Gli Sciti erano un popolo di esperti e feroci cavalieri e arcieri, il cui impero fiorì tra il 900 e il 200 aC. (anche se ebbe una vita molto più lunga), occupando un territorio compreso fra il Mar Nero e i confini con la Cina. Nonostante la potenza del loro regno, capace di resistere anche ai Persiani di Dario I, degli Sciti si perse memoria per molti secoli, ma il ghiaccio siberiano ha gelosamente nascosto, e conservato, moltissime testimonianze della loro gloriosa storia.
Cavaliere scita della Cultura di Pazyryk, reperto in feltro:
Lo storico greco Erodoto, una delle poche fonti su questa civiltà quasi sconosciuta, racconta vividamente come i guerrieri nomadi, conosciuti per loro abilità con l’arco, terrorizzassero tutte le popolazioni vicine: bevevano il sangue dei nemici uccisi e toglievano loro lo scalpo. Un gran numero di scalpi, esibiti come trofei (e talvolta cuciti insieme per farne un mantello), era sinonimo di grande valore; la pelle dei nemici veniva usata per coprire le faretre, oppure sventolata come vessillo di guerra.
Una maschera d’argilla nasconde il volto mummificato di un guerriero scita vissuto più di 2000 anni fa
Fonte immagine: British Museum
La testa, insieme a molti altri reperti di una civiltà poco conosciuta come è quella degli Sciti, è attualmente in mostra al British Museum di Londra. Oltre la maschera è possibile vedere la ricostruzione del volto del guerriero, grazie alla scansione effettuata in un ospedale di San Pietroburgo.
Fonte immagine: British Museum
L’uomo aveva una bella dentatura e un orecchio forato, portava i baffi, e il suo viso era deturpato da un lunga cicatrice, accuratamente cucita, che dall’occhio arrivava fino alla mandibola.
La dottoressa Svetlana Pankova, che ha effettuato la scansione della testa mummificata, a San Pietroburgo
Fonte immagine: British Museum
Una donna, forse una concubina, anch’essa con il volto coperto da una maschera d’argilla, venne trovata sepolta insieme al guerriero. Il viso leggermente sorridente, rappresentato sulla maschera, nasconde un’antica bellezza che i ricercatori sperano di svelare in un prossimo futuro.
Lo storico greco racconta anche di un’usanza comune tra i guerrieri nomadi: prendevano dei semi di canapa, li gettavano su delle roventi pietre rosse poste all’interno di una tenda di feltro, ne respiravano i vapori, e poi urlavano di gioia. Le sue narrazioni, molto spesso ritenute fantasiose, cominciano a trovare un riscontro archeologico: recenti scavi hanno portato alla luce i semi di canapa, i bracieri, i treppiedi e le pietre, esattamente come li aveva descritti Erodoto (mancano solo i fumi inebrianti).
Erodoto racconta ancora che, quando un valoroso guerriero moriva, era consuetudine seppellire insieme a lui una delle sue concubine, servi e cavalli, tutti uccisi per strangolamento. Tuttavia, il professor St. John Simpson, curatore della mostra, dice che i cavalli trovati nelle tombe furono uccisi con un solo colpo d’ascia tra gli occhi.
I nomadi sciti non conoscevano la scrittura e non costruirono nulla che sia arrivato fino a noi se non le loro tombe, che comunque raccontano molto dei loro usi e costumi.
Seppellivano con il morto tutto ciò che poteva essergli utile nell’altra vita: preziosi ornamenti d’oro e oggetti in metallo come armi e utensili, e poi pellicce, tessuti, mobili, pelle umana tatuata, selle, tutto sorprendentemente conservato dal permafrost siberiano.
L’anno scorso la civiltà scita è stata oggetto di una mostra a Londra, dal titolo “Scythians: Warriors of Ancient Siberia”. Sotto, il video promozionale della Mostra: