«Signore e signori, benvenuti al Casinò di Sanremo per un’eccezionale serata organizzata dalla Rai. Una serata della canzone con l’orchestra di Cinico Angelini».
Così Nunzio Filogamo apre la prima edizione del Festival. È il 29 gennaio del 1951. I principali quotidiani italiani scrivono: “Ore 22. Festival della canzone”. È un annuncio un po’ anonimo, nessuno sa di cosa si tratti, ma nel salone delle feste del casinò c’è un pubblico pagante che sta cenando con dei cantanti in sottofondo.

La serata, in stile café chantant, costa appena 500 lire. Una sciocchezza, vista la portata dell’evento, ma, in realtà, il primo Festival di Sanremo è un disastro. Pubblico e critica non sono entusiasti. I giornali snobbano la kermesse – gli dedicano solo qualche trafiletto – e gli stessi frequentatori del casinò disapprovano, perché sono abituati ad assistere a eventi culturali più impegnati, e il neonato Festival di Sanremo non rientra in questa categoria.

Ma Sanremo è Sanremo e oggi è l’appuntamento annuale cardine del palinsesto Rai, un prodotto amato, odiato e discusso.

Questa è la sua storia

Le origini del Festival di Sanremo
Fin dalla seconda metà dell’Ottocento, Sanremo è uno dei più importanti centri balneari della penisola. Ogni anno, tantissimi turisti, inclusi i membri delle principali casate reali europee, approfittano dell’estate per rilassarsi nella “città dei fiori” fra un tuffo a mare e una giocata al casinò.

Nel 1945, il Comitato di Liberazione Nazionale chiede all’ex partigiano sanremese Amilcare Rambaldi di formulare qualche idea per rilanciare l’economia cittadina dopo i disastri della Seconda guerra mondiale. Rambaldi mette sul tavolo diverse proposte. Si potrebbe organizzare una sfilata di moda, ospitare un torneo internazionale di Bridge o indire un concorso canoro.

Il comitato del Casinò boccia quella che sarebbe potuta diventare la prima edizione del Festival di Sanremo e, nel frattempo, il 25 agosto del 1948, va in scena il Festival della Canzone Italiana di Viareggio. L’evento riscuote un certo successo, ma chiude i battenti nel 1950 per mancanza di fondi.
A Sanremo, il direttore del Casinò, Angelo Nicola Amato, discute con il conduttore radiofonico Angelo Nizza sull’ipotesi di rivalutare l’idea di Rambaldi e organizzare una rassegna canora di carattere nazionale. A differenza della kermesse di Viareggio, Amato e Nizza decidono di spostare l’evento in inverno, per attirare quanti più turisti possibili anche fuori della stagione balneare, e si recano da chi di dovere per stringere accordi commerciali.
Da Torino, Nizza ottiene il via libera dalla Rai e, a Milano, Amato convince le principali etichette discografiche a partecipare

Il 29 gennaio del 1951, nel Salone delle feste del Casinò, tutto è pronto per la prima serata del Festival di Sanremo e il pubblico pagante si accomoda in sala per assistere all’esecuzione dei 20 brani in gara.

Le regole sono un po’ diverse da quelle che conosciamo. Dal ’51 al ’71, a Sanremo vince la canzone, non il cantante, e ciascun artista è chiamato a interpretare diversi brani nella stessa serata. Nella sua prima storica edizione, trasmessa via radio dalla Rai, il Festival vede la partecipazione di soli tre concorrenti: il Duo Fasano, Achille Togliani e Nilla Pizzi.
A trionfare è proprio quest’ultima, con Grazie dei fiori, ma la rassegna non riscuote tanto successo e la formula della cena con spettacolo si rivela una pessima idea. Se nella prima serata il pubblico c’è, ma è distratto – mangia, beve e conversa senza prestare attenzione alle esibizioni – nella seconda serata si dimezza e lascia così tanti tavoli vuoti che il comitato è costretto riempire la sala pagando le persone.

Dalle prime edizioni a Mr. Volare
Nel 1952 il vento cambia e le case discografiche iniziano a vedere Sanremo come un ottimo trampolino di lancio per i brani inediti. Su 310 canzoni presentate alle selezioni, in gara ne finiscono di nuovo 20, ma il comitato decide di alzare il numero dei cantanti a 5 e rinnovare la formula della cena con spettacolo.

Questa volta il pubblico non diserta e le serate della seconda edizione sono un successo. Vince il brano Vola colomba, completano il podio Papaveri e papere e Una donna prega, ma l’interprete dei testi è una sola, Nilla Pizzi, che ancora oggi detiene il record mai eguagliato di un primo, secondo e terzo posto nella stessa edizione di Sanremo.

Nel 1953, via i tavolini, nessuna cena e niente biglietti: si accede solo su invito. Oltre al pubblico in sala, ottengono il diritto al voto anche i radioabbonati ed entra in vigore la regola della doppia interpretazione. Da questo momento in poi, ogni brano sarà cantato sempre in due versioni differenti da due artisti accompagnati da altrettante orchestre.

A partire dal 1955, Sanremo approda in televisione grazie alle telecamere della Rai, che riprendono la serata finale della kermesse e la trasmettono in differita alle 22:45.
Il circuito mediatico è attivo
Tutta l’Italia parla del Festival: in casa, al bar, dal barbiere, ovunque si discute della classifica, si commentano i cantanti e si fischiettano i motivetti delle canzoni.

Per l’edizione del ’56, la Rai pensa in grande e indice un concorso per voci nuove. Su oltre 6.000 candidati, i giudici selezionano 12 cantanti chiamati a esibirsi in diretta radiofonica. I radioascoltatori votano e scelgono i 6 esordienti che dovranno dividersi i 20 brani in gara.
L’iniziativa è un successo e sempre più artisti e case discografiche cercano di accaparrarsi un posto a Sanremo

Nel 1958, l’Italia assiste al trionfo di un trentenne barese che canta con le braccia aperte rivolte verso il pubblico. Il nome è Domenico, per gli amici Mimmo.
Di cognome fa Modugno; di soprannome, Mr. Volare

Per la prima volta nella storia della kermesse, un artista partecipa con una canzone di cui è anche autore, e in coppia con Johnny Dorelli, che esegue l’altra versione del brano, Modugno regala al pubblico l’icona di un uomo spensierato che vola “felice più in alto del sole e ancora più su”.

Quelle braccia spalancate diventano la metafora di un’Italia che si appresta ad abbracciare il boom economico ed entrare in un periodo di grande benessere.

Il cantautore pugliese ha anche un altro merito. “Nel blu dipinto di blu” è uno spartiacque sia della musica italiana, sia del festival, un ponte fra la tradizione del passato e la produzione del decennio successivo, quello influenzato dal rock e dallo swing.

Le polemiche, gli “Urlatori” e il caso Tenco
Con gli anni ’60, si apre la stagione dei cosiddetti “Urlatori”. Cambiano i ritmi, le movenze e i toni di voce, sul palco arrivano giovani determinati che rivendicano nuove regole.
Ma Sanremo finisce anche al centro di qualche polemica di troppo

Nel 1960, a capo della commissione incaricata della selezione preliminare delle canzoni c’è Antonio de Curtis, in arte Totò, che subito entra in contrasto con i colleghi per le numerose esclusioni eccellenti. Gli altri membri della commissione decidono di bocciare proposte che, a detta del Principe della Risata, meriterebbero di partecipare alla rassegna e il comico napoletano si tira indietro tuonando ai giornali la frase:
«Non faccio l’uomo di paglia»

In questa edizione, però, si segnalano comunque esordi di artisti di un certo livello: un nome a caso, sua maestà Mina.

Sanremo del 1961, invece, si apre con la SIAE che riprende la polemica di Totò e solleva dei dubbi per il modo in cui è stata stilata la classifica finale negli anni precedenti. Il comitato sanremese risponde con il Votofestival, un referendum popolare in cui tutti i possessori di un biglietto dell’Enalotto possono esprimere una preferenza utile all’elezione dei vincitori.

Questa edizione è importante per vari motivi. Il primo è un certo Adriano Celentano, che vorrebbe partecipare, ma sta svolgendo il servizio militare a Torino. Per lui si scomoda addirittura il ministro della difesa Giulio Andreotti, che gli firma una dispensa speciale e lo manda a Sanremo.

Con la sua 24mila baci, il Molleggiato debutta in grande stile e scandalizza il pubblico voltandogli le spalle, salvo poi girarsi al cambio di tempo dell’orchestra:
Un gesto oltraggioso per i canoni dell’epoca

Ma Celentano a parte, la protagonista involontaria delle cronache sanremesi è Mina, che finisce al centro di una campagna mediatica in cui i giornalisti la contrappongono alla rivale Milva. La Tigre di Cremona – che, come sappiamo, non ama i riflettori – è costretta a esibirsi sotto pressione e si piazza al quarto posto, proprio dietro Milva, eletta rivelazione del festival.
La delusione è troppa e Mina promette di non partecipare mai più

Intanto, c’è un problema con il sistema dell’Enalotto, perché arrivano in redazione oltre tre milioni di voti da conteggiare. Il risultato è che Betty Curtis e Luciano Tajoli scoprono di aver vinto solo nove giorni dopo la serata conclusiva, un ritardo che, però, non impedisce al comitato di rinnovare il Votofestival anche per l’edizione del ’62.

A partire dal 1963, Sanremo torna al vecchio sistema di voto e apre le porte ai cantanti stranieri e alle tematiche sociali, con particolare merito a Celentano che, nel ’66, porta in gara il brano politico Il ragazzo della via Gluck, escluso dalla finale con tanto di proteste dei fedelissimi del Molleggiato.

Così, arriviamo alla tristissima edizione del 1967. I giudici mandano a casa Ciao amore, ciao, di Luigi Tenco, in coppia con Dalida, e anche una speciale commissione di ripescaggio scarta il brano in favore de La rivoluzione. È subito polemica, perché Ciao amore, ciao è per metà una canzone d’amore e per l’altra di critica sociale; La rivoluzione, invece, è distribuita da un’etichetta discografica legata alla Rai. A Tenco non va giù la doppia eliminazione e, secondo le ricostruzioni ufficiali, si ritira nella sua stanza d’hotel per effettuare due telefonate: una a Ennio Melis, a capo della casa discografica RCA, e una alla fidanzata Valeria.

Con quest’ultima, Tenco parla dei suoi progetti futuri, dell’amarezza per il festival e dell’intenzione di fare nome e cognome di persone coinvolte in “fatti che vanno ben al di là della manifestazione”, probabilmente legati a giri di scommesse clandestine. La telefonata si conclude intorno all’una di notte del 27 gennaio e, senza che nessuno abbia udito alcuno sparo, un’ora dopo, Dalida rinviene il corpo esanime di Tenco.

Prima di uccidersi con un colpo di pistola alla tempia, il cantautore ha lasciato un biglietto d’addio in cui esprime tutta la sua frustrazione professionale.
“[…] Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro), ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io, tu e le rose in finale e una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno”.

Le parole di Tenco sono una chiara denuncia della deriva commerciale del festival, ma, a livello metaforico, il suo gesto chiude il cerchio del boom economico. Così come nel ’58 la performance di Modugno ha preannunciato l’ingresso nell’euforia del benessere, il suicidio dell’artista piemontese è un triste presagio di un’Italia che si appresta a svegliarsi nei terribili Anni di Piombo.

Le gaffes, le censure e il Controfestival
L’epoca d’oro è lontana sia per la nazione sia per il festival, che vive un lungo periodo di declino condito da gaffes, critiche e polemiche. Nel 1968, il celebre trombettista Louis Armstrong partecipa in coppia con Lara Saint Paul e si esibisce, ma, a fine esecuzione, continua a suonare altri pezzi del suo repertorio. Il fraintendimento nasce dal fatto che il comitato del festival gli ha pagato un cachet così grande che ad Armstrong sembra impossibile doversi esibire solo per un brano, anzi, crede di esser stato ingaggiato per un mini-concerto di almeno 45 minuti.
Un imbarazzatissimo Pippo Baudo è costretto a fermarlo e spigargli il regolamento

Insieme alla polemica nata all’indomani della morte di Tenco, la questione dei cachet da favola porta Sanremo nell’occhio del ciclone e, nel 1969, nasce il Controfestival, una sorta di rassegna teatrale condotta da Dario Fo e Franca Rame. L’iniziativa è una dura presa di posizione degli ambienti intellettuali comunisti, che protestano contro il fatiscente Festival di Sanremo, un “prodotto della borghesia che addormenta le coscienze dei lavoratori”, che ignora i problemi turistici della città e impone falsi miti a discapito della vera arte. Nella serata inaugurale, il Controfestival apre i battenti all’insegna della satira e della parodia, ma l’evento si rivela un flop e dura solo un’edizione.

Intanto, gli ascolti calano sempre di più e, mentre la regola della doppia interpretazione va finalmente in pensione, non mancano le solite critiche per la deriva commerciale della kermesse. Il dente più avvelenato è quello di Celentano, che, nel ’73, si prende gioco del festival annunciando tramite telegramma che non potrà partecipare perché vittima di una gastrite la cui guarigione è prevista per “domenica 2 marzo ore 9:30”, ovvero dopo la serata conclusiva di Sanremo.

Il Molleggiato è in aperta polemica per le troppe esclusioni di testi di qualità, un dato di fatto che trova riscontro nelle anonime edizioni degli anni ’70, in cui, fatta eccezione per il cambio di sede dal Casinò al Teatro Ariston, si registrano solo aneddoti in negativo.

Ad esempio, nel 1971, Lucio Dalla è costretto a cambiare il titolo della sua canzone Gesubambino in 4/3/1943 e sostituire il verso “Adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù bambino” con “Adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù bambino”.

Nel ‘76, un gruppo di donne aggredisce il cantante napoletano Antonio Buonomo per aver definito la sua canzone in gara, La femminista, “una satira della lotta per l’emancipazione della donna”, a quanto pare, una battuta poco gradita. Poi, se nell’edizione del ’78, Rino Gaetano, con la sua Gianna, riesce a sfatare un vecchio tabù e pronunciare la parola “sesso” per la prima volta nella storia della kermesse, l’anno successivo si fa un passo indietro e su Franco Fanigliulo si abbatte la scure della censura per una strofa che utilizza il termine “cocaina”.

Anni ’80: Benigni, Troisi e il playback
Nel nuovo decennio si volta pagina e sul palco trovano spazio nuove tematiche come la cronaca e l’attualità. Il comitato cerca di risollevare gli ascolti affidandosi alla co-conduzione di Roberto Benigni, che, assoluto mattatore dell’edizione del 1980, diverte e scandalizza abbandonandosi a un lungo e appassionato bacio alla francese con la collega Olimpia Carlisi, dopo averla invitata a fare l’amore in diretta. Il bello è che, prima dell’inizio di Sanremo, Benigni ha assicurato al patron Gianni Ravera, organizzatore del festival dal lontano 1962, che non avrebbe calcato troppo la mano. Come non detto. Il comico toscano è in grande spolvero e oltre a sbeffeggiare vari personaggi politici, Andreotti in primis, solleva un polverone affibbiando a papa Giovanni Paolo II l’epiteto “Wojtilaccio”.

L’anno successivo, Ravera vuole evitare un Benigni-bis e all’ospite principale della rassegna, un certo Massimo Troisi, in procinto di uscire al cinema con Ricomincio da tre, chiede di non parlare né di politica, né di religione, né di terremoto. Ma Troisi, in realtà, vorrebbe parlare proprio di politica, di religione e, soprattutto, del terremoto dell’Irpinia, dove è emersa una grande disorganizzazione per il soccorso delle vittime. Se in un primo momento il comico napoletano ci scherza un po’ su e in un’intervista dichiara di essere indeciso, viste le limitazioni, se leggere una poesia di Pascoli o una di Carducci, all’ultimo minuto si tira fuori dai giochi e rinuncia all’incarico.

Le polemiche continuano per tutti gli anni ’80, che, fra le tante cose, inaugurano il decennio del playback, in cui gli artisti sono chiamati a esibirsi senza cantare dal vivo. Il primo a cui non va giù questa cosa è Vasco Rossi e, nella serata finale di Sanremo ‘83, abbandona anzitempo il palco dell’Ariston mentre in sottofondo c’è ancora la base di Vita spericolata. Peggio di lui, solo Freddie Mercury, che, ospite con il resto dei Queen nel 1984, allontanerà volutamente il microfono dalla bocca durante l’esecuzione di Radio Gaga.

L’apice del declino
Intanto, si decide anche di introdurre il voto popolare attraverso i biglietti del Totip – un po’ come è stato in passato con l’Enalotto – e, proprio nella prima edizione con questa novità, quella del 1984, Pupo si aggiudica un quarto posto che otto anni dopo farà parecchio discutere.

Ma andiamo con ordine, perché, sempre in quell’anno, Sanremo si guadagna il rispetto dei telespettatori grazie a un lucidissimo Pippo Baudo, che, nella serata inaugurale, invita sul palco gli operai dell’Italsider di Genova assiepati fuori all’Ariston per dargli modo di leggere in diretta tutte le rivendicazioni della loro protesta.

Il pubblico in sala apprezza e applaude, ma, in realtà, sono anni in cui Sanremo stenta a riprendersi, perché i cosiddetti “big” lo snobbano e le ultime edizioni degli anni ’80 portano il festival all’apice del suo declino.

Nel 1989, ha luogo quella che per molti è considerata l’edizione peggiore di sempre: il Sanremo dei figli d’arte. Il nome nasce dal forfait di Renato Pozzetto, chiamato a condurre il festival, salvo poi ritirarsi e promuovere a titolari le sue spalle, i figli d’arte Rosita Celentano, Paola Dominguín, Gian Marco Tognazzi e Danny Quinn.

Nessuno di loro è all’altezza e le disastrose serate dell’Ariston si arricchiscono con Beppe Grillo che comunica in diretta il suo compenso e legge immaginarie penali previste dal contratto nel caso in cui dica cose del tipo “i socialista rubano”.
Conclude con la frase “Sanremo è la mia sconfitta. Come voi giornalisti, che siete dei falliti come me” e si porta a casa una bella querela da parte degli organizzatori.

Le rivelazioni di Pupo e il Festival delle Tangenti
Nel 1992, si cerca di invertire la rotta e Pippo Baudo torna al timone per ridare al festival un po’ di credibilità. Sul piano artistico ci sono segnali di ripresa; su quello delle polemiche, invece, si va peggiorando. Apre le danze Mario Agrippini, un disturbatore seriale che, con il suo nome di battaglia Cavallo Pazzo, ha l’abitudine di irrompere negli eventi pubblici e dare spettacolo. Lo fa anche a Sanremo. Supera la sorveglianza, corre verso il palco e urla:
«Questo festival è truccato. Lo vince Fausto Leali»

Pronostico sbagliato. A trionfare è Luca Barbarossa, ma in gara c’è anche Pupo, che non digerisce l’esclusione dalla finale e rivela ai giornalisti di essersi comprato il quarto posto del 1984 grazie l’acquisto di schedine Totip per un valore di circa 75 milioni di lire, ripartiti fra lui, il suo impresario e Franco Crepax, l’allora direttore della casa discografica CGD.

In sala stampa si urla allo scandalo, Pupo promette altri particolari, ma quando il comitato passa alla controffensiva e minaccia la denuncia per calunnia, il cantautore ritira tutto ed esclude eventuali connessioni fra Sanremo e il Totip.

Il Festival del ’92, però, è anche l’edizione delle sospette tangenti, con Adriano Aragozzini, subentrato a Gianni Ravera nel 1989, che finisce al centro di un’indagine scaturita dalle dichiarazioni del suo ex collaboratore Antonio Gerini. Sanremo, si sa, è una grande macchina macina-soldi e Gerini è convinto che Aragozzini abbia incassato bustarelle per concedere appalti nelle edizioni ’89 e ’90 insieme all’assessore al turismo della città Pino Fassola. L’unico che finisce in manette è proprio quest’ultimo e il presunto coinvolgimento di Sanremo in certi affari loschi lascia il tempo che trova, senza alcun seguito legale.

Ma ormai il polverone si è alzato e i successivi festival non mancano di episodi fuori-programma. La sera del 23 febbraio 1995, un uomo di nome Giuseppe Pagano, detto Pino, vuole a tutti i costi diventare famoso e per riuscirci ha ben pensato di inscenare un suicidio. Prende posto su una balconata dell’Ariston, si sporge oltre il parapetto e attira l’attenzione dei presenti.

17 milioni di telespettatori assistono in diretta a un calmissimo Pippo Baudo che instaura un dialogo con Pino e promette di aiutarlo a risolvere i suoi immaginari problemi economici. Immaginari, perché, anche se l’Italia è convinta che il conduttore abbia sventato un suicidio, anni dopo Pino racconterà la verità in un’intervista a Vanity Fair.

Dallo scandalo del ’96 ai giorni nostri
Da eroe nazionale a corrotto della kermesse è un attimo – anzi, un Sanremo – e, l’anno successivo, Baudo finisce al centro dell’ennesima polemica legata alla classifica finale. A far rumore è l’inaspettata vittoria di Ron e Tosca a discapito di Elio e le Storie Tese, superfavoriti fin dalla prima serata.

A febbraio, a Festival ormai concluso, la procura di Milano apre un’inchiesta sulla presunta corruzione di Baudo, della giuria e dei vertici Rai in merito a delle schede sospette rinvenute durante un nuovo conteggio dei voti che, in realtà, certifica il trionfo di Elio e le Storie Tese. La Rai si chiama subito fuori e ribadisce che “le votazioni sono gestite dalla società Exolorer”, che, a sua volta, afferma di aver fatto tutto secondo la procedura e di aver sottoposto ogni singolo scrutino al vaglio di un notaio.

Per Baudo, invece, la situazione è più complicata, perché l’affaire Sanremo si mescola allo scandalo delle telepromozioni, in cui lui, Rosanna Lambertucci e Mara Venir sono sotto accusa per aver chiesto compensi personali extra nell’ambito dei messaggi pubblicitari della rete. I tre conduttori della Rai optano per il patteggiamento, ma l’effettivo broglio di Sanremo non viene provato e ancora oggi non sappiamo se Elio e le Storie Tese siano i veri vincitori di quella edizione.

Con l’indagine relativa alle telepromozioni tramonta l’epopea di Pippo Baudo e il timone della kermesse passa prima a Mike Buongiorno, alla sua undicesima conduzione, poi a Raimondo Vianello e Fabio Fazio. Seguiranno edizioni anonime che, nei primi anni 2000, porteranno Sanremo a una crisi di audience e qualità risolta solo in tempi recenti. Ovviamente, non mancheranno le solite polemiche e i soliti scandali, ultimo in ordine cronologico il «Che succede?» del beffardo Morgan ai danni del beffato Bugo.

Nel bene o nel male, il festival è amato, odiato e discusso fin dagli albori. Fa parte della nostra cultura; è un appuntamento annuale che non tutti vedono, ma di cui tutti parlano. Il motivo? Perché, come recita lo slogan, Sanremo è Sanremo.
Fonti:
- La storia del Festival di Sanremo – Focus
- Anno per anno la storia del Festival – La Repubblica
- 10 casini memorabili scoppiati a Sanremo – Rolling Stone Italia
- 40 curiosità sul Festival della canzone italiana – Rai Cultura
- 10 curiosità sul Festival di Sanremo – SkyTg24
- Festival di Sanremo: tutti gli scandali avvenuti in 69 anni alla kermesse – Novella 2000
- Festival di Sanremo – Wikipedia italiano
- Quando Massimo Troisi per protesta rifiutò di esibirsi al Festival di Sanremo – Fanpage
- Sanremo 1969 tra rhythm’n’blues e contestazione – Corriere della Sera
- Pupo accusa poi ci ripensa – La Repubblica
- Pino Pagano, il contestatore dell’Ariston – Vanity Fair
- Sanremo 1960, Totò si dimette da presidente della giuria – Fanpage
- E a Sanremo ecco il festival della tangente – La Repubblica
- Sanremo, una vittoria con il trucco – La Repubblica
- Venti mesi a Pippo Baudo – La Repubblica
- Luigi Tenco – Wikipedia italiano
- Le singole pagine Wikipedia delle edizioni del Festival