, il Cardinale Giuliano Della Rovere (futuro Papa Giulio II), intento a guerreggiare in Umbria, ed aveva organizzato contro Roma una lega Firenze-Venezia-Milano. Il Papa aveva risposto organizzando una lega Roma-Napoli e colpendo nuovamente Lorenzo al portafoglio (cioè al cuore) affidando ai Pazzi il lucrosissimo affare del monopolio sull’allume estratto dalla cave pontificie e venduto in tutta Europa come elemento fondamentale per la tintura dei tessuti.

Nell’Italia del Rinascimento si sono schierati cavalieri e cannoni per molto meno!

Si era andati davvero vicini ad una recrudescenza delle terribili Guerre di Lombardia chiuse dalla Pace di Lodi. Tutto questo però appartiene al passato.

Lorenzo e il Papa sono tornati in buoni rapporti e per celebrare la fine delle ostilità il Pontefice ha inviato suo nipote, il diciassettenne Cardinal Raffaele Sansoni-Riario, a celebrare la funzione pasquale. Dopo la funzione, i messi papali banchetteranno con i Medici e con i Pazzi.

Il giovane Sansoni-Riario è intento a prepararsi nella sagrestia del tempio, quando Lorenzo giunge accompagnato dallo stuolo dei suoi cortigiani (i fratelli Antonio e Lorenzo Cavalcanti, Francesco Nori, Antonio Ridolfi, il grande umanista Poliziano e gli altri) e prende posto sul banco riservatogli, pronto a godersi quel giorno di trionfo.

Ciò che Lorenzo de’ Medici ignora è che sta per ritrovarsi al centro della più nota congiura del Rinascimento con lo sgradevole ruolo della vittima.

Non tutti, a Firenze, si radunano nel cattedrale

In una delle città più industriose d’Italia e d’Europa c’è chi sta lavorando, e deve sostituire un attimo di privato raccoglimento alla partecipazione del solenne rito. Mentre le campane rintoccano, tra chi ne approfitta per una pausa pranzo ci sono anche i funzionari che governano la repubblica fiorentina: i Priori. In realtà, sono tutte pedine manovrate da Lorenzo de’ Medici che, tra gli altri, gode della piena fedeltà di Cesare Petrucci, in quel momento gonfaloniere della città: cioè capo dei Priori e signore de iure di Firenze. Anche se è domenica, i politici sono al loro posto, nel palazzo che allora come oggi è sede del governo municipale fiorentino: l’iconico Palazzo Vecchio (allora noto come “Palazzo dei Priori”).

Palazzo Vecchio, fotografia di Photo2021 condivisa con licenza Creative Commons 4.0 via Wikipedia:

Tra chi non festeggia la Pasqua in cattedrale c’è anche il fascinoso fratellino scavezzacollo di Lorenzo, Giuliano de’ Medici. S’è ferito ad una coscia durante una battuta di caccia, pochi giorni prima, e non vuol muoversi da Palazzo Medici (oggi sede del consiglio metropolitano fiorentino). Aveva già informato il fratello che non l’avrebbe accompagnato al pranzo pasquale con il Cardinal Sansoni-Riario ed i Pazzi, e ora ha risolto anche di astenersi dalla messa.

La partita è cominciata e sia Cesare sia Giuliano sono trascinati in gioco. Giuliano viene letteralmente “trascinato”, anche se con modi amichevoli. I servi gli annunciano che due ospiti eccellenti sono giunti per scortarlo in chiesa: manco a dirlo, uno dei due è niente meno che Franceschino Pazzi, così prodigo d’abbracci (insoliti) e di lusinghe da convincere Giuliano a seguire lui ed il suo amico, Bernardo Bandini, alla messa.

Giuliano de’ Medici, dipinto di Sandro Botticelli:

Petrucci viene invece informato che l’arcivescovo di Pisa, giunto a Firenze al seguito del Cardinal Sansoni-Riario, è a Palazzo Vecchio e chiede udienza per perorare la causa di alcuni fuoriusciti perugini (gente sgradita ai Fiorentini, padroni di Perugia, ma graditi al Papa che si prodiga per loro).

I canti liturgici, le volute d’incenso e la voce del Cardinal Sansoni-Riario si elevano dall’altare attraverso l’enorme spazio vuoto delimitato dalla cupola che Brunelleschi costruì per la cattedrale quando a Firenze comandava Cosimo de’ Medici detto “il Vecchio”. Cosimo è morto da tempo ed i suoi due nipoti, Lorenzo e Giuliano, sono, come gli altri, assorti nella sacralità del rito pasquale.

A Palazzo Vecchio, il gonfaloniere Cesare si accomoda nel suo ufficio, al primo piano, ed aspetta che l’Arcivescovo Salviati lo raggiunga. I visitatori sono nella cancelleria, di là dalla porta. Sono cinquanta uomini, tutti armati e pronti ad entrare in azione. Neutralizzeranno Petrucci e cattureranno i Priori, barricandosi nel palazzo e controllando così il potere politico cittadino.

La porta si apre e la porta si chiude.

Salviati è davanti a Petrucci. La serratura, automatica, si è chiusa alle spalle dell’Arcivescovo. Salviati ha intrappolato nella cancelleria gli uomini che dovevano aiutarlo!

In Santa Maria del Fiore, il Cardinal Sansoni-Riario chiude la funzione.

– Ite, Missa est –, recita.

Sotto la cupola e le volte del tempio, il brusio della folla si riaccende, tra lo scricchiolio delle panche ed il calpestio dei fedeli che si mettono in movimento. I fratelli de’ Medici dirigono verso l’uscita. Sono davanti alla Cappella della Croce, quando la trappola scatta.

Bernardo Bandini e Franceschino Pazzi affiancano Giuliano. Bandini sguaina una daga dal farsetto e la conficca nel petto della vittima. Il giovane de’ Medici barcolla e cade riverso sul pavimento.

Due preti convergono su Lorenzo: sono Antonio Maffei da Volterra e Stefano da Bagnone, il cappellano della famiglia Pazzi. Antonio appoggia una mano sulla spalla di Lorenzo, prima di calare la daga. Lorenzo reagisce d’istinto al tocco dell’avversario. Fortuna? Buon addestramento alla lotta?

Fatto sta che schiva il colpo ferale, beccandosi una ferita di striscio al collo

Franceschino balza addosso a Giuliano con la foga di un ossesso. Lo crivella di pugnalate. Così tanti colpi e portati tanto scompostamente che finisce con il ferirsi alla gamba. Il suo sangue si mischia a quello che esce copioso dal corpo dell’odiato nemico i cui occhi già vitrei fissano il soffitto. Il servo di Giuliano, atterrito dall’orrore, è fuggito.

Bertoldo di giovanni, medaglia della congiura dei pazzi, 1478. Fotografia di Sailko condivisa con licenza Creative Commons 3.0 via Wikipedia:

Maffei e Bagnone calano le daghe. Lorenzo si rigira il mantello sul braccio sinistro per parare i colpi e sguaina la spada. I due sacerdoti colpiscono a vuoto. Lorenzo se li è già lasciati alle spalle. Ha scavalcato la balaustra del coro e punta verso la Nuova Sagrestia, stretto tra i fedeli Antonio e Lorenzo Cavalcanti che nella mischia s’è beccato una coltellata al braccio.

Bandini punta su Lorenzo ma trova il mediceo Francesco Nori a sbarrargli il passo. Lo trafigge al petto, uccidendolo.

Lorenzo e i Cavalcanti si rintanano nella sagrestia, dove li attendono Poliziano e gli altri che sbarrano dall’interno la porta. Tutti si accalcano intorno a Lorenzo. La ferita va medicata. Va anche mondata? La lama del prete poteva essere avvelenata. Ridolfi si offre subito di succhiare il sangue.

Da dietro le ante lignee, giungono rumori ovattati, deboli. A Palazzo Vecchio, Petrucci e Salviati si fronteggiano nell’ufficio del gonfaloniere.

– Ebbene? – intima Cesare.

Salviati lo fissa inebetito. Si gira a guardare il portone. Farfuglia delle amenità. Torna a fissare l’uscio. Petrucci fiuta il marcio. Esce sul ballatoio e chiama a raccolta i priori e i servitori.

Il gonfaloniere si trova davanti Jacopo Bracciolini, il capo degli scherani che hanno accompagnato l’Arcivescovo. I due uomini si fissano per una manciata di secondi. Il congiurato non ha ancora estratto la spada. Cesare gli balza addosso, gli immobilizza il braccio, lo afferra per i capelli e lo fa girar su sé stesso, bloccandolo.

Dal cortile, un gruppetto di uomini di Salviati risale in cerca di Bracciolini.

I priori ed i servi di palazzo raggiungono Petrucci. Si sono armati di coltelli e schidioni prelevati frettolosamente nelle cucine. Bracciolini e Salviati vengono immobilizzati, mentre Cesare tuona – Barricate le porte!

Dentro Santa Maria del Fiore s’è scatenato l’Inferno. Franceschino Pazzi è stato portato in salvo dai familiari. Anche il vecchio Jacopo ha lasciato la chiesa. Giuliano de’ Medici giace morto in un lago di sangue che va allargandosi. Maffei, Bagnoni e Bandini hanno riposto i pugnali e si sono mescolati alla folla, sparendo.

Il Cardinal Sansoni-Rairio è rannicchiato contro l’altare maggiore, tremante e pallido. Gli si fanno incontro dei sacerdoti che lo conducono nella Sagrestia Vecchia, al sicuro. Nella Sagrestia Nuova, Lorenzo de’ Medici va domandando – È salvo Giuliano?

Gli amici, intorno a lui, non sanno rispondergli.

Rumori alla porta. – Siamo amici! Siam Parenti! Esca Lorenzo prima che gli avversari prendan piede!

Poliziano e compagni si scrutano in volto. Amici o nemici? – È salvo Giuliano? – domandano.

Sigismondo Stufa appoggia una scala alla cantoria e vi s’inerpica. Sbircia di sotto. Riconosce facce amiche. – Aprite! – intima. Quando scende è terreo in volto. Ha visto il cadavere di Giuliano de’ Medici.

Un nutrito seguito d’armati si chiude intorno a Lorenzo e lo scorta verso Palazzo Medici senza lasciargli il tempo di accostarsi al corpo di suo fratello. Chi si ritrova davanti alla salma è il poeta Poliziano che quasi sviene per la vista straziante e che ci lascerà una vivida testimonianza di questo attentato.

La Martinella, la campana che chiama a raccolta la cittadinanza, suona a martello dalla Torre d’Arnolfo che corona le merlature di Palazzo Vecchio.

– Il gonfalone, presto! – esorta Petrucci. – Portate il gonfalone. Che i cittadini lo vedano!

Il Gonfalone di Giustizia, il grande stendardo di Firenze, viene srotolato fuori dalle finestre della cancelleria. Sotto le falde ondeggianti della bandiera, Piazza della Signoria inizia a riempirsi di popolo. Dentro a Palazzo Pazzi, i rintocchi della Martinella suonano inesorabile come una marcia funebre.

Franceschino è costretto a letto dalla ferita. Tenta di alzarsi, ma non ci riesce.

Lorenzo è vivo o morto? Sta pensando. Bisogna aizzare il popolo contro i Medici! Cavalcare il successo! Lo zio Jacopo deve farsi Tedoforo della rivolta.

Il decano lascia il nipote a letto e monta a cavallo, accompagnato da una truppa scelta di mercenari papalini guidati da Giovan Battista Montesecco, un condottiero sodale di Girolamo Riario (sono loro il braccio armato del complotto). Il drappello raggiunge Porta della Croce, la occupa con la forza e vi lascia un presidio. Saggiamente, i congiurati si sono garantiti una via di fuga. Girano i cavalli ed avanzano al galoppo verso Piazza della Signoria. Sono circa un centinaio di armati. Si fanno largo fino all’Arengario, la piattaforma dalla quale si leggono gli annunci e i bandi ufficiali. Gridano l’inno fiorentino: «Il popolo e la libertà!».

I Fiorentini presenti non rispondono.

Dal ballatoio di Palazzo Vecchio, Petrucci ed i suoi lanciano sassi e insulti ai congiurati.

Jacopo Pazzi prende coscienza del fallimento. Nessuno a Firenze è intenzionato ad appoggiare il suo colpo di stato.

Volge il cavallo e, seguito da Montesecco, lo lancia a spron battuto verso Porta di Santa Croce e la salvezza. La situazione, a Firenze, evolve rapidamente.

Lorenzo è al sicuro a Palazzo Medici, mentre la Martinella continua a rintoccare. Il popolo si raduna nelle strade e parla dell’attentato, del sangue e del sacrilegio commesso. I partigiani medicei fomentano gli animi. Si comincia a gridare. Morte ai traditori!

I Fiorentini accorrono in armi a Palazzo Vecchio per riprenderselo. I portoni sono barricati, così appiccano il fuoco all’ingresso laterale noto come “Porta della Dogana”. Dalla piazza giunge un chierico inviato da Sansoni-Riario in cerca di Salviati. La folla gli si chiude addosso e lo fa a pezzi.

È solo il primo sangue.

Il popolo irrompe nel palazzo e i corridoi rimbombano delle urla e del calpestio di quella moltitudine. I congiurati sono stanati e spacciati sommariamente. Alcuni vengono gettati ancora vivi dalle finestre, schiantandosi sulla piazza, venti metri più in basso, dove altri inferociti Fiorentini li fanno a pezzi. Jacopo Bracciolini viene impiccato ad una finestra, poi, quando ha smesso di scalciare, anche lui viene precipitato da basso per la spoliazione e il dileggio.

Salviati scampa a stento al supplizio. Per ora.

Una masnada urlante, capitanata dal mediceo Piero Corsini, conquista Palazzo Pazzi. Strappano Franceschino Pazzi dal letto e lo trascinano nudo per la strada fino a Palazzo Vecchio. Niente interrogatorio né processo. Gli legano una corda al collo e lo impiccano da una finestra del ballatoio, defenestrandolo. Subito dopo tocca a Salviati. Anche per lui un cappio ed un tuffo nel vuoto, dalla medesima finestra da cui penzola il cadavere nudo di Franceschino. Negli spasmi del cappio, gli occhi sgranati, la bocca dell’arcivescovo si chiude addosso ad uno dei capezzoli della salma, consegnandolo alla morte in quella posa grottesca.

Un’altra decina di corpi volano nel vuoto legati ad un capestro, tra cui anche due sacerdoti. Ci sono ormai grappoli di corpi che penzolano da Palazzo Vecchio. Altri penzoleranno dal Palazzo del Podestà.

A fine giornata, si ricomporranno 29 salme presso la Chiesa di San Pier Scheraggio, vicino Palazzo Vecchio

Il popolo rifluisce verso Palazzo Medici. Facinorosi paghi di sangue con arti umani conficcati sulle lance e famiglie di curiosi con i bimbi al seguito. Lorenzo de’ Medici si affaccia dalle bifore del piano nobile, le mani levate, salutando i concittadini che hanno messo in atto la sua vendetta. Li saluta. – Popolo, mi ti raccomando!

Bernardo Bandini, l’assassino di Giuliano de’ Medici, ha nel frattempo risalito l’Arno su di una barchetta fino al campo delle truppe pontificie che si erano segretamente portate in territorio fiorentino per conquistare Firenze. Il Papa aveva infatti benedetto la Congiura dei Pazzi, orchestrata abilmente da suo nipote Girolamo Riario che ambiva a prendere per sé Firenze. Bandini annuncia che Lorenzo de’ Medici è ancora vivo, così il comandante del corpo d’invasione, Lorenzo da Castello, risolve di ritirarsi.

Giuliano de’ Medici è morto ma la Congiura dei Pazzi è fallita su tutta la linea

Gli uomini armati che calano poco dopo su Firenze sono alleati inviati da Giovanni II Bentivoglio, signore di Bologna. Aiutano Lorenzo a mettere in sicurezza la città e a dar la caccia ai congiurati.

Tutti i membri ed i servitori della famiglia Pazzi sono braccati, stanati. Renato, Giovanni e Niccolò Pazzi sono catturati nel Mugello. Stessa sorte per Andrea Pazzi ed il virgulto Galeotto, scoperto mentre tenta di fuggire vestito da fanciulla. È solo Guglielmo Pazzi, sposato de’ Medici, a consegnarsi.

Lorenzo resta chiuso a Palazzo Medici. Non si sporcherà le mani ufficialmente ma, per tramite della magistratura cittadina che governa, attuerà una spietata repressione fisica dei ribelli.

Si comincia a Pasquetta. Dieci congiurati sono impiccati al Palazzo del Podestà. In serata, i cadaveri, nudi, vengono gettati sul selciato e, la mattina dopo, esposti negli sportelli dei notai del palazzo, come grottesche statue a grandezza naturale. Quello stesso giorno (il 28 aprile), Jacopo Pazzi è fermato a bastonate da dei contadini a Borgo di Castagneto. Ricondotto a Firenze in serata, viene impiccato dal ballatoio di Palazzo Vecchio, seguito poco dopo dal nipote Renato, mentre altri sette familiari dei Pazzi sono impiccati dal Palazzo del Podestà.

Stemma dei Pazzi, palazzo Pazzi della Congiura. Fotografia di Sailko condivisa con licenza Creative Commons 3.0 via Wikipedia:

Il 30 aprile, Lorenzo de’ Medici tributa al fratello delle esequie grandiose nel mausoleo di famiglia, la chiesa di San Lorenzo. La dinastia al completo, circondata da una moltitudine di cittadini, «tutti vestiti a nero», presenzia alla funzione. La situazione è ancora tesa. Tra la folla, sono numerosi i partigiani medicei «armati sotto mantegli e cappucci», come scrive un anonimo, nel volume “Breve cronaca della Congiura de’ Pazzi”.

Il 1° maggio viene arrestato Giovan Battista Montesecco.

Domenica 3 maggio, Maffei e Bagnone vengono stanati. Erano tenuti nascosti dai benedettini della Badia di Firenze, a due passi da Palazzo Vecchio. Una folla rabbiosa mutila loro il naso e le orecchie prima di consegnarli alla giustizia. L’indomani penzolano da una corda dal Palazzo del Podestà mentre Montesecco, in ragione di una piena confessione, viene onorevolmente decapitato all’imbrunire e la sua testa esposta.

L’orgia di sangue pare essersi placata.

Non è così. Manca l’ultima, grottesca scena.

Una pioggia fitta, innaturale, grava sulla città e i colli per giorni. Nei borghi e nelle cascine, gli animi si scaldano. Il 15 maggio, un’orda di contadini prende d’assalto la Cappella Pazzi nella Basilica di Santa Croce. Sono convinti che gli acquazzoni siano un presagio della sventura cagionata dalla sepoltura intra-muraria dello «scelerato […] eretico» Jacopo.

Disseppelliscono il cadavere e lo inumano fuori le mura cittadine. Il giorno dopo, il  16 maggio, ci racconta Landucci nel Diario fiorentin: «fanciugli lo disotterròno un’altra volta e con un pezzo di capestro, ch’ancora aveva al collo, lo straccinorono per tutto Firenze; e, quando furono a l’uscio della casa sua, missono el capresto nella canpanella dell’uscio, lo tirorono su dicendo: pichia l’uscio, e così per tutta la città feciono molte diligioni […] e gittorolo in Arno».

Non sono bastati i corpi “sozzamente lacerati e bestemmiati dal popolo” in Piazza della Signoria il 26 aprile. Lo spettacolo della morte si è protratto per settimane nelle vie cittadine. Infrangendo il tabù tipico della civiltà comunale italiana, usa a relegare al di fuori delle mura l’esecuzione fisica della pena capitale, Lorenzo de’ Medici ha portato i più sanguinosi feticci del suo potere all’interno della città. Il momento è epocale. Per decenni, i Medici hanno governato dall’ombra la città, istituendo quella che gli storici hanno definito la “Cripto-signoria medicea”. Messo da parte il tocco discreto di suo nonno Cosimo e di suo padre Piero, Lorenzo amministra la morte degli oppositori come un qualsiasi altro principe d’Italia: il suo dominio abbandona la clandestinità e si manifesta in tutto il suo più brutale potere. È solo l’arte a stemperare un poco la crudeltà: Lorenzo commissiona all’amico scultore Bertoldo di Giovanni, allievo di Donatello, una medaglia commemorativa della Congiura con le effigi sue e del compianto Giuliano.

La confessione estorta a Montesecco prima della decapitazione svelò a Lorenzo de’ Medici la ragnatela d’intrighi che aveva causato la morte di suo fratello. La tela era stata tessuta da molti ragni (Papa Sisto IV e suo nipote Girolamo Riario; Federico da Montefeltro; Ferrante d’Aragona, Re di Napoli) e s’era composta d’una summa degli odi e dei malcontenti che l’avventata gestione del potere da parte dell’allora giovane Lorenzo (non ancora «Ago della bilancia intra i principi italiani» com’ebbe a definirlo Machiavelli) aveva fomentato: i Perugini disposti a farsi sudditi del Papa piuttosto che di Firenze; i Volterrani furiosi per lo scempio della loro città che pur s’era arresa a Lorenzo; i Senesi pronti ad inginocchiarsi davanti al Re di Napoli piuttosto che ai Medici; ecc.

Gli strascichi della Congiura dei Pazzi furono lunghi. Una pluriennale spirale di ritorsioni declinata in svariate guerre e congiure.

In primis, ci fu la Guerra dei Pazzi, scatenatasi poche settimane dopo la congiura, quando il Papa aveva lanciato la scomunica contro Firenze e le truppe di Napoli e del Montefeltro si erano avventate sulla Toscana. Gli scontri si trascineranno per tutto il 1479. Come già durante l’attentato in Santa Maria del Fiore, anche stavolta Lorenzo si cavò d’impiccio per il rotto della cuffia: per salvarsi il collo, facilitò l’invasione della Puglia da parte degli Ottomani del Sultano Maometto II, rendendosi così complice del celeberrimo Massacro di Otranto (11 agosto 1480). Pressati dalla minaccia della conquista turca dell’Italia, i belligeranti peninsulari furono costretti alla pace. Lorenzo “il Magnifico” superò così la prova più dura della sua vita vincendo «l’armi e le forze del nemico» ( come dice Machiavelli) con un complotto che rischiò di consegnare l’Italia al Gran Turco.

Leonardo da Vinci, disegno del cadavere impiccato di Bernardo di Bandino Baroncelli (1479):

Poi ci fu la Guerra del Sale (1482-1484) o Guerra di Ferrara, l’ultima, inconcludente guerra d’espansione centro-italiana finanziata da Papa Sisto IV per assecondare i vanagloriosi sogni di Girolamo Riario. Il settantenne pontefice morì cinque giorni dopo la fine del conflitto e Riario, inviso al neoeletto Papa Innocenzo VIII, fuggì da Roma nei suoi domini romagnoli. Lì fu oggetto di dieci congiure volte a detronizzarlo (sei a Forlì e quattro a Imola) tutte più o meno attivamente fomentate dal Magnifico! La settima congiura forlivese, tramata questa volta più dai nemici romani di Girolamo che dai Fiorentini, andò a segno il 14 aprile 1488, sei giorni dopo la Pasqua.

Anche Lorenzo de’ Medici morì in aprile (l’8 aprile 1492), come l’amato fratello Giuliano e l’odiato nemico Riario.

Ciò non bastò a porre fine alla faida e l’ultimo strascico della Congiura dei Pazzi si dipanò nel XVI secolo, quando Papa Leone X, figlio del Magnifico, esautorò dal dominio di Urbino gli eredi di Federico da Montefeltro in favore di suo nipote, Lorenzo, figlio di Piero II de’ Medici.

Ironia della sorte, un altro rampollo mediceo, appartenente però al ramo “Popolano”, cavalcava come capitano di ventura nell’armata papale che strappò a Francesco Maria I Della Rovere, erede del Montefeltro, il ducato urbinate. Era il diciottenne Giovanni de’ Medici, poi noto come Giovanni dalle Bande Nere, figlio di Caterina Sforza e di Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici, un cugino non troppo ben voluto del Magnifico che, per un rovescio del fato, era finito nel letto della vedova del Conte Girolamo. Dal Capitano Giovanni, nelle cui vene scorrevano sia il sangue dei Medici sia quello degli Sforza, sarebbe discesa la stirpe medicea che avrebbe fatto di Firenze e della Toscana un principato vero e proprio riuscendo laddove avevano fallito i discendenti del Magnifico. Questa, però, è un’altra storia di complotti.

Bibliografia

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Cavalcanti, Giovanni (XV sec.), Istorie fiorentine, ed. (1838-1839), Firenze.

Daniels, Tobias (2013), La congiura dei Pazzi: i documenti del conflitto fra Lorenzo de’ Medici e Sisto IV. Le bolle di scomunica, la “Florentina Synodus”, e la “Dissentio” insorta tra la Santità del Papa e i Fiorentini, ed. critica e commento, Firenze, Edifir.

Guicciardini, Francesco (1509), Storie fiorentine, ed. (1859), Firenze.

Landucci, Luca (XVI sec.), Diario fiorentino dal 1450 al 1516 di Luca Landucci continuato da un anonimo fino al 1542, ed. (1883) Firenze.

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Medici, Cosimo: de’ (XV sec.), Ricordi, ed. in Fabroni, A (1789), Magni Cosmi Medicei vita, Pisa, pp. 97-101.

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Scala, Bartolomeo (1478), Excusatio Florentinorum ob poenas de sociis Pactianae in Medices coniurationis sumptas, ed. in Poliziano, Angelo (1856), Congiura de’ Pazzi, Firenze.

Studi

Mistrini, Vincenzo (2018), La Congiura dei Pazzi: omicidio politico ed operazioni speciali nell’Italia del Rinascimento; Soldiershop Publishing.

Vincenzo Mistrini

Classe 1980, Laureato in Storia Medievale e Beni Culturali (Storia dell'Arte), sono membro della Società Italiana Studi Militari ed autore di alcuni lavori d'argomento storico e storico-artistico. Da anni, pratico arti marziali e mi diletto di disegno artistico (naturalistico, storico e fantasy).