La Ribellione di Serpente Pazzo: nel 1909 l’ultima rivolta dei Nativi Americani

27 marzo 1909, Oklahoma: si conclude quella che viene definita l’ultima “rivolta indiana”, la “ribellione di Serpente Pazzo”.

Il New York Times, il 30 marzo pubblica un trafiletto, dove si può leggere:

“Lo scoppio improvviso di una ribellione Indiana in questi ultimi giorni sembra un anacronismo. Avevamo pensato che i giorni delle guerre indiane fossero finite. […] La strana anomalia della guerra di Serpente Pazzo – una selvaggia esplosione nel mezzo della civilizzazione moderna – viene dimostrata dallo Sceriffo Jones […] che usa il telefono per chiedere rinforzi! L’anonimo giornalista commenta: “Da Tecumseh (grande capo della nazione Shawnee, ndr) a Toro Seduto, nessun nobile selvaggio era stato costretto a fare i conti con il telefono”.

Presunto ritratto di Tecumseh (1768 – 1813)

Chitto Harjo è quindi probabilmente l’ultimo dei nativi americani che tenta di opporsi alla definitiva assimilazione del suo popolo.

Geronimo, “l’ultimo pellerossa”, che aveva combattuto per un quarto di secolo una guerra contro il governo degli Stati Uniti, si era arreso nel 1886, e caso vuole che muoia di polmonite proprio nel 1909, quando ormai è un vecchio stanco, provato da una lunga prigionia e forse anche da quegli ultimi anni di libertà che lo vedono costretto a esibirsi in fiere paesane, e più ancora, probabilmente, da molti rimpianti: le sue ultime parole, dette a un nipote, raccontano bene quanto doveva essere stato doloroso vivere da sopravvissuto:

“Non avrei mai dovuto arrendermi, avrei dovuto combattere fino a quando non fossi l’ultimo uomo vivo”

Geronimo nel 1905, in una foto di Edward Sheriff Curtis


In quel 1909 il mito di Geronimo, grande guerriero Apache, è già nato. Le sue battaglie contro la colonizzazione delle terre ancestrali del suo popolo, il selvaggio West, sono ormai lontane, praticamente storia.

Probabilmente per questo il New York Times trova anacronistico quello che succede in Oklahoma, la “ribellione di Serpente Pazzo”.

Seppure non paragonabile alle “guerre indiane”, la presa di posizione di Chitto Harjo rappresenta comunque un ultimo atto di orgoglio da parte di chi cerca di mantenere un’identità che il governo degli Stati Uniti vuole spazzare via. Una ribellione che, al passo con quei tempi moderni, coinvolge non solo un gruppo di nativi americani, ma anche una minoranza di afroamericani, emarginati dall’approvazione della legge sulla segregazione razziale, entrata in vigore in Oklahoma nel 1907.

Chitto Harjo – 1900 circa

Chitto Harjo è un nome che può essere tradotto come Serpente Pazzo, dove Harjo (pazzo) ha una valenza straordinaria, da nomen omen, perché è un modo conciso per descrivere una persona “coraggiosa senza riguardo per il proprio benessere personale”.

Chitto Harjo, nato nel 1846, appartiene alla nazione Muscogee Creek, e vive in Oklahoma, che alla fine dell’800 vorrebbe diventare ufficialmente uno Stato. Occorre però che i governi tribali e le altre istituzioni dei nativi cessino di esistere, così come occorre che le terre assegnate globalmente alla Nazione Muscogee siano suddivise e intestate alle singole famiglie di nativi. L’eccedenza di terra sarebbe stata venduta a nuovi coloni europei/americani. Nel 1896 viene creata un’apposita commissione federale per riassegnare le terre appartenenti alle cosiddette Cinque Tribù Civilizzate (Cherokee, Chickasaw, Choctaw, Creek-Muscogee, e Seminole).

Le Cinque Tribù Civilizzate

Chitto Harjo si oppone fermamente a quello che vede come un sopruso, lui che ha combattuto nell’esercito dell’Unione durante la Guerra Civile, lui che è un capo autorevole, impegnato a mantenere vive le tradizioni tribali, lui che viene riconosciuto come leader della Four Mother Society, un’associazione politico/religiosa intertribale che nasce proprio per lottare contro quell’ultimo esproprio di territorio, e che continua ad esistere fino ad oggi.

Dal 1900 al 1909 Chitto Harjo e i suoi seguaci fanno di tutto per resistere al processo di assimilazione, finiscono in prigione, anche se per brevi periodi, ma mai accettano la riassegnazione di terre, anche quando molte famiglie Creek lo fanno.

Nel 1906 Chitto Harjo arriva a portare la sua testimonianza al Congresso, i cui membri proprio non si capacitano di tanta opposizione ai cambiamenti proposti. E lui fa un discorso che ha a che fare con l’onore, il rispetto e il senso di giustizia, valori troppo spesso decantati a parole e poco applicati nella realtà.

“Non smetterò mai di chiedere (l’applicazione di) questo trattato, il vecchio trattato che i nostri padri hanno fatto con il governo che ci ha dato questa terra per sempre… finché l’erba cresce, l’acqua scorre e il sole sorge”.

E continua: “I miei antenati e il mio popolo erano gli abitanti di questo grande paese dal 1492. Con questo intendo dire da quando l’uomo bianco arrivò per la prima volta in questo paese fino ad ora. Era la mia casa e la casa del mio popolo da tempo immemorabile ed è oggi, penso, la casa del mio popolo. […] Può darsi che il mio paese dovesse venirmi portato via, ma non era giustizia. Ho sempre chiesto giustizia. Non ho mai chiesto altro che giustizia. Non ho mai avuto giustizia”.

Parole al vento. Il governo degli Stati Uniti va avanti per la sua strada, l’Oklahoma ottiene di diventare Stato, e subito approva le leggi di segregazione razziale. Nel 1908 molti neri e meticci, cacciati via da dove avevano abitato fino ad allora, vengono accolti nelle terre cerimoniali dei Creek, un luogo chiamato Hickory Ground.

A marzo del 1909 uno di loro viene accusato di aver rubato a un bianco un pezzo di carne affumicata. Arriva un vice-sceriffo, che vuole arrestare qualcuno, ma il gruppo di afroamericani, che non ne riconosce l’autorità in un territorio della Nazione Creek, lo caccia via. D’altronde, nessuno di loro credeva nella possibilità di avere un processo equo, ma aveva piuttosto la certezza di subire un linciaggio. Il vice sceriffo torna in forze per procedere agli arresti. Ne segue una battaglia che finisce con un afroamericano ammazzato e 42 arrestati.

Ma non basta, il 27 marzo un gruppo d’ordine (posse comitatus) di civili si mette in testa di arrestare Chitto Harjo, colpevole di guidare un governo indipendente, di rispettare le proprie leggi e tradizioni. Lo va a cercare nella sua capanna a Hickory Ground.

I fedeli del leader indiano ammazzano due dei vigilanti bianchi, ma non possono impedire che il loro capo sia ferito a una gamba. Gli scontri durano un paio di giorni, e alla fine i Creek “ribelli” riescono  a scappare, durante la notte, ma la morte dei due bianchi provoca una reazione furibonda.

Arrivano in tanti, per cercare Chitto Harjo, sparano e danno fuoco alla capanna, dove c’è solo una donna, che riesce a trovare scampo nel bosco lì vicino. Giungono perfino duecento uomini della Guardia Nazionale, che ristabiliscono l’ordine a Hickory Ground, disperdendo i gruppi di “posse”, perché quella “ultima ribellione” è stata in realtà causata da loro e non dai Creek.

I “ribelli” di Chitto Harjo imprigionati dopo la rivolta

Di Chitto Harjo si perdono le tracce. Lui se n’è andato a sud, forse solo in un’altra contea dell’Oklahoma, accolto dai nativi Choctaw, o forse in Messico.

Serpente Pazzo muore nel 1911, ultimo protagonista (suo malgrado) di un’epopea ormai finita: “L’idea romantica del Pellerossa è morta, e probabilmente Serpente Pazzo e i suoi luogotenenti faranno presto la stessa fine”, conclude il New York Times.

Una facile, per quanto amara, profezia

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Annalisa Lo Monaco

Lettrice compulsiva e blogger “per caso”: ho iniziato a scrivere di fatti che da sempre mi appassionano quasi per scommessa, per trasmettere una sana curiosità verso tempi, luoghi, persone e vicende lontane (e non) che possono avere molto da insegnare.