Una guerra lunghissima, durata ben vent’anni, logora tutte le parti in campo: la prima guerra tra Sparta e la Messenia si combatte all’incirca tra il 743 e il 724 a.C.
Prendendo a pretesto l’uccisione del loro re Teleclo, gli Spartani danno inizio alla conquista della confinante Messenia, terra “buona da lavorare e da piantare”.
Ma una guerra così lunga (vinta poi da Sparta) porta con sé delle conseguenze non strettamente legate agli eventi bellici, in particolare per gli invasori, costretti a rimanere lontani da casa per tutto quel tempo: con gli uomini impegnati sui campi di battaglia, in patria non nascono più bambini… Chi assicura quindi la discendenza dei guerrieri spartani?
E’ un bel problema, di difficile soluzione, perché loro, gli Spartani avevano giurato di non tornare nella loro città fino a che non avessero sottomesso la Messenia. Un giuramento è un giuramento, in particolare per gli Spartani, che in questo caso però decidono di fare un’eccezione alla regola: rimandano a casa i guerrieri più giovani affinché provvedano a mettere al mondo dei figli.
A fianco degli Spartani combattono i Locresi, che non hanno prestato quel giuramento, ma nonostante ciò non sembrano così preoccupati della loro discendenza, “tornando a casa singolarmente e a lunghi intervalli”. Cosa che, come racconta lo storico greco Polibio, consentì “alle loro mogli di familiarizzare più con gli schiavi che con i loro mariti e permise alle loro fanciulle una libertà ancora maggiore, che fu causa dell’emigrazione”. (Polibio, Le Storie – Libro XII)
Quale emigrazione? Quella che portò alla fondazione di Locri, in Calabria
Tempio Ionico di Locri Epizefiri
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Secondo il racconto di Polibio, che si rifà addirittura ad Aristotele, i coloni giunti dalla Locride greca in Calabria altro non erano che un eterogeneo gruppo di fuggiaschi “schiavi birbanti” e donne adultere, se pur di estrazione elevata.
Tanto è vero che a Locri – Locri Epizefiri è, per la precisione, il nome della città fondata dai coloni greci – il lignaggio nobile si trasmetteva per via materna:
“… a Locri tutta la nobiltà ancestrale deriva dalle donne, non dagli uomini, come, ad esempio, sono considerati nobili coloro che tra loro si dice siano nati dalle ‘cento famiglie’. Queste ‘cento famiglie’ erano quelle che i locresi distinguevano come le famiglie dirigenti prima dell’invio della colonia, le famiglie dalle quali i locresi, secondo l’ordine dell’oracolo, dovevano selezionare a sorte le vergini da inviare a Troia. Alcune donne appartenenti a queste famiglie partirono per la colonia, e sono i loro discendenti che sono ancora considerati nobili e chiamati ‘delle cento famiglie’”. (Polibio, Le Storie – Libro XII)
Il Teatro greco-romano
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Non tutti gli storici antichi erano convinti di questa teoria, a partire da Strabone, Pausania e poi Timeo, che danno versioni diverse con buone motivazioni: i coloni avevano forti legami con Sparta, cosa che sarebbe stata strana se si fosse trattato di schiavi infedeli, e poi perché in realtà non era ben chiaro nemmeno da quale parte della Locride provenisse la spedizione, né precisamente quando avvenne.
L’antica regione della Locride, divisa in tre regioni non confinanti
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Dando ragione a Polibio, sarebbe avvenuta all’epoca della prima guerra messenica, quindi verso la fine dell’VIII secolo, mentre per altri è più probabile una data più tarda, intorno al 670 a.C.
Questa discordanza di tesi non cambia il fatto che, comunque siano andate le cose, i primi coloni (forse preceduti, questo è plausibile, da mercanti, pirati e avventurieri provenienti da diversi luoghi e scortati da soldati spartani) si siano fermati nel luogo indicato dall’oracolo di Delfi, che veniva sempre interpellato prima di dare vita a un nuovo insediamento.
Locri Epizefiri – Zona templare
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Il posto giusto è, per il divino Apollo, capo Zefirio, dove i coloni si fermano per qualche anno, poi decidono che il nume non ci aveva visto proprio giusto, e si spostano di una ventina di chilometri più a nord, ma per essere certi di non urtarne la suscettibilità, la nuova città porta lo stesso nome del primo insediamento.
Tempio Ionico
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Devono però vedersela con chi aveva già scelto quel luogo in precedenza, comunità di Siculi insediati lì già da molto tempo, che si fanno ingannare dall’astuzia dei locresi. Secondo quanto raccontato a Polibio dai discendenti dei primi coloni, i nuovi arrivati fanno “un patto solenne secondo il quale sarebbero stati loro amici e avrebbero condiviso il paese con loro finché avessero camminato su quella terra e avessero portato la testa sulle spalle. Quando avevano prestato questo giuramento, dicono, i Locresi avevano messo della terra nella suola della scarpe e avevano nascosto sotto la veste, sulle spalle, delle teste d’aglio: in questo stato avevano prestato giuramento, ma successivamente, svuotando le scarpe dalla terra e gettando via le teste d’aglio, quando poco dopo si presentò l’occasione, cacciarono i Siculi dal paese”. (Polibio, Le Storie – Libro XII)
Resti del Tempio Ionico
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Nel giro di un centinaio d’anni i coloni locresi fondano altre due città, Medma e Hipponian (rispettivamente le attuali Rosarno e Vibo Valentia), nel tentativo di arginare l’espansione di un’altra importante colonia greca, Kroton (Crotone), con la quale combattono una guerra che dura oltre dieci anni, e la vincono anche, soprattutto grazie al sostegno di Sparta e all’aiuto di Castore e Polluce, i mitologici Dioscuri figli di Zeus, improvvisamente materializzatisi sul campo di battaglia.
Resti della porta del Propileo
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La polis di Locri, a parte il non provato pettegolezzo sui suoi fondatori, si distingue da tutti gli altri insediamenti greci per un altro motivo, storicamente molto più importante: nel VII secolo a.C. è la prima città a dotarsi di un codice di leggi scritte, il primo in assoluto del mondo greco e il più antico d’Europa. Un primato dovuto forse proprio alla diversa provenienza dei coloni, che quindi non condividevano un diritto di uso comune, tradizionalmente mantenuto per via orale.
Di questo antico corpus di leggi non si sa quasi nulla, e ancor meno del suo estensore, Zaleuco, una figura quanto mai inconsistente, che potrebbe essere addirittura leggendaria, prestando credito allo storico Timeo e al più moderno Karl Julius Beloch.
Altri, come Strabone, Diodoro Siculo ed Eusebio di Cesarea, parlano di lui come di un personaggio reale, ma forniscono versioni discordanti sia sulle sue origini sia sulla sua vita.
Zaleuco, dal Promptuarii Iconum Insigniorum
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Zaleuco, secondo il racconto più antico, é uno schiavo-pastore nato a Locri Epizefiri, che riceve dalla dea Atena, in sogno, le idee per alcune buone norme che regolassero la vita dei cittadini e che, soprattutto, prevedessero lo stesso tipo di pena per un medesimo reato. Un servo però non può certo occuparsi di leggi, così interviene un oracolo di Apollo che suggerisce ai Locresi di liberarlo dalla condizione servile per farne il loro legislatore.
Diodoro Siculo, che scrive nel I secolo a.C., invece racconta un’altra storia: Zaleuco, oltre che uomo libero, è un sapiente conosciuto per la sua vasta cultura. Peccato che poi si spinga a dire che il legislatore era stato allievo di Pitagora, vissuto però un secolo dopo.
Le notizie su Zaleuco sono dunque poche e incerte. Rimane il fatto che, indipendentemente da chi le avesse stilate, le leggi adottate dai locresi risalgono al VII secolo a.C. e sono dunque, con ogni probabilità, le più antiche della Grecia, anche rispetto al ben più noto Codice di Dracone, forse posteriore di qualche decennio. I due antichi legislatori hanno qualcosa in comune: le loro leggi sono molto severe, e si rifanno alla legge del taglione, secondo la tradizione orientale.
Non si sa molto di più della legislazione di Zaleuco, se non che codificava le pene per ogni reato, mettendo quindi fine alla discrezionalità dei giudici:
“… tra le prime novità introdotte da Zaleuco c’era questa, che mentre gli antichi affidavano ai giudici il determinare la pena sopra ciascun delitto, egli la determinò nelle leggi stesse: considerando che le opinioni dei giudici anche intorno agli stessi delitti potrebbero non essere sempre le stesse come sarebbe pur necessario che fossero.” (Strabone, Geografia- libro VI).
Secondo tradizione, Zaleuco si rifà alle leggi in uso a Creta, Sparta e Atene, e scrive un codice che, nonostante la sua severità, rimane in uso per oltre 200 anni.
Stabilisce norme di comportamento a tutela della moralità, in particolare quella delle donne, vieta il consumo del vino se non diluito con acqua, e indica come dirimere cause civili, in particolare sul diritto di proprietà. Sicuramente prevede la punizione per l’adulterio: l’asportazione di ambedue gli occhi. Uno dei due soli aneddoti sulla sua vita riguarda proprio questa norma: per salvare da una così grave menomazione suo figlio, colto in flagrante adulterio, si fa togliere un occhio lui stesso, dividendo a metà la pena.
Zaleuco in un’opera esposta al Museo del Louvre
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Per evitare che leggi tanto severe venissero con facilità abrogate o modificate, Zaleuco stabilisce una norma quanto meno singolare, riportata dal grande oratore Demostene: chiunque volesse proporre una variazione alle leggi o introdurne di nuove, doveva presentarsi di fronte all’Assemblea dei Mille con un cappio al collo; se la proposta veniva respinta, l’incauto era messo a morte senza tanti complimenti. A conferma di questa usanza, Polibio cita un caso dov’è evidente l’applicazione della “legge del laccio”.
In caso di contestazione sull’interpretazione della legge, devono comparire davanti all’Assemblea dei Mille – chiamata a dirimere il caso – sia il cittadino ricorrente sia il giudice che ha emesso la sentenza, entrambi con un laccio al collo: uno dei due ci rimette sicuramente la pelle. Sia il racconto di Demostene sia quello di Polibio, per quanto differenti, provano una cosa sola: i locresi vogliono mantenere inalterato quel corpus di leggi, che costituiscono la prima difesa dell’ordine costituito, oltreché di quello pubblico. Si capisce bene quindi, come mai, nel corso di 200 e più anni, nella legislazione locrese sia stata approvata una sola modifica.
Perin del Vaga: Giustizia di Zaleuco (1521 circa) – Galleria degli Uffizi, Firenze
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Un intento analogo potrebbe essere alla base della consuetudine, nelle civiltà antiche, di attribuire una provenienza divina alle leggi. Forse anche Zaleuco – almeno secondo il parere dello storico Karl Julius Beloch – era in origine una divinità solare, come dimostrerebbe il suo nome, che significa “il tutto lucente”, e della quale ha la peculiarità di avere un occhio solo.
Avvolta nella leggenda è anche la fine di Zaleuco: si sarebbe trafitto con una spada per aver contravvenuto, per una banale dimenticanza, alla sua stessa legge, che prevedeva di non presentarsi armati in Assemblea. In realtà, quest’ultimo aneddoto è uguale a quelli riportati per altri due legislatori, Caronda di Catania e Diocle di Siracusa. Episodi non provati e quasi certamente non veri, ma che tuttavia mostrano un aspetto della società greca (colonie comprese) dal quale bisognerebbe oggi trarre insegnamento: il concetto che nessuno può considerarsi superiore alla legge. Ma, in fondo, più che di giustizia è una questione di dignità e correttezza, valori che sembrano troppo spesso sembrano aver perso d’importanza nel mondo moderno.