La scuola serena di Giuseppe Lombardo Radice

Giuseppe Lombardo Radice (1879 – 1938) nasce a Catania e si laurea all’Università di Pisa in filosofia nel 1901 ed ottiene una borsa di studio per il perfezionamento  presso l’Istituto di studi superiori di Firenze dove consegue il diploma e nel 1903 ottiene l’abilitazione all’insegnamento della filosofia a Pisa.

Inizia il suo cammino di insegnamento presso il collegio dei barnabiti “Alla Querce” e, allo stesso tempo, si interessa ad una scuola per gli orfani dei marinai. In questo periodo, sente in maniera crescente, nascere la passione per la pedagogia.

Seguono anni di insegnamento in diverse zone d’Italia: Catania, Arpino, Foggia, Palermo, Messina per poi ritornare  a Catania.

Durante il periodo fascista e alle dipendenze di Giovanni Gentile (ministro della Pubblica Istruzione) stende i programmi ministeriali per la scuola elementare dove prevede anche l’utilizzo delle lingue locali nei libri di testo, in quello che venne poi definito come il programma “Dal dialetto alla lingua”, anche se il progetto non sarà poi messo in pratica a causa dell’ideologia fascista in corso.

Radice non sostiene il regime fascista, tanto che, a seguito del delitto Matteotti, decide di insegnare pedagogia all’Istituto superiore di magistero di Roma fino al 1928.

Questa sua presa di posizione non passa inosservata, vive un periodo di emarginazione e si ritira dalla militanza politica, ma questo non lo risparmia dal prestare giuramento di fedeltà al fascismo. Questa pratica, imposta dal regime, è scelta obbligata:

Il diniego significa la perdita della cattedra e l’esclusione da ogni forma di insegnamento

Trova sollievo da questa situazione, operando alla divulgazione di un nuovo indirizzo pedagogico attraverso la rivista “L’educazione nazionale”. Grazie alla rivista, Radice sostiene le opere del filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson, definito dal pedagogista un vero “profeta dell’educazione nuova”.

La scuola serena

Radice ha il merito di aver sviluppato il concetto di pedagogia pratica.

Il pedagogista amava realmente la scuola, tanto da trarre ispirazione non da colleghi universitari bensì dagli insegnanti delle scuole elementari che applicavano sul campo le loro esperienze. Il suo più grande desiderio era quello di vivere e concretizzare una scuola serena. Il pedagogista sottolinea come il maestro che non si adegua ai bambini e che non si attualizza, non si aggiorna,  che non vuole essere interpellato, che segue sempre e solo il programma ministeriale sia colui che fa della scuola un luogo noioso, addirittura detestabile. L’opposto della scuola serena, appunto.

Scuola nell’Agro Pontino:

L’insegnante della scuola serena deve parlare alle anime, deve indurre gli allievi ad interpretare la vita, creando le migliori condizioni possibili per l’apprendimento. Il maestro deve mettersi in ascolto, deve considerare i propri discenti come collaboratori. Gli alunni imparano a dialogare e a conversare senza timori. Anche rispetto al dialetto il pedagogista non pone limiti:

Un ragazzo potrà parlare utilizzando il proprio dialetto per poi passare gradualmente al corretto utilizzo della lingua italiana

Il corretto impiego della lingua avviene non solo perché l’insegnante è adeguatamente preparato, ma perché il maestro spiega i proverbi con le corrispondenze in lingua italiana, ma non solo, vengono “tradotti” ed interpretati anche il canto dialettale, i canti religiosi e patriottici (quelli che Radice riassume nel concetto di “poesia”) e i modi di dire. In altre parole, si utilizza il concetto di pedagogia pratica.

La critica didattica

Radice introduce una grande novità nell’ambito della scuola, ovvero la critica didattica. Il pedagogista, rivoluzionando il modello dell’epoca, non si accoda a quanti credono che debba esserci un metodo uguale per tutti. Al contrario, Radice sostiene che la didattica non deve uniformare ma deve tenere presente delle differenze individuali.

In questo contesto si colloca la teoria della critica didattica, dove Radice sostiene che gli educatori debbano creare i metodi ma poi il pedagogista debba intervenire per eseguire l’analisi critica dei metodi quando sono applicati. L’attività critica del pedagogista è fondamentale. Inoltre, Radice si informa a proposito di tutti gli interventi e le novità educative sia in ambito nazionale che internazionale e per farlo visita scuole in  Umbria, Lombardia e in Svizzera, analizza testi, metodi e strategie.

Il pedagogista, grazie alle numerose ricerche e alle informazioni raccolte, contribuisce a far conoscere le attività delle sorelle Agazzi, dei coniugi Franchetti a Montesca e della Boschetti a Muzzano e Agno. Di Maria Montessori, invece, critica il lessico (troppo tecnico) utilizzato, mentre ne esalta l’idea di non opprimere il bambino con banchi e presenze ingombranti da parte degli insegnanti. Radice afferma che ci siano “due Montessori”, una positivista e una idealistica, una sorta di doppia personalità. Addirittura, negli anni successivi, il pedagogista andrà ad affermare che il buono del Metodo Montessori deriva dal Metodo ideato dalle sorelle Agazzi e questo contribuì a riaccendere le polemiche tra i sostenitori dei due Metodi.

 Conclusioni

A Radice si deve molto, ancora oggi. Il pedagogista ha anticipato i tempi, sottolineando l’importanza della professionalità e dell’etica dell’insegnante, ma non solo.

Ha posto l’accento sulla personalizzazione formativa, sottolineando come ciascun individuo sia diverso e che non bisogna “livellare” le menti.

Oltre a questo, a Radice si deve l’interesse per la ricerca e l’apertura alle esperienze concrete. Il suo amore per il sapere e la conoscenza di altre teorie pedagogiche dovrebbe aiutare e sostenere l’operato dei pedagogisti attuali e motivarli per continuare  a farli “ardere” di quella passione educativa irrinunciabile per veri insegnanti, educatori e pedagogisti.


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