Al confine ovest dell’Ucraina e nella parte più orientale della Moldavia c’è un lembo di terra di circa 3.000 km² che si chiama Repubblica Moldava di Pridniestrov, più comunemente nota come Transnistria. Per la Moldavia è solo una regione del suo territorio; per la Russia, invece, è uno stato indipendente.
La domanda è più che legittima:
Chi dei due ha ragione?
Non esiste una risposta, perché parliamo di una zona dell’est Europa che da circa vent’anni è sospesa in limbo geopolitico le cui radici appartengono al passato.

Il termine Transnistria è traducibile con al di là del Nistro, ovvero il corso d’acqua che bagna la regione. Gli attuali territori della sua repubblica si estendono quasi verticalmente lungo il corso di questo fiume e comprendono tutti gli ex possedimenti moldavi della riva destra e anche alcuni comuni della riva sinistra.

Detto ciò, torniamo indietro nel tempo e andiamo alla scoperta degli antefatti che, in tempi recenti, hanno portato alla nascita di questa repubblica fantasma.

La storia della Transnistria ha inizio nel Medioevo, quando fu sotto il controllo del Rus’ di Kiev. Dopo il dominio di Kiev la regione si scisse in due parti. Quella meridionale andò al Granducato di Lituania, che, in un secondo momento, si unì alla Polonia e diede vita alla Confederazione polacco-lituana. Quella settentrionale, invece, finì nella sfera d’influenza ottomana.

Negli ultimi anni del Settecento, la crescente egemonia della Russia rimescolò le carte della geopolitica della zona. La zar Caterina II, infatti, desiderava rafforzare i propri confini a sud-ovest e il sultano della Sublime Porta le diede la Transnistria meridionale. In seguito alla seconda spartizione della Polonia, poi, nel 1793 la Russia ottenne anche quella settentrionale.

All’epoca la popolazione era in prevalenza moldavo-rumena, ma la colonizzazione zarista favorì l’insediamento di russi e ucraini. Con lo scoppio della rivoluzione bolscevica, l’Ucraina si scisse in tre repubbliche indipendenti e una di queste, la Repubblica Popolare Ucraina, dichiarò la sua sovranità anche sulla Transnistria.
L’ascesa di Lenin sedò il caos che si era creato all’interno dell’ex mondo zarista e l’Ucraina entrò a far parte della neonata Unione Sovietica, che, a sua volta, rivendicò il possesso di un’altra regione storica, la Bessarabia. Questa annessione ebbe delle ripercussioni sulle questioni geopolitiche della Transnistria. Per scoprire come, è necessario tornare indietro di qualche decennio.

Agli inizi dell’Ottocento, la Russia inglobò la Bessarabia, che si trovava a nord della Moldavia, e vi stabilì un governatorato posto sotto la sua sfera d’influenza. Nel 1828, però, revocò l’autonomia che aveva concesso e avviò un intenso programma di russificazione della zona. Nonostante ciò, a livello culturale, la Bessarabia rimase molto legata alla Romania e quel che restava della popolazione moldavo-rumena sognava una riunificazione con il governo di Bucarest. La fine dell’era zarista spianò la strada al progetto, e la Romania approfittò del caos nato dall’avvicendamento politico in Russia per annetterla ai suoi territori.

E ora, torniamo al periodo post rivoluzionario. Le pretese sovietiche sulla Bessarabia erano più che legittime, ma la presenza di una minoranza russofona, nel concreto, non bastava per riportarla sotto la sua sfera d’influenza. Lenin e i suoi collaboratori, allora, procedettero con un espediente geopolitico e crearono una sorta di stato cuscinetto confinante con la Bessarabia. In pratica, staccarono alcune zone dall’Ucraina, compresa la Transnistria, e proclamarono la nascita dell’Oblast’ Autonomo di Moldavia, che, il 12 ottobre del 1924, divenne la Repubblica Socialista Sovietica Autonoma di Moldavia.

Anche se la maggioranza etnica era quella moldavo-rumena, si trattava di uno stato fantoccio che serviva appunto per rafforzare le pretese sovietiche sulla Bessarabia. In un’ottica più generale, la sua istituzione doveva favorire la propaganda sovietica in Bessarabia, esercitare pressione sul governo rumeno e, in ottica futura, sostenere un’eventuale rivoluzione comunista.

Negli anni fra le due guerre, la nuova repubblica fu al centro di un grande progetto di industrializzazione che, in maniera indiretta, diminuì la percentuale dell’etnia moldavo-rumena. In Moldavia, infatti, l’economia era in prevalenza agricola e le riforme comuniste portarono alla creazione di nuovi posti di lavoro, che spinsero gli operai russi e ucraini a emigrarvi.

Il 23 agosto del 1939, la Germania nazista e l’Unione Sovietica firmarono il patto Molotov-Ribbentrop, un accordo di non belligeranza che prevedeva un particolare protocollo segreto. Oltre alla ben nota spartizione della Polonia, Stalin si assicurò l’annessione di due territori della Romania: la Bessarabia e la Bucovina. Il 26 giugno del 1940 Mosca diede un ultimatum al governo di Bucarest, che, visti i venti di guerra che soffiavano sull’Europa e le insistenze di Hitler, cedette alle richieste dei bolscevichi. Il successivo 2 agosto, poi, il Soviet Supremo ordinò l’unione della Bessarabia con il territorio moldavo e nacque un nuovo stato: la Repubblica Socialista Sovietica Moldava, il cui nome è identico a quello precedente, ma senza il termine “Autonoma”.

Dopo l’invasione della Polonia, con la Germania da un lato e l’Unione Sovietica dall’altro, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale rivelò i veri piani del Terzo Reich. Il Führer ruppe il patto di non belligeranza e diede inizio all’Operazione Barbarossa il 22 giugno del 1941. Quando la Wehrmacht entrò Russia, fra le potenze dell’Asse c’era anche la Romania, che avanzò in terra sovietica, occupò la Bessarabia, la Moscovia e la Transnistria e favorì un processo di romanizzazione a discapito della componente etnica russo-ucraina.

La situazione politica si ribaltò ancora una volta nella primavera del 1944. La controffensiva sovietica fu un successo e l’Armata Rossa espulse sia l’esercito della Germania sia quello della Romania. La Moldavia, con Transnistria inclusa, tornò nelle mani di Stalin. I tempi, però, erano cambiati e la breve interferenza straniera aveva creato dei disordini interni che il Segretario Generale del Partito decise di reprimere con la forza. Ci fu una nuova ondata di russificazione, molto più intensa della precedente, ma anche grandi purghe contro i dissidenti politici. In quegli anni si ebbero le deportazioni in Kazakistan e in Siberia di circa 11.000 famiglie di piccoli possidenti terrieri moldavi (i kulaki, in russo), oltre che persecuzioni religiose.

Nel periodo post bellico, in Moldavia si registrò un nuovo aumento della percentuale etnica russo-ucraina e il governo sovietico impose l’adozione dell’alfabeto cirillico e il russo come lingua universale. Sul fronte economico, invece, sulla riva sinistra del Nistro continuò a prevalere l’agricoltura, ma su quella destra ebbe la meglio l’industrializzazione.

Prima di proseguire, però, è necessario fare il punto della situazione e inquadrare il contesto culturale della Repubblica Moldava. Come si è detto, la percentuale di russi e ucraini aumentò, ma la prevalenza etnica era sempre quella moldavo-rumena, che, in un modo o nell’altro, era legata alla Romania. In sostanza, la popolazione era bilingue, il russo giocava il ruolo di lingua universale, e le diverse etnie riuscivano a coesistere senza troppi problemi.

Fra il 1969 e il 1971 si fece largo un movimento nazionalista clandestino che spingeva per la secessione della Moldavia dall’URSS e per l’unione con la Romania, ma il governo sovietico si impegnò nella repressione di tutti i moti rivoluzionari. Questo popolo eterogeneo riuscì a coesistere fino agli anni ’80, finché le decisioni di Michail Gorbačëv diedero inizio a una serie di problemi interni. Il Segretario Generale del Partito lanciò un grande programma di ristrutturazione politica, sociale ed economica, la perestrojka, che comprendeva una maggior trasparenza e libertà organizzativa per le repubbliche sovietiche.

Questo progetto, però, in Moldavia creò scompiglio, perché sdoganò il diritto di discussione e di critica, vanificò la repressione degli anni precedenti e favorì l’ascesa dei movimenti nazionalisti. In parole povere, si formò una nuova classe dirigente che mirava all’unità culturale e che, grazie alla perestrojka, poté operare alla luce del sole. Il pomo della discordia fu l’abolizione del russo come lingua universale e l’abbandono dell’alfabeto cirillico. A partire dal 1989, poi, si iniziò a parlare anche di una possibile riunificazione con la Romania. Le riforme di questa politica nazionalista spaventarono soprattutto gli abitanti della Transnistria, dove i russi e gli ucraini rappresentavano la maggioranza della popolazione.

Ormai era chiaro che la Moldavia si stava orientando verso la discriminazione razziale nei loro confronti e il 2 settembre del 1990 nacque la Repubblica Sovietica Moldava di Pridniestrov. La secessione era il frutto di un referendum popolare che aveva vinto con circa il 90% dei voti, ma si trattava di un’indipendenza unilaterale, ovvero priva del consenso della Moldavia, che, com’è facile immaginare, non riconobbe il nuovo stato. Tuttavia, la Transnistria era comunque una repubblica socialista e cercò l’aiuto dell’URSS, ma, il 22 dicembre del 1990, Gorbačëv dichiarò nullo il suo atto d’indipendenza.

La repubblica ribelle controllava tutta la zona a est del Nistro e alcune città sulla sponda opposta. La Moldavia mise in campo l’esercito e aprì il primo fronte sulla riva sinistra del fiume, dove c’era Dubăsari. La città si trovava al centro del Nistro e conquistarla equivaleva a creare una testa di ponte da sfruttare per un’incursione nella Transnistria orientale e per dividerne il territorio in un blocco nord e in un blocco sud. L’offensiva ebbe inizio il 2 novembre del 1990, ma non sortì l’effetto sperato e, nel 1991, il conflitto entrò in una fase di stallo.

Nel frattempo, l’URSS era ormai prossima alla disgregazione. Il Segretario Generale del Partito era sempre Gorbačëv, ma le elezioni per il presidente della Repubblica russa le vinse Boris Eltsin. Il primo stava cercando di coniugare il socialismo con la democrazia e il secondo voleva fomentare il nazionalismo russo per l’adozione di un’economia capitalista e l’abbandono del sistema delle repubbliche sovietiche. In un modo o nell’altro, c’era aria di cambiamenti all’interno dell’URSS e, nell’estate del 1991, un gruppo di ministri sovietici, che godevano dell’appoggio di alcuni ufficiali dell’esercito e del capo del KGB, organizzarono un colpo di stato per far valere le proprie idee conservatrici. Il 19 agosto le forze ribelli arrestarono Gorbačëv mentre si trovava in vacanza in Crimea, ma a Mosca, l’altro bersaglio, ovvero Eltsin, esortò la popolazione a insorgere e, infine, gran parte dei reparti militari si schierarono dalla sua parte e da quella di Gorbačëv. Il golpe si risolse in un nulla di fatto, ma ormai era chiaro che l’Unione Sovietica non era più un fronte unito e compatto.

Il 27 agosto la Moldavia approfittò della situazione per svincolarsi dal controllo di Mosca e dichiarò l’indipendenza del suo territorio…
Un territorio che, almeno sulla carta, comprendeva anche la Transnistria

Due giorni dopo, però, la Transnistria fece lo stesso e, con entrambi gli stati fuori dall’orbita russa, nel 1992 ripresero le ostilità. Gli eserciti dei due schieramenti non avevano grandi risorse e la Moldavia si guadagnò un vantaggio numerico grazie al sostegno della Romania. Le truppe repubblicane, quindi, riaprirono il fronte sul Nistro, ma, contro ogni aspettativa, non riuscirono a prevalere.

Per scoprire il perché, torniamo un attimo al dopoguerra. La Transnistria orientale era in gran parte di lingua e cultura russa e godeva di un’ottima economia su base industriale. Si trattava, quindi, di una zona strategica per l’Unione Sovietica e, nel 1956, il Partito vi installò un grande arsenale di armi nei pressi della città di Tiraspol e vi lasciò la quattordicesima armata dell’esercito a sorvegliarlo. Nel 1992, però, sia l’arsenale sia l’armata erano ancora lì e gran parte dei soldati erano di origini transinistriane o appoggiavano la causa separatista.

Quando la guerra lungo il Nistro riprese, il Cremlino concesse ai ribelli l’accesso alle armi e ai mezzi pesanti del deposito, ma ordinò all’armata di non intervenire in via diretta. Gli scontri proseguirono e, il 1° marzo del 1992, la Moldavia invase con successo Dubăsari e si preparò a esordire sulla riva opposta del fiume, ma la grande resistenza della Transnistria favorì il passaggio a una sorta di guerra di posizione, ovvero con la linea di fronte bloccata. La situazione, però, mutò ancora una volta il successivo 19 giugno, quando i repubblicani riuscirono ad attraversare il Nistro e arrivarono alle porte di Bender. Da lì potevano dilagare nei territori orientali e vincere la guerra, perciò concentrarono tutte le loro forze sulla presa della città.

I separatisti erano a un passo dalla sconfitta, ma l’ago della bilancia ricominciò a pendere dalla loro parte grazie al Cremlino, che cambiò rotta e offrì un sostegno diretto alle milizie della Transnistria.

La quattordicesima armata si recò a Bender e lo scontro fra i due schieramenti fu un massacro, ma, infine, la città tornò sotto il controllo dei separatisti e, il 21 luglio del 1992, si giunse a un “cessate il fuoco”.

In realtà, si trattò di una pace solo di facciata. Se da un lato la Russia riconobbe l’indipendenza della regione e la pose sotto la sua protezione, dall’altro, la Moldavia continuò a rivendicarne la sovranità. Nel 1994, poi, il Cremlino firmò degli accordi per il progressivo smantellamento dell’arsenale di Tiraspol, ma non mantenne la parola, se non in parte, perché si limitò semplicemente a diminuire il numero delle armi e dei soldati della quattordicesima armata.

Ancora oggi la Repubblica Moldava di Pridniestrov è uno stato fantasma che, de iure, appartiene alla Moldavia. Il 18 marzo del 2014, però, ha chiesto l’annessione alla Russia in conseguenza alla secessione della Crimea dall’Ucraina, ma questa unione territoriale non ha avuto luogo. Come si è visto, la sua indipendenza è stata la conseguenza di un frammentario mosaico culturale e linguistico insito nella sua storia. In un certo senso, possiamo guardare alla zona eurasiatica come una grande scacchiera, dove la Transnistria è un pedone creato ad hoc dalla Russia. Non sappiamo quale sarà la prossima mossa, ma chi è avvezzo a questo gioco sa che il sacrificio di uno o più pedoni vale la cattura di una regina.