La singolare Rinoplastica praticata nel Rinascimento

La rinoplastica, che oggi si occupa di rendere gradevoli nasi particolarmente “importanti”, é una branca relativamente moderna della chirurgia. Non molti sanno però, che i primi interventi di chirurgia ricostruttiva del naso furono eseguiti in India e in Egitto già nel 2000 a.C., quando era usuale la condanna all’amputazione del naso, subita da coloro che si erano macchiati del reato di adulterio (ma anche di altri crimini).

La tecnica fu descritta nei particolari in un trattato di chirurgia Hindù che risale all’800 a.C., in cui si fa riferimento all’uso di lembi cutanei prelevati dalla fronte e dalle guance per la ricostruzione della piramide nasale.

Di ricostruzione del naso parla anche il romano Aulo Cornelio Celso (25 a.C. – 50 d.C.) nel suo trattato “De Medicina”. Ma per arrivare a parlare di rinoplastica, come branca indipendente della chirurgia, bisogna aspettare il XVI secolo, con Gustavo e Antonio Branca di Catania, che utilizzarono lembi di pelle delle guance e dell’interno della bocca per la ricostruzione del naso.

Antonio Branca inventò una tecnica ricostruttiva che prevedeva l’uso di un lembo di pelle del braccio, che doveva rimanere attaccato sia al moncone di naso che al braccio stesso, per permettere la vascolarizzazione dei tessuti, e quindi la loro duratura ricostruzione.

Usarono questa tecnica anche Paolo e Pietro Vianeo, di Tropea, tra il 1540 e il 1565. Ma quello che viene indicato come fondatore della rinoplastica é Gaspare Tagliacozzi (1545-1599) che scrisse il trattato “De Curtorum Chirurgia per insitione”  in cui, rifacendosi alla tecnica di Antonio Branca, descrive la ricostruzione del naso utilizzando un lembo peduncolato dell’arto superiore.

Perché durante il Rinascimento, in cui non vigeva più la pratica dell’amputazione del naso, questa forma di chirurgia estetica era così richiesta?

La causa è da ricercarsi nella forte diffusione di una malattia a trasmissione sessuale: la sifilide, che rimase incurabile fino alla scoperta della penicillina (1928). Chi ne soffriva sperimentava via via vari sintomi, come ulcere della pelle, cecità, paralisi progressiva, demenza e, alla fine, la morte.

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Le persone malate di sifilide di solito sviluppano una condizione nota come “naso a sella”, che provoca un infossamento della parte ossea del naso, con spostamento delle narici in avanti, e un graduale marcire della carne circostante.

L’uomo della foto mostra una lieve forma di naso a sella:

Nella società rinascimentale il naso a sella era un marchio di infamia, simbolo delle carenze morali e della corruzione del malato. A causa di questa atmosfera ostile, coloro che ne soffrivano si rivolgevano a chirurghi esperti, come Gaspare Tagliacozzi, per aiutarli a nascondere la propria deformità.

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Tagliacozzi divenne famoso per aver codificato il metodo chirurgico del lembo peduncolato. Invece di prelevare un pezzo di pelle della fronte per ricostruire il naso, come era comune a quel tempo, innanzitutto tagliava un lembo di pelle dal braccio, dandogli la forma di un naso, poi andava a fissare il “naso” di pelle sul viso del paziente, che per due settimane doveva rimanere con naso e braccio uniti, aspettando che il nuovo naso fosse innestato. Dopodiché si poteva tagliare il naso dal braccio, e rimodellarlo con pelle nuova. L’intero processo di guarigione poteva richiedere fino a cinque mesi.

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C’era chi sosteneva che il metodo di Tagliacozzi fosse inferiore alla rinoplastica più popolare del tempo, nota come “metodo indiano”, e in realtà alcuni dei nasi ricostruiti da Tagliacozzi poi cadevano. Nonostante ciò, il chirurgo usò questo metodo fino alla morte, affermando che i “nasi” creati da lui fossero i migliori. Anche se il metodo di Tagliacozzi é andato in disuso dopo la sua morte, fu usato ancora occasionalmente fino alla seconda guerra mondiale, da cui la fotografia sotto.

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Il volto del soldato nella fotografia sopra fu gravemente danneggiato nel 1944, e il metodo italiano di Tagliacozzi fu impiegato per la sua ricostruzione.


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