10 settembre 1931 – Salvatore Maranzano sta aspettando Lucky Luciano nel suo ufficio al nono piano del New York Central Building. Maranzano ha da poco vinto la Guerra castellammarese contro il rivale Joe Masseria, ma all’incontro si presentano quattro sicari travestiti da agenti del Fisco, che lo freddano a colpi di pistola. Con la sua morte, la vecchia guardia lascia il posto alle nuove leve e Lucky Luciano, il mandante dell’omicidio, decide di rivoluzionare la struttura interna della Mafia.
Basta inutili spargimenti di sangue, basta conflitti che danneggiano gli affari

Luciano pensa a tutto – abolisce il titolo di capo dei capi, crea la Commissione e il Sindacato Nazionale del Crimine – ma sul nome da dare alla nuova organizzazione criminale fa valere il detto siciliano “a megghiu parola è chidda ca ‘un si dici”. Vecchia regola, nuova Mafia. Non c’è bisogno di darle un nome, perché, dice Luciano, «it’s our thing», è una cosa fra noi…
È Cosa Nostra

Il fenomeno migratorio dell’Ottocento
La storia della Mafia statunitense ha inizio nell’Italia della seconda metà dell’Ottocento. Le aree meridionali della penisola sono ancora molto arretrate, la popolazione vive nell’indigenza e i più coraggiosi, o disperati, decidono di ricominciare altrove. In tantissimi attraversano l’oceano per abbracciare il sogno americano e chi sopravvive al viaggio è convinto di aver raggiunto la terra dalle grandi opportunità, un paese dove c’è posto per tutti e tutti possono fare fortuna.
La verità è un’altra

La maggior parte dei migranti rimane nelle città di New York e New Orleans, ma l’integrazione con le comunità locali è quasi impossibile, perché le classi dirigenti sono conservatrici e non vedono di buon occhio i nuovi arrivati. Gli italiani sono un po’ scuri di pelle, farfugliano, gesticolano, si vestono trasandati e diventano sinonimo di sporcizia e delinquenza. Sono considerati al pari dei neri ex schiavi nelle piantagioni di cotone. I migranti non parlano inglese e possono svolgere solo lavori manuali, quelli più umili; condizione che li spinge a far fronte comune e isolarsi dal resto della popolazione.

Si creano così dei quartieri etnici di soli italiani, baraccopoli sovraffollate dove l’unico modo per sopravvivere è mantenere la propria identità di origine.

La criminalità di stampo mafioso nasce proprio da quei migranti siciliani, legati a Cosa Nostra, che arrivano in America – molto spesso per sfuggire a condanne a morte o procedimenti giudiziari – e riprendono le attività malavitose sulla falsariga di quelle che svolgevano in patria. Le file di queste prime cosche italo-americane finiscono per accogliere anche quei connazionali rimasti delusi dal sogno americano, persone oneste che, però, vedono nella delinquenza l’unico modo per arricchirsi e vivere al di sopra delle proprie possibilità economiche.
Iniziano a diffondersi le lettere di scrocco, le intimidazioni e il pizzo, ma, almeno per il momento, le aree di competenza sono ancora limitate alle singole Little Italy.

New Orleans e il linciaggio degli italiani
I primi episodi legati al fenomeno para-mafioso riguardano New Orleans, dove, sul finire del secolo, è in corso una guerra fra le due principali famiglie malavitose della città, i Matranga e i Provenzano.
Il capo della polizia locale è l’irlandese David Hennessy, il cui nome è sul libro paga dei Provenzano. I suoi sforzi di porre fine all’escalation di violenza toccano solo i Matranga e, nella notte fra il 15 e il 16 ottobre del 1890, un gruppo di ignoti gli tende un agguato all’uscita da un saloon . La corsa in ospedale è inutile, ma, prima di morire, Hennessy riesce a sussurrare questa parola, Dagoes, un epiteto dispregiativo tipico della xenofobia anti-italiana.

La polizia fa subito partire le indagini e si accanisce contro i circa 30.000 abitanti della Little Italy di New Orleans. Dopo una serie di confessioni estorte sotto maltrattamenti, diciannove siciliani finiscono in prigione, ma non tutti sono legati ad attività malavitose – alcuni sono cittadini onesti la cui unica colpa è quella di essere italiani – e non ci sono prove sufficienti per accusarli dell’omicidio di Hennessy.
Il 13 marzo del 1891, i giudici assolvono gli imputati. L’opinione pubblica non è d’accordo – crede che la Mafia abbia corrotto la giuria – e sessantuno cittadini di New Orleans, tutti membri illustri della comunità statunitense, decidono di farsi giustizia da soli.

Intorno alle 10 del giorno successivo, una folla inferocita armata di fucili Winchester assalta il carcere locale e fa partire un’indiscriminata caccia all’italiano, cella per cella. Undici dei diciannove imputati muoiono impiccati o fucilati in quello che passerà alla storia come il linciaggio di New Orleans, un episodio scaturito dal primo eclatante omicidio di stampo mafioso, quello di David Hennessy, che avrebbe dovuto testimoniare nel processo contro un membro di spicco dei Matranga.

Paul Kelly e la Five Points Gang
Mentre a New Orleans succede questo, a New York la situazione è un po’ più complicata, perché ci sono diverse bande di strada che si contendono le varie zone d’influenza. Fra gli italiani c’è Paul Kelly, all’anagrafe Paolo Antonio Vaccarelli, un ex pugile originario di Potenza – quindi non siciliano – che dismette i panni da popolano rozzo e sporco, come vuole lo stereotipo, e inizia a vestire abiti eleganti; una caratteristica che accomunerà tutti i suoi subalterni, fino a dar vita al classico aspetto da rispettabile uomo d’affari tipico dei gangster.

A New York, Kelly è il primo a concepire il crimine come un business organizzato. Fonda la famigerata Five Points Gang e apre diverse case di piacere nel West Side di Manhattan, ma nel giro della prostituzione c’è anche la Eastman Gang dell’ebreo Monk Eastman, che, invece, opera nell’Est Side di Manhattan.

Le due bande criminali sono entrambe in stretti rapporti con la Tammany Hall, un’organizzazione collegata al Partito Democratico che offre protezione politica dietro lauto compenso. Nei primi anni del Novecento, Eastman e Kelly iniziano una guerra per il controllo di Manhattan e i membri della Tammany Hall propongono di decidere l’esito con un match di box clandestino.

I due boss si affrontano per circa due ore, ma l’incontro si conclude con un pareggio e la faida continua fino al 1904, quando Eastman viene arrestato per rapina a mano armata e la Tammany Hall non interviene, decretando quindi la vittoria di Kelly.

La Five Points Gang rileva tutte le attività della Eastman Gang e ottiene il monopolio su Manhattan, ma la crescente influenza dei gangster italiani costringe le bande irlandesi a riorganizzarsi nella cosiddetta White Hand Gang, il cui nome nasce in risposta a quelli che sono i loro principali rivali: i membri della Mano Nera.

La Mano Nera, Joe Petrosino e la Camorra newyorkese
Se quella di Kelly è una piccola realtà criminale di italiani, la Mano Nera è un’organizzazione che racchiude diverse bande di strada para-mafiose, le cui attività principali sono il pizzo, la falsificazione di banconote e l’estorsione per mezzo di lettere di scrocco, queste ultime contrassegnate dall’impronta di una mano nera, da cui appunto deriva il nome.

Ancora non possiamo parlare di Cosa Nostra statunitense, ma la Mano Nera è quel nucleo primordiale dove ci sono uomini d’onore che, rispetto agli altri gangster italo-americani, cercano di mantenere l’esclusività delle origini siciliane, con annessi usi e costumi importati dall’Italia.

Il loro raggio d’azione è limitato alla sola Little Italy, dove la polizia gli sguinzaglia contro la squadra investigativa dell’Italian Branch, capitanata dal pioniere della lotta antimafia Joe Petrosino.
Travestimenti, interrogatori, pedinamenti e retate

Il tenente newyorkese per anni è la spina nel fianco della Mano Nera, uno zelante uomo di legge che vuole liberare i suoi connazionali da quelle mele marce che estorcono denaro a suon di intimidazioni.

La sua onorata carriera si interrompe bruscamente il 12 marzo del 1909, quando è a Palermo per indagare sui legami fra Mano Nera e Cosa Nostra siciliana, e dei sicari lo freddano con quattro colpi di pistola.

Con la morte di Petrosino, la Mano Nera prospera e continua a rilevare le attività delle bande rivali. Fra i suoi più importanti esponenti c’è Joe Morello, la cui cosca collabora pacificamente da circa un decennio con la Camorra newyorkese, un’altra realtà criminale, ma di origini napoletane.
I rapporti amichevoli fra le due fazioni malavitose si raffreddano nel 1915, quando scoppia una guerra di mafia che si protrae fino al 1920. A vincere è la Mano Nera, che può quindi estendere ancora di più il suo controllo su tutta New York a discapito degli ebrei e degli irlandesi.

Con l’inizio degli anni ’20 finisce anche l’era della White Hand Gang e della Five Point Gang – dalla cui costola nascerà la Chicago Outfit di Johnny Torrio e Al Capone – e si va così delineando un monopolio criminale delle cosche para-mafiose, le cui attività non sono più limitate alla sola Little Italy, ma abbracciano l’intera città.

Le nuove migrazioni e il Proibizionismo
Intanto, dall’Italia giungono rinforzi preziosi grazie all’involontario intervento di Mussolini, che dà carta bianca al Prefetto di Ferro Cesare Mori per sgominare la Mafia siciliana. La durissima repressione di Mori spinge molti criminali a partire per l’America e unirsi alla Mano Nera. Uno degli esuli è Salvatore Maranzano, che arriva a New York nel 1927 e, nel giro di un anno, diventa il boss della cosca appartenuta a Nicolò Schirò.

In quegli anni le guerre per il controllo delle zone d’influenza sono all’ordine del giorno e, fino al 17 gennaio del 1920, è una gara a chi può gestire una determinata attività in un preciso quartiere newyorkese, ma l’entrata in vigore del Volstead Act rimescola le carte e inaugura la stagione del Proibizionismo.

Il divieto di produrre, vendere e trasportare alcolici genera una crescente richiesta del prodotto e dà vita a un nuovo business, in cui le possibilità di guadagno sono tanto grandi che i gangster iniziano una folle corsa al contrabbando.
Tutti vogliono una fetta della torta e tutti dirottano i carichi altrui per pestarsi i piedi a vicenda

A New York la situazione è fuori controllo e i boss italo-americani Joe Masseria e Salvatore Maranzano, i più potenti dell’epoca, giungono ai ferri corti nel 1930, inaugurando la sanguinosissima Guerra castellammarese.
A questo punto della storia entra in scena Lucky Luciano

Lucky Luciano, la Guerra castellammarese e il Sindacato Nazionale del Crimine
Charlie Luciano, all’anagrafe Salvatore Lucania, arriva negli Stati Uniti nel 1905 e, fra il 1907 e il 1908, si unisce alla Five Points Gang. Nel 1920, passa al servizio del gangster ebreo Arnold Rothstein insieme al suo amico d’infanzia e socio in affari Mayer Lansky – futuro membro di spicco del cosiddetto Sindacato ebraico – poi diventa il braccio destro di Joe Masseria.

Masseria e Luciano sono spesso in disaccordo e non vedono “‘o business” allo stesso modo. Il primo, che ha ereditato la famiglia di Joe Morello nel 1922, è un mafioso all’antica, legato alle tradizioni siciliane, proprio come il suo rivale Maranzano. Entrambi appartengono alla vecchia guardia, pretendono l’esclusività delle origini siciliane e preferiscono farsi la guerra anche a costo di limitare le entrate del contrabbando.

In particolare, Masseria rimprovera a Luciano la sua collaborazione con Vito Genovese e Frank Costello – uno napoletano e l’altro calabrese – o la vicinanza agli ambienti ebraici; questioni che, però, a Luciano non interessano, perché gli affari sono affari.

Partendo da queste promesse, Luciano indice una conferenza con tutte le principali famiglie statunitensi, italiane e non – da New York a Chicago, passando per Cleveland, Filadelfia, Detroit e via dicendo – che, nel maggio del 1929, si riuniscono ad Atlantic City sotto la protezione del politico, gangster e padrone della città Enoch “Nucky” Johnson.

In questo primo grande vertice della criminalità americana, Luciano getta le basi per un’organizzazione malavitosa con accordi per la spartizione del contrabbando e una risoluzione pacifica delle controversie. Basta sangue, basta agguati per strada.
Tutto questo fa male agli affari – dice Luciano – e se vogliamo arricchirci, dobbiamo collaborare

Alla Conferenza di Atlantic City non sono presenti Masseria e Maranzano, troppo legati alle tradizioni per prendere davvero in considerazione le idee di Luciano. Nessuno di loro vuole tendere la mano all’altro o allargare la cerchia degli alleati ai non siciliani ed ecco che scoppia la Guerra castellammarese.

Masseria fa orecchie da mercante, ma la faida sta intralciando il contrabbando e, il 15 aprile del 1931, Luciano lo invita a pranzo in un ristorante di Coney Island. Un vecchio detto della mafia dice che, per commettere un omicidio, la vittima non deve sospettare nulla e, infatti, mentre Masseria mangia e Luciano cerca di farlo ragionare, quest’ultimo si alza per andare in bagno. È il segnale per Bugsy Siegel, Vito Genovese, Joe Adonis e Albert Anastasia, che entrano e uccidono il boss a colpi di pistola.

Con il tradimento di Luciano e la fine della Guerra castellammarese, Maranzano convoca a Chicago un vertice malavitoso in cui divide le cosche newyorkesi in cinque famiglie: Maranzano, Profaci, Mangano, Luciano e Gagliano, ovvero le attuali Bonanno, Colombo, Gambino, Genovese e Lucchese.
Infine, si erge a capo dei capi e pretende che tutti gli rendano omaggio

Questa inaspettata presa di posizione di Maranzano fa storcere il naso a molti, soprattutto a Luciano, che continua a vedere il futuro della criminalità organizzata in tutt’altro modo. Ma, in realtà, nemmeno Maranzano si fida del nuovo alleato e pochi mesi dopo dà ordine di ucciderlo.
Luciano lo anticipa sul tempo e, il 10 settembre del 1931, manda quattro sicari ebrei di Mayer Lansky ad assassinarlo

In teoria, adesso è lui il nuovo capo dei capi, ma Luciano preferisce evitare screzi legati all’ambizione personale e abolisce la carica. Non dev’esserci più un “Capo dei Capi”. Lo sostituisce con la Commissione, un organo direttivo che fa capo al Sindacato nazionale del crimine, una grande alleanza fra le principali famiglie americane.

Si tratta di una sorta di tavola rotonda della malavita, dove nessuno è più importante degli altri e tutti sono chiamati a discutere le controversie e decidere un’equa e pacifica gestione dei business. Ciascuna famiglia del Sindacato – le cinque di New York, la Outfit di Chicago e la famiglia di Buffalo in rappresentanza delle altre famiglie minori – hanno un boss con dietro una precisa struttura gerarchica, un territorio di competenza da amministrare in totale autonomia e delle regole per non pestarsi i piedi a vicenda.
Mai più inutili spargimenti di sangue, niente guerre che danneggino gli affari. Cosa Nostra statunitense, così come la conosciamo noi, nasce in questo momento storico.

Dalla fine del Proibizionismo al Comitato Kefauver
Nel 1933, l’era del proibizionismo volge al termine: è tempo di reinvestire i capitali, diversificare le fonti di guadagno e infiltrarsi nelle industrie tessili, dei trasporti e dell’edilizia. L’organizzazione si dimostra lungimirante soprattutto sui sindacati, la nuova frontiera del crimine.
Controllare le organizzazioni dei lavoratori, infatti, equivale a ricattare per grosse somme di denaro quelle aziende che vogliono evitare scioperi e disordini

L’epoca d’oro di Luciano dura fino al 1936, quando finisce in prigione per trent’anni con l’accusa di sfruttamento della prostituzione. Capitolo chiuso? Non per lui, perché giunge in suo soccorso la Seconda guerra mondiale. Nel 1942, i sottomarini dell’Asse affondano regolarmente le navi statunitensi dirette in Europa e il governo teme che ci sia qualche fuga di notizie dai porti newyorkesi. L’unico in grado di garantire la sicurezza dei moli è proprio Luciano, che, nonostante sia rinchiuso da quasi dieci anni in un carcere di massima sicurezza, ha ancora tutto il potere di un tempo. I federali stringono un accordo:
In cambio della sua collaborazione, il boss riceverà un sostanzioso sconto della pena

Detto, fatto. Luciano risolve la questione dei porti e, nel 1946, viene espatriato in Italia. È libero, ma ha l’obbligo di non rimettere mai più piede negli Stati Uniti; una limitazione che, però, non gli impedisce di continuare a gestire gli affari attraverso il suo boss ad interim Frank Costello.

Nel frattempo, negli Stati Uniti ancora non c’è una reale conoscenza del fenomeno mafioso. Durante il proibizionismo si è trattato più di una caccia al gangster-contrabbandiere e, dopo la Seconda guerra mondiale, gli uffici dell’FBI e del Dipartimento di Giustizia hanno pochissimi uomini impegnati nella lotta al crimine organizzato. Il motivo è che per molti politici e federali non c’è nessuna Commissione Mafiosa, e lo stesso J. Edgar Hoover, lo storico capo dell’FBI, arriva a dichiarare:
«La Mafia non esiste»

Il governo preferisce far guerra ai comunisti – dopotutto siamo nel periodo della Guerra Fredda e del Maccartismo – ma, nel 1950, il Senato vuol far luce sul coinvolgimento della malavita negli affari della nazione e istituisce un apposito comitato.

Con oltre seicento testimoni chiamati alla sbarra, il senatore Estes Kefauver decide di trasmettere le sedute in diretta televisiva e mostrare al popolo americano il vero volto della Mafia. Il problema è che quasi tutti si avvalgono del V emendamento, che, senza addentrarci troppo nell’ambito giuridico, prevede il diritto di astenersi dal deporre contro sé stessi.

Altri addirittura sbeffeggiano la commissione e aggirano le domande come se non avessero mai fatto nulla di male. Ad esempio, quando Kefauver chiede a Frank Costello: «Che cosa ha fatto per il suo paese da buon cittadino? […] Avrà pur fatto qualcosa che ci può raccontare che la accredita come cittadino americano». Costello ci pensa un po’ su e, scatenando le risate dei presenti, risponde con un semplice: «Beh, ho pagato le tasse». Era soprannominato il «primo ministro della malavita».

Lo spaccio di droga e la riunione di Apalachin
Il Comitato Kefauver chiude i battenti senza approdare a nulla e Cosa Nostra può continuare a operare nell’ombra, ma, nel 1956, il Congresso introduce pene più severe per il reato di narcotraffico, e i mafiosi implicati nell’allora nascente mercato internazionale degli stupefacenti devono correre ai ripari per non incappare in condanne a trent’anni di carcere.

Dalla Sicilia, Luciano prende in mano le redini della faccenda e, nell’ottobre del 1957, convoca una trentina di boss locali e americani nel Grand Hotel des Palmes di Palermo. All’ordine del giorno c’è la necessità di riorganizzare il traffico di droga e mandare negli States degli italiani incensurati che, attraverso attività di copertura, come pizzerie e altri locali, possono assicurare il prosieguo dello spaccio.

L’alleanza fra le due mafie inaugura il business dell’eroina, che prevede l’asse Medio Oriente, Sicilia, Marsiglia – dove avviene la raffinazione – e Stati Uniti d’America, ma Luciano ha anche il merito di aver suggerito ai cugini siciliani di adottare il suo modello del Sindacato Nazionale del Crimine e creare un organo direttivo per risolvere le questioni interne, quello che poi diventerà la cosiddetta Commissione Provinciale.

Un mese dopo il meeting di Palermo, la polizia della modesta e tranquillissima cittadina di Apalachin, nella periferia della contea di Tioga, stato di New York, nota un insolito passaggio di macchine extra lusso che si stanno dirigendo verso l’enorme villa del boss Joseph Barbara. Alcuni agenti decidono di controllare da vicino e notano oltre cento uomini ben vestiti che discutono mentre è in corso un barbecue. Quella è la Commissione che sta tenendo una riunione per risolvere alcune faccende legate al nuovo business dell’eroina e alla morte di Albert Anastasia per mano della famiglia Gambino.

Scatta la retata: sessanta esponenti della malavita finiscono in manette e tutti dicono la stessa cosa, che Barbara si è sentito male e sono venuti ad assicurarsi sulle sue condizioni di salute. La stampa si scatena. Adesso, Cosa Nostra è sulla bocca di tutti e, per la prima volta, lo Stato ha le prove che la criminalità organizzata esiste.

Le rivelazioni di Joe Valachi
Con l’elezione di John Fitzgerald Kennedy, suo fratello Bob assume il ruolo di Procuratore Generale degli Stati Uniti d’America e si impegna in una campagna antimafia in collaborazione con l’FBI. Nel 1963, arriva il suo più grande successo: riesce a far comparire dinanzi alla Commissione McClellan – istituita nel ’57 per indagare sui rapporti fra criminalità e sindacati – il soldato della famiglia Genovese Joseph “Joe” Valachi.

Anche se è solo un pesce piccolo, Joe Valachi diventa il primo grande pentito, perché rompe il giuramento di omertà e fa qualcosa che nessuno prima di lui ha fatto: svelare i segreti di Cosa Nostra in diretta nazionale.

Durante i suoi pubblici interrogatori, gli americani scoprono che ogni famiglia ha un boss, un vice e un numero variabile da uno a tre consiglieri. Sotto di loro ci sono i capimandamento – anche detti capidecima o capiregime – che controllano i made man, gli uomini d’onore, ovvero quei soldati che hanno ricevuto l’affiliazione mediante la punciuta.

In questo folkloristico rito d’iniziazione, la persona da associare viene condotta in una stanza dove il boss o altri uomini d’onore gli pungono l’indice con cui spara. Il sangue fuoriuscito serve a imbrattare un’immagine sacra da tenere in mano mentre le si dà fuoco e si pronuncia la frase: «Possa la mia carne bruciare come questo santino se non manterrò fede al giuramento».

Grazie a Valachi, l’America prende piena coscienza del fenomeno mafioso, sugli scaffali delle librerie arriva Il Padrino di Mario Puzo e ha inizio il declino di Cosa Nostra.

La legge RICO, Donnie Brasco e la Pizza Connection
Negli anni ’70, l’eroina si diffonde anche nella classe media della popolazione e il presidente Nixon identifica il consumo di droga come il nemico pubblico numero uno. Attaccare il narcotraffico significa attaccare l’attività più redditizia del crimine organizzato e, infatti, una collaborazione franco-americana riesce interrompere la rete internazionale che porta gli stupefacenti da Marsiglia al Nuovo Continente.

Le due Mafie dell’asse Palermo-New York corrono ai ripari e spostano le principali raffinerie in Sicilia. Il nuovo sistema di spaccio – scoperto fra il 1979 e il 1984 con l’indagine Pizza Connection, condotta in collaborazione fra l’FBI e i magistrati del Pool antimafia – prevede il trasferimento in America di alcuni affiliati italiani, i cosiddetti “zips”, incaricati di ricevere l’eroina e distribuirla a delle pizzerie di copertura tramite la consegna di salsa di pomodoro e formaggi.

Nel frattempo, l’FBI inizia ad avvalersi di informatori e agenti sotto copertura. Il più famoso è Joe Pistone, alias Donnie Brasco, che per sei anni riesce a infiltrarsi con successo nel clan Bonanno. Entra in vigore anche la legge RICO, acronimo di Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act, creata ad hoc per perseguire con facilità Cosa Nostra. La RICO non colpisce il singolo individuo, ma l’intera organizzazione, perché consente alle autorità di effettuare imputazioni a catena, partendo dall’incriminazione di un solo mafioso per poi allargarsi all’intera famiglia di appartenenza.

Le indagini dei federali, che adesso hanno dalla loro gli infiltrati e la RICO, portano a nuove ondate di arresti, incluso quello di John Gotti, il potente boss della famiglia Gambino incastrato grazie alle intercettazioni telefoniche e al tradimento del suo vice Sammy Gravano.

L’effetto deterrente della RICO è tanto efficace che il numero dei pentiti aumenta sempre di più e collaborare con la giustizia è quasi allettante, visto che l’FBI concede agli ex-gangster l’ingresso nel programma protezione testimoni, che include il cambio di identità, l’assegnazione di una nuova casa e il sostegno finanziario vita natural durante.

Con l’operazione Pizza Connection, il governo infligge un colpo terribile alla Mafia, ridimensionandone sia le famiglie sia i racket. Tuttavia, non bisogna credere che lo stato abbia vinto, perché, usando le parole di un agente dell’FBI, anche se non è più quella dei tempi d’oro, “Cosa Nostra è riuscita ad adattarsi e ora è più potente di quanto sia stata da anni”.

È Cosa Nostra?
Lo abbiamo visto anche in Sicilia ed è lo stesso per l’America. La Mafia è un’organizzazione che sa sempre come sopravvivere e come riorganizzarsi. La lotta è lunga, ma, se Cosa Nostra si adatta, le autorità devono adattarsi ancora di più.

E allora torniamo alla frase di Lucky Luciano: “it’s our thing”, è una cosa fra noi, è Cosa Nostra. Non è così, perché la Mafia nasce e prospera ai danni dei cittadini. Come in Sicilia i gabellotti estorcevano denaro ai poveri contadini, i membri della Mano Nera facevano lo stesso con la popolazione di Little Italy. Non è mai stata una cosa fra loro, è sempre stata a discapito di chi non può dire no, di chi non può opporsi o, in caso contrario, di chi si oppone e viene zittito per sempre. Da che mondo è mondo, la Mafia, in tutte le sue forme, è cosa nostra, ma non come la intendeva Luciano.
È una “cosa” di tutte le vittime, popolo e umanità, che la subiscono
Fonti:
- Cosa Nostra: la vera storia – Documentario in due parti di History Channel disponibile su Sky On Demand
- History of the American Mafia – Video del canale Kings and Generals disponibile su YouTube
- Mafia: le origini, la globalizzazione – Documentario di National Geographic Channel disponibile su YouTube
- New Orleans, 1891: il linciaggio degli italiani – Storica National Geographic
- Joe Petrosino, il poliziotto venuto da lontano – Storica National Geographic
- Joe Petrosino contro la Mano Nera – Storica National Geographic
- Storia dell’emigrazione italiana – Focus
- “Cosa Nostra”, la “fortunata” storia di Lucky Luciano – Rainews
- Da Lucky Luciano a Charles Gambino: i boss del mare tra Sicilia e America – La Repubblica
- Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act – Enciclopedia Britannica
- Mafia – Enciclopedia Britannica
- Mafia Americana – Enciclopedia Treccani
- American Mafia – Wikipedia inglese
- Cosa Nostra statunitense – Wikipedia italiano
- La mafia di New York si riorganizza – La Stampa