Immaginate di essere una bambina africana che sta giocando all’aria aperta con le sue coetanee. Vostra madre vi chiama e vi dice di tornare a casa senza specificare il motivo. Obbedite e salutate. Le donne di famiglia, tutte, nessuna esclusa, vi immobilizzano e vi spogliano. Davanti a voi compare un coltello, una rasoio, nel migliore dei casi un bisturi, e tutte iniziano a tagliuzzarvi parte degli organi genitali. Prima un taglio, poi un altro e un altro ancora. Il sangue esce in sintonia con le vostre lacrime e, mentre state urlando per quei dolori lancinanti, vi ponete una domanda.

Che sta succedendo? Perché vostra madre, vostra nonna, vostra zia o l’anziana saggia del villaggio vi sta facendo questo?
La risposta è l’infibulazione:
Un dramma che, ancora oggi, coinvolge circa 125 milioni di donne e bambine

L’infibulazione è uno dei quattro tipi di mutilazione dei genitali femminili praticati in ben 29 paesi africani. Grazie all’intervento degli organi internazionali, in Ghana, Togo, Zambia, Uganda, Camerun e Niger la sua pratica è scemata fino a toccare solo una minoranza, ma, in altri stati come Egitto, Somalia ed Eritrea, la situazione resta drammatica, con un’incidenza che sfiora il 90% della popolazione femminile.

Sono presenti in forma minore anche in alcuni paesi asiatici di fede islamica e, in entrambi i continenti, le vittime sono per lo più bambine dai 4 ai 14 anni. Spesso l’età minima si abbassa e coinvolge perfino le neonate con meno di un anno di vita.

I 4 tipi di Mutilazione
Esistono quattro tipi di mutilazione. Il tipo I è il meno dannoso e prevede la rimozione del prepuzio clitorideo sulla falsariga della circoncisione maschile. Nel tipo II abbiamo il taglio, parziale o totale, delle piccole labbra e l’asportazione del glande clitorideo, dove si concentrano la maggior parte delle terminazioni nervose necessarie al piacere femminile.

Il tipo III è l’infibulazione, di cui parleremo fra poco. Il tipo IV raccoglie altre pratiche lesive- ma poco diffuse- e circoscritte a determinate aree geografiche, come la scalfittura del clitoride (una sorta di graffio simbolico), l’allungamento innaturale delle grandi labbra e l’introduzione di sostanze nocive nella vagina, per stringerla e favorire i “rapporti a secco”, con una totale mancanza di lubrificazione e conseguenti lesioni interne.

La mutilazione avviene spesso senza anestesia, o con un anestetico inefficace, ed è una tradizione tutta al femminile. Le operazioni le eseguono le donne di famiglia, le anziane del villaggio o le ostetriche specializzate, e usano coltelli o rasoi quasi mai sterilizzati.

L’Infibulazione
La peggiore forma della mutilazione genitale femminile è l’infibulazione, e prevede l’asportazione delle piccole labbra e del glande clitorideo, la cucitura della vulva- per unire le grandi labbra con il filo chirurgico o spine di agave e di acacia- e la creazione di un foro di massimo 3 millimetri per consentire il passaggio delle urine e del sangue mestruale. In quest’ultima fase ci si avvale di un rametto o altri oggetti simili, e se il risultato non è ottimale, si riapre la ferita e si ricomincia da capo. Per facilitare la cicatrizzazione dell’area si spalmano impasti di uova crude, erbe e zenzero, e le gambe delle bambine vengono legate insieme per un periodo compreso fra le 2 e le 6 settimane.

A operazione conclusa, le cosiddette “infibulate” si ritrovano una vagina dalle sembianze stravolte. Dopo il matrimonio, si ha una deinfibulazione parziale per consentire i rapporti sessuali e, di solito, se ne occupano i mariti, che forzano la penetrazione per creare un piccolo strappo con cui allargare il buco artificiale. Se non ci riescono, effettuano un taglio di coltello o si avvalgono dell’aiuto di un’ostetrica, ma in gran segreto, perché l’incapacità di deinfibulare la propria moglie può esser visto come un sinonimo di scarsa virilità.

La deinfibulazione totale, invece, avviene durante il parto, con la riapertura della vagina per favorire la nascita del bambino, e, a gravidanza finita, si opera il processo inverso, ricucendo la vulva e ricreando il buco per il sangue mestruale e le urine. La reinfibulazione è prevista anche in caso di divorzio e vedovanza, e serve a ripristinare lo stato di castità antecedente alle nozze.

Le motivazioni socio-culturali
Tutti i tipi di mutilazione sono ben radicati nelle culture di chi le pratica e hanno diverse motivazioni. Ad esempio, c’è quella religiosa, ma è una giustificazione priva di fondamento, perché il Corano, la Bibbia e la Tōrāh non ne fanno alcuna menzione.

Sotto altri aspetti, si pensa che infibulazione e simili favoriscano la fertilità e aiutino le madri a sopravvivere al parto. Per altri è una questione di igiene, con i genitali femminili sinonimo di malattie e sporcizia.

Quanto alla componente sociale, le mutilazioni si inseriscono in un contesto patriarcale, con padri e mariti che possono controllare la sfera sessuale di mogli e figlie. In caso di matrimonio, l’infibulazione riduce al minimo il rischio di tradimenti e gravidanze indesiderate e, allo stesso modo, l’infibulata è a tutti gli effetti un buon partito, una ragazza vergine e desiderabile. Per intenderci, questa pratica definisce l’identità culturale del gruppo etnico di appartenenza e una ragazza che rifiuta l’operazione viene emarginata dalle donne e ignorata dagli uomini.

Le conseguenze a breve e lungo termine
In ambito medico, a differenza della circoncisione maschile, quella femminile non porta nessun beneficio e a breve termine può comportare infezioni, sanguinamenti eccessivi, ritenzione di urine, emorragie fatali, anemia, setticemia e cancrena.

A lungo termine, il quadro clinico peggiora. Si rischia la formazione di ascessi, calcoli e cisti, la crescita abnorme del tessuto cicatriziale, ostruzioni croniche del tratto urinario, forti dolori durante il ciclo mestruale, sterilità e incontinenza. Un’altra criticità è dovuta all’uso sconsiderato di oggetti non sterilizzati, o riciclati da operazioni su altre ragazze, che favoriscono la trasmissione dell’epatite A, dell’epatite B, dell’AIDS e dell’HIV.

Nel caso delle infibulate, la gravidanza è uno dei momenti più drammatici. Se portata a termine si lascia dietro lacerazioni e danni permanenti, ma non sempre il bambino ha abbastanza spazio per uscire e c’è un alto tasso di mortalità sia per la madre sia per il figlio.

Origini e diffusione
Giunti a questo punto la domanda sorge spontanea:
Com’è nata questa pratica? E come è arrivata fino ai giorni nostri?

Sulle origini ne sappiamo poco. Alcuni storici ipotizzano che le mutilazioni siano comparse nei pressi dell’antica città di Meroe, a ovest del Nilo. Altri suggeriscono che l’incantesimo 1117, un’iscrizione geroglifica rinvenuta su un sarcofago del Medio Regno egizio, che si colloca fra il 2055 a.C. ed il 1790 a.C., potrebbe alludere a una “ragazza non circoncisa”, ma gli esami sulle mummie di quel periodo non hanno dato riscontri.

Le prime vere testimonianze dirette iniziano con il geografo greco Strabone, che, dopo aver visitato l’Egitto intorno al 25 a.C., scrisse quanto segue:
“Una delle usanze più zelantemente osservate tra gli egizi è questa: allevare ogni bambino che nasce, circoncidere i maschi e recidere le femmine”.

Il filosofo ebreo Filone di Alessandria, vissuto dal 20 a.C. al 45 d.C., aggiunse che la circoncisione di maschi e femmine avveniva intorno al quattordicesimo anno di vita.

In epoca moderna le mutilazioni sono comparse in Europa e nell’America del nord in due periodi distinti. Agli inizi del XIX secolo – ma si trattò di una breve parentesi – quando alcuni ginecologi si convinsero che la rimozione del clitoride curasse l’isteria e la ninfomania, e dal Novecento in poi per mezzo dei fenomeni migratori.
Nonostante ci siano leggi che la proibiscono, almeno in occidente, l’infibulazione continua ad essere una pratica clandestina

Nei paesi africani e asiatici le campagne contro le mutilazioni sono iniziate nel XX secolo e, nel 2005, l’Unione Africana ha avviato il Protocollo di Maputo, che prevede l’adeguamento delle varie legislature a una serie di norme per la tutela dei diritti delle donne. La strada è lunga – lo hanno firmato 42 paesi, ma ratificato in 20 – e, per il momento, la tradizione continua.

Testimonianze e conclusioni
C’è chi è riuscita a sottrarsi alla pratica, che, talvolta, è frutto della disinformazione, con padri e madri ignari delle conseguenze, e c’è chi, invece, si è pentito di aver operato tante povere innocenti. Quest’ultimo è il caso della cinquantenne somala Hido, che a Salve The Children disse:
“Tutto ciò che ho fatto è orribilmente sbagliato. Ogni notte prego per essere perdonata per tutto questo. Non ricordo quante ragazze e donne ho operato, ma almeno una cinquantina”.

Un’altra testimonianza che vale la pena conoscere è della trentenne somala Hambi Abdurahman Ahmed. Oggi vive e lavora a Firenze come mediatrice culturale, ma è stata infibulata a sette anni e data in sposa a diciassette.
Rimase incinta e il bambino morì durante il parto

“Sono nata in un villaggio nel quale tutte le ragazze di quella età subivano questa pratica. Era un obbligo. Tutti erano d’accordo che si facesse, perché era una pratica tradizionale di cui non si poteva fare a meno”.

Secondo l’UNICEF, ogni anno, sono circa tre milioni le bambine a rischio di infibulazione, ma, la cosa peggiore è che questi numeri sono attuali e ne stiamo parlando nel XXI secolo. Non è un capitolo di storia; non è un’usanza del passato o un aspetto culturale di una civiltà antica. È il presente di tantissime persone, mutilate per la sola colpa di essere donne.
Fonti:
La storia di una donna che ha detto no all’infibulazione – Save the children
Stop alle mutilazioni genitali femminili – Save the children
Mutilazioni genitali femminili – UNICEF
Circoncisione femminile in Africa – Alice for the children
Infibulazione – My personal trainer
Mutilazione genitali femminili – Wikipedia inglese
Opinioni religiose sulle mutilazioni genitali femminili – Wikipedia inglese
Infibulazione – Wikipedia italiano