Nel nord-ovest del Peloponneso c’è un piccolo villaggio con circa 150 abitanti, chiamato Elis (Elide), che conserva qualche resto (anche nelle costruzioni moderne) dell’antica grandezza.
Rovine dell’antica Elis
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La città era un tempo la più importante della regione, che portava lo stesso nome, Elide. La stessa regione di Olimpia, dove di disputavano appunto, ogni quattro anni, i Giochi Olimpici, in onore di Zeus. A organizzarli era proprio la città di Elis, che ne ricavava prestigio e benefici economici, nonostante fosse più distante di un’altra importante polis, Pisa, che cercava, di tanto in tanto, di prendere la gestione dei giochi, riuscendoci per brevi periodi.
Mappa dell’Elide
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La città che controllava Olimpia, con gli annessi luoghi sacri, gestiva tutto quel flusso di viaggiatori e pellegrini che arrivavano, anche da molto lontano, in occasione dei giochi o per visitare il grande tempio dedicato a Zeus, con la sua gigantesca statua, opera del grande scultore/architetto ateniese Fidia.
Ricostruzione del Tempio di Zeus a Olimpia
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La statua di Zeus a Olimpia, che richiese all’incirca tre anni di lavoro, probabilmente tra il 436 e il 433 a.C, rientrava nella classifica delle sette meraviglie del mondo antico.
Era d’oro e avorio (criselefantina) quella grande raffigurazione di Zeus, a cui andavano a rendere omaggio pellegrini arrivati da tutto il Mediterraneo, e poi imitata nelle successive rappresentazioni del dio sia nell’arte greca sia in quella romana, e persino riprodotta su monete e ceramiche. Per circa ottocento anni la magnifica statua destò lo stupore di quanti arrivavano a Olimpia per motivi di culto o per assistere ai giochi.
Ricostruzione fantastica della statua di Zeus in una stampa del XVI secolo
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Quando Fidia viene chiamato a Olimpia per realizzare (non da solo) la più grande statua in onore di un dio, è già un artista famoso e apprezzato per aver supervisionato la costruzione del Partenone di Atene e creato la gigantesca statua della dea protettrice della città, Atena.
A Olimpia è stato completato da una ventina d’anni il tempio dedicato a Zeus, che in breve diventa il luogo di culto più conosciuto del mondo antico, sorto in un’area sacra già da secoli, dove forse si onorava Pelope, il mitico personaggio che aveva dato vita ai giochi olimpici, oltre che il nome alla penisola greca, il Peloponneso.
Imponente nelle sue dimensioni (64,2 x24,6 metri x 20 di altezza), il santuario è ricco di decorazioni scultoree, nei frontoni e nelle metope, che forse sono opera di un solo artista, del quale non ci è stato tramandato il nome. Le scene si ispirano al mito: le dodici fatiche di Ercole, la gara con i carri di Pelope e Oinomaos, una battaglia tra centauri e poi una maestosa statua di Apollo.
Lotta fra centauri e lapiti – Museo Archeologico di Olimpia
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E’ Fidia però, dopo l’inaugurazione della statua di Atena Parthènos, l’artista prescelto per realizzare l’opera che avrebbe dovuto superare in grandiosità qualsiasi altra del suo genere. Lo scultore si trasferisce a Olimpia, dove gli mettono a disposizione una sua bottega, della quale restano testimonianze archeologiche e persino una tazza (o forse una brocca da vino) a figure rosse con la scritta “appartengo a Fidia”. Nel laboratorio sono stati rinvenuti alcuni strumenti in avorio, punteruoli, martelli e lamine di piombo, oltre che le matrici di terracotta usate per modellare i fogli d’oro di cui era composta la veste, adornata anche con disegni di gigli in pasta vitrea e pietre dure.
La bottega di Fidia a Olimpia
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La statua della divinità, custodita nella cella, rappresenta per i greci il cuore del santuario, che è la sua dimora. Quando si aprono le porte del tempio, il dio (o la dea) appare ai fedeli in tutta la sua sacralità. Dalla sua posizione centrale può assistere alle cerimonie in suo onore e apprezzare le offerte che i fedeli gli tributano.
Ricostruzione della sistemazione della statua nel tempio
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Difficile immaginare l’effetto che poteva suscitare la grande statua di Zeus, alta 12 metri, con il dio seduto su maestoso trono: il bianco caldo dell’avorio e lo sfavillio dell’oro lasciavano a bocca aperta i fedeli, che non potevano certo non avvertire il potente fascino sacro espresso da quella rappresentazione divina.
La statua di Zeus in un’illustrazione di Quatremère de Quincy (1815)
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Fidia realizza una statua criselefantina: sopra a un’anima di legno vengono applicati l’avorio, usato per il corpo e il viso di Zeus, e lamine d’oro martellate per la veste, lo scettro e parti della Nike (vittoria), retta dalla mano destra del dio. Altri materiali, come argento, rame, pasta vitrea, ebano vengono usati per i particolari decorativi e anche per il prezioso trono, adornato con figure a rilievo della mitologia (Achille, le Amazzoni, Teseo) e della storia (la battaglia di Salamina).
Tutta la composizione – Zeus, il trono e lo sgabello per i piedi – si appoggia su una base di marmo nero, decorata con scene della nascita di Afrodite, che porta la firma dell’artista: “Fidia, figlio di Charmide, un ateniese, mi ha fatto”.
Di quell’opera meravigliosa, conosciuta in tutto il mondo antico, rimangono solo le descrizioni letterarie, come quella del geografo greco Pausania:
“Il dio, fatto d’oro e d’avorio, è seduto in trono. Gli sta sulla testa una corona lavorata in forma di ramoscelli d’ulivo. Nella mano destra regge una Nike, anch’essa criselefantina, con una benda e, sulla testa, una corona. Nella mano sinistra del dio è uno scettro ornato di ogni tipo di metallo, e l’uccello che sta posato sullo scettro è l’aquila. D’oro sono anche i calzari del dio e così pure il manto. Nel manto sono ricamate figurine di animali e fiori di giglio.”
La statua rimane al suo posto per circa ottocento anni, anche se l’imperatore romano Caligola, all’inizio del I secolo d.C, fa di tutto per portarla a Roma, senza riuscirci. Secondo Svetonio, una fragorosa risata agghiaccia gli operai addetti alla rimozione, che cadono dal ponteggio allestito intorno alla statua e rinunciano all’impresa.
Nel corso dei secoli, singoli individui e città-stato, offrono i loro doni a Zeus, che rendono Olimpia un centro ricco, non solo in termini economici, ma anche artistici e culturali.
Tutto questo finisce con l’imperatore romano Teodosio I (347-395 d.C.), che vieta tutte le pratiche di culto pagane, Olimpiadi comprese: nel 393 d.C. si disputano gli ultimi giochi panellenici, dopo circa un millennio di tradizione, per un totale di 293 competizioni.
La Palestra a Olimpia
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Il santuario cade in rovina e viene poi incendiato, su ordine di Teodosio II, che nel 435 dispone la distruzione di tutti i templi pagani ancora in piedi.
La statua di Zeus segue una sorte diversa, anche se non certa: forse viene portata a Costantinopoli da un alto funzionario bizantino, Lauso, che la conserva nel suo palazzo insieme a molte altre opere d’arte pagane. Nel 475 un incendio divora quel palazzo insieme all’intera collezione.
Altre fonti parlano di un terremoto o di uno tsunami che distrugge il luogo dov’era custodita la statua, forse nel V o nel VI secolo d.C.
Elide, moneta dell’imperatore Adriano con Zeus Olimpio
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Vale la pena, come nota di chiusura, raccontare che fine fece il grande Fidia.
Lo scultore è il massimo esponente dell’arte classica greca, quella che meglio esprime l’ideale culturale ed estetico dell’età di Pericle. Nonostante le sue opere siano conosciute più che altro attraverso copie o descrizioni letterarie, nessuno ha mai messo in dubbio la fondamentale importanza di Fidia nella storia dell’arte greca.
Peccato che mentre è in vita va soggetto ad attacchi personali, destinati a screditare Pericle per interposta persona. Qualcuno dice che Fidia ha rubato parte dell’oro destinato alla statua criselefantina di Atena Parthènos, ma l’accusa è infondata: lo scultore stesso fa smontare e pesare le lamine d’oro, che corrispondono all’esatta quantità ricevuta. Visto che non è un ladro, occorre trovare un’altra accusa: empietà. Come ha osato lo scultore ritrarre se stesso e l’amico Pericle sullo scudo della dea Atena?
Finisce in prigione ad Atene, dove muore dopo circa un anno, forse di malattia o forse avvelenato
Secondo altre fonti invece scappa, o viene esiliato, a Olimpia, dove muore. La sua fama e il suo nome però non moriranno, anzi. Forse anche lui sarebbe stupito di sapere che, 2.500 anni dopo, siamo ancora qui a parlare della sua grandezza.