Italia. Metà del XIV secolo. Possiamo trovarci in un qualsiasi villaggio fuori delle mura di una opulenta città tra Toscana e Romagna. Al di fuori lande desolate, carraie fangose, boschi fitti e ombrosi. Il sole è appena tramontato. L’oscurità scende come un sudario sui tetti di paglia delle case e sulle torri della cinta muraria. Da dietro la collina bagliori di fuoco si avvicinano accompagnati dal rumore di zoccoli ferrati sulla terra battuta, nitriti e sbuffi di cavalli, stridori metallici.
Sotto, illustrazione di un cavaliere medievale in battaglia. Immagine condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Fortunatamente il coprifuoco in città è già scattato da un paio d’ore e le porte sono già tutte sprangate. La vedetta sulla torre lancia l’allarme urlando e agitando la fiaccola. La campana della torre comunale inizia a suonare a martello. I coloni delle campagne circostanti rimasti fuori sono perduti. Al villaggio è giunta una folta schiera di armigeri a cavallo, in armatura completa con lance, bandiere e fiaccole. Il cavaliere che li capeggia ha incisa sulla corazza, in duri caratteri gotici, un motto in tedesco: “nemico di Dio, della pietà e della misericordia”. Quel diavolo blasfemo e sanguinario è il capitano Werner von Urslingen. Alzata la visiera dell’elmo, il luogotenente alla sua destra rivela un’espressione da cane rabbioso e una cicatrice vistosa a solcargli l’occhio destro mancante. Chiede che devono fare della popolazione rimasta fuori. Con calma agghiacciante, il capitano gli ordina di uccidere tutti, donne e bambini compresi. Così la città saprà con chi ha a che fare e le corde delle borse di quei mercanti codardi, piene d’oro, saranno presto sciolte.
Raffigurazione di cavalieri medievali durante una rievocazione storica. Immagine condivisa con licenza Creative Commons via Public Domain Pictures:
Purtroppo è necessario lasciare queste vittime al loro triste destino per tracciare un quadro della situazione. Ormai l’Imperatore è fuori gioco da più di mezzo secolo. Dopo le disfatte di Manfredi e Corrado di Svevia (figli ed eredi del grande Federico II) nelle battaglie di Benevento e Tagliacozzo, gli imperatori successivi hanno rinunciato a imporre la propria autorità in un’Italia settentrionale dominata dai Comuni.
Fotografia di una rievocazione storica medievale, fotografia condivisa con licenza Creative Commons via piqsels:
Il Trecento è un secolo flagellato sotto tanti punti di vista: il raffreddamento del clima conosciuto come “piccola glaciazione”, che durerà per circa trecento anni, determina la perdita dei raccolti e tremende carestie, la grande peste nera del biennio 1347/1348 falcidia la metà della popolazione europea inaugurando una triste stagione in cui il terribile morbo si presenterà endemicamente in Europa e nel bacino del Mediterraneo ogni 10 o 15 anni. Come se non bastasse, il Papato ostaggio della Corona di Francia durante la “cattività avignonese” getta nello sconcerto e nel disorientamento la comunità cattolica.
Un duello fra cavalieri medievali, fotografia condivisa con licenza Creative Commons via Needpix:
La Carestia dal volto emaciato con in mano una bilancia vuota, la Pestilenza con la pelle costellata di pustole, la Conquista militare con l’arco e la Violenza con la spada sembrano scatenare l’apocalisse cavalcando sulla terra in ogni dove.
L’indipendenza delle città-stato italiane e la transizione dalle forme di gestione collettiva del governo comunale alle signorie determina una situazione endemica di guerra tra potentati locali. I governi, confidando nelle ricchezze accumulate nella stagione di grande crescita economica del secolo precedente e incuranti della crisi economica, perseguono politiche di potenza e di espansione territoriale. Le milizie cittadine hanno ceduto il passo ai professionisti della guerra. Sempre più mercanti, artigiani, maestri d’arte che hanno fatto i soldi nelle piazze cittadine, non sono più disposti a lasciare gli affari per arruolarsi nella milizia cittadina. Pagano più volentieri una tassa al Comune per avere un sostituto professionista sul campo di battaglia.
Ricostruzione di una battaglia medievale, fotografia condivisa con licenza Creative Commons via pxhere:
In questo periodo le guerre si presentano a bassa intensità (come i moderni conflitti nei Balcani e in Afghanistan): con forze relativamente esigue, esse si trascinano per tempi lunghissimi con grave danno per i territori e violenze inaudite sulla popolazione. La guerra è un affare che ha costi esorbitanti. I soldi finiscono presto nelle casse pubbliche e quindi i conflitti si arenano. I soldati di ventura offrono la propria spada a carissimo prezzo. Quando le paghe non arrivano più, essi rimangono senza sostentamento e ricercano e accettano ingaggi dal miglior offerente, cambiando schieramento con disinvoltura. Altrimenti, in tempo di tregua, scorrazzano per le campagne, saccheggiando e bruciando i villaggi, taglieggiando i contadini ed estorcendo alle città pesanti riscatti per risparmiarle dall’assedio e dal saccheggio, come si è visto fare sopra dal nostro Werner von Urslingen, conosciuto come Duca Guarnieri, alla testa della Grande Compagnia.
Illustrazione di un cavaliere medievale, immagine di Manuel Prieto condivisa con licenza Creative Commons via Flickr:
Nei decenni successivi si infrangono sulla Penisola italiana, come ondata inesorabile di morte e distruzione, altre famigerate compagnie straniere. La “Compagnia bianca” capeggiata dall’inglese John Hawckwood (presto italianizzato in Giovanni Acuto) intorno al 1360, in occasione della tregua seguita al trattato di Bretigny durante la Guerra dei Cent’anni tra Inghilterra e Francia, marcia verso sud affiancando al mestiere delle armi varie specialità del crimine militare. Le bande dell’Hawckwood cingono d’assedio la città di Avignone, sede della Corte pontificia, fermandosi solo dopo aver estorto addirittura a Sua Santità una lauta somma di denaro. Passate in Piemonte al servizio dei Savoia nella guerra contro il Monferrato iniziano la loro attività nei territori italiani al servizio di questo o quel signore in conflitto, divenendo un fattore di instabilità pericolosissimo per l’ordine e la sicurezza di qualunque realtà coinvolta.
Rievocazione di un torneo d’armi medievale, fotografia condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:
Nella Compagnia bianca compie il suo debutto marziale e si forma alla disciplina dell’acciaio il romagnolo Alberico Da Barbiano, discendente dell’antica famiglia nobile di origine franca dei Conti di Cunio, signori di Barbiano, Lugo e Zagonara. Dopo avere partecipato e assistito all’eccidio di Faenza e al tremendo sacco di Cesena nel biennio 1376-1377, Alberico è disgustato e indignato dell’efferatezza dei crimini perpetrati dai capitani di ventura stranieri. Pertanto nel 1378 decide di fondare la sua Compagnia di San Giorgio, la prima ad essere interamente formata da soldati italiani. Ecco che la Romagna diventa la terra dei mercenari per eccellenza. Dilaniata dai conflitti tra i potentati locali e flagellata dalla fame e dalla malaria in pianura e nelle valli appenniniche, è un vivaio naturale di uomini d’arme, che a una vita di stenti trovano nel mestiere delle armi un’allettante alternativa di ascesa sociale. Proprio nella Compagnia di San Giorgio si arruola quel Muzio Attendolo, detto lo “Sforza” per la prestanza fisica, capostipite dell’omonima casata che un giorno conquisterà addirittura il Ducato di Milano col colpo di stato organizzato da Francesco Sforza a danno dei Visconti (metà del XV secolo).
Cavaliere medievale a terra, fotografia condivisa con licenza Creative Commons via Pixabay:
La furia della spada mercenaria viene progressivamente frenata dalla penna dei professionisti del diritto, i notai, attraverso lo strumento giuridico del contratto stipulato tra il governo committente, principato o comune che fosse, e il comandante della compagnia ingaggiata. Il contratto ha il nome di “condotta” da cui il termine “condottiero o condottiere” per definire il capitano mercenario. Nel contratto di condotta sono definiti tutti i termini dell’accordo tra le parti, tra cui il numero degli uomini d’arme componenti la compagnia, il periodo di servizio alle dipendenze del committente, la c.d. “ferma” (termine ancora oggi utilizzato per definire il periodo di servizio militare nell’esercito, breve o permanente), infine lo stipendio dovuto al capitano della compagnia, agli ufficiali e ad ogni singolo soldato come corrispettivo del suo servizio. Lo stipendio (o mercede) viene detto “soldo” da cui deriva il vocabolo di uso comune “soldato”, ossia combattente professionista assoldato. Proprio per lasciare sempre meno spazio alla pericolosa iniziativa degli eserciti professionisti (che troppo spesso sconfina, come si è visto, nel crimine di guerra), le condotte sono divenute sempre più dettagliate e precise nel regolare ogni tipo di rapporto e situazione tra committente e condottiero. Se il servizio è esclusivo e a tempo pieno si parla di “condotta a tempo pieno”, mentre se il servizio è a chiamata del committente in caso di necessità (e la compagnia è lasciata libera di servire in armi anche un terzo, per cui si tratta di una sorta di reperibilità) si parla di “condotta a mezzo soldo” con stipendio più basso. Infine è interessante la presenza nei contratti di condotta di clausole di non aggressione per un certo periodo, dopo la scadenza del contratto, nei confronti dell’ultimo committente.
Armatura, fotografia condivisa con licenza Creative Commons via Pixabay:
All’inizio del XVI secolo il politico e scrittore fiorentino Niccolò Macchiavelli rimane assolutamente critico nei confronti dell’impiego dei mercenari nelle guerre. Egli scrive che la fedeltà dei mercenari al soldo non dura. Perché dovrebbero essere fedeli a qualcuno che non conoscono? Per quale Dio o per quali Santi bisognerebbe far giurare questa gentaglia? Per quelli che essi adorano o per quelli che bestemmiano? Che essi adorano non se ne conosce nessuno, ma si sa bene che li bestemmiano tutti quanti.