Esistono alcuni casi di cronaca nera che si presentano talmente semplici da non apparire reali, e altri ancora che sono così arzigogolati da superare la fantasia di ogni romanziere e giallista: uno di questi ultimi è quello passato alla storia come il caso della penna a sfera, accaduto in Olanda.
È una domenica di maggio del 1991. A Leiden (conosciuta in Italia anche come Leida), città dell’Olanda meridionale, uno studente universitario si sta recando dalla madre per il tradizionale pranzo della domenica.
Il ragazzo, che chiameremo K., studia all’Università di Leiden, il più antico ateneo dei Paesi Bassi, fondata nel 1575 da Guglielmo I d’Orange. Il giovane K. arriva a casa, probabilmente annuncia il suo arrivo, come si è soliti fare, ma non riceve alcuna risposta. Solo silenzio. Appena mette piede in salotto scopre la ragione di quel silenzio: la madre è a terra, pancia in giù, immobile. La donna, che chiameremo R., ha del sangue alla testa, sangue che ha causato una grossa macchia sul tappeto. R., la madre dello studente, è morta.
In casa giunge la polizia, che non può far altro che constatare il decesso. Oltre alla grossa macchia che ha imbrattato il tappeto, le forze dell’ordine notano alcune piccole macchioline di sangue sul busto e un foro nei pressi della palpebra destra della donna.
A quello strano buco dedica molta attenzione il medico legale, quando la salma arriva all’ospedale di Leiden. È il dottore a scoprire cosa nasconde quel foro:
Dentro, totalmente conficcata, c’è una penna a sfera
La penna ha trapassato l’orbita dell’occhio giungendo fino al cervello e causando la morte della signora R.
Ma come ci è finita lì quella penna? È una casualità, un incredibile incidente, oppure si è di fronte a un omicidio, altrettanto incredibile?
Gli inquirenti indagano sull’esistenza di casi simili nella storia: per quanto fosse improbabile, la vicenda trova una manciata di precedenti nella storia:
Alcune persone sono morte cadendo su una penna a sfera
La tesi del caso accidentale inizia a prendere corpo, dunque, procedendo però parallelamente a quella dell’azione delittuosa. Le indagini sono a tappeto, famigliari, vicini di casa, amicizie della vittima, ma niente porta ad avvalorare l’ipotesi omicida. Il caso della donna di Leiden morta per colpa di una penna scivola così negli archivi della polizia.
Passano alcuni anni e nel 1995, come in un romanzo, succede qualcosa che fa riaprire le indagini.
In una scuola media della città, un bidello, durante un momento di relax, si trova un giornale in mano. L’uomo sfoglia il quotidiano e si ritrova sotto gli occhi un trafiletto nel quale si parla di un misterioso caso successo quattro anni fa lì a Leiden. L’uomo legge attratto dalla particolarità della vicenda: l’articolo parla di una donna di mezza età morta per una penna a sfera.
L’uomo legge attentamente l’articolo e d’improvviso gli balza in testa un ricordo: qualche anno prima, in un altro istituto, aveva notato un gruppo di studenti tenere una strana conversazione sulla realizzazione del delitto perfetto. I giovani si trovano d’accordo sul fatto che un delitto senza possibilità di essere incastrati si possa compiere con una penna a sfera, utilizzata a mo’ di freccia e lanciata attraverso un qualche strumento contro una persona.
Il bidello rilegge l’articolo e riflette sul nome della vittima, la nostra signora R., e sull’identità di quei ragazzi che tempo prima avevano dato vita a quella particolare discussione.
Uno di loro è proprio K., il figlio della vittima
Le indagini si riaprono immediatamente. Si scopre che il giovane K. è seguito da uno psicologo per alcuni disturbi di personalità ed è proprio dal dottore che la polizia si reca: è la mossa che dà una svolta al caso.
Lo psicologo svela che il suo assistito, durante una seduta, gli ha parlato della morte della madre confessando infine di averla uccisa lui conficcandole una penna in un occhio grazie a una balestra.
K. viene subito arrestato e nell’ottobre 1995 il giudice lo condanna a 12 anni di reclusione
Il caso è chiuso. No, affatto, restate seduti. È parere diffuso tra i giallisti che la realtà della vita superi sempre la fantasia del romanzo. Il caso della penna a sfera ne è un fulgido esempio.
Il punto esclamativo alla nostra storia arriva quando un gruppo di scienziati legge la notizia dell’arresto del giovane matricida. Gli studiosi vengono incuriositi dalla dinamica del delitto e decidono di compiere alcuni esperimenti per provare la reale possibilità di una simile uccisione, vale a dire che una penna a sfera, lanciata da una balestra, possa penetrare tanto in profondità nel volto di una persona da causarne la morte.
Il risultato degli esperimenti parla chiaro: in tutti i casi, dopo essere stata sparata dalla balestra, la penna usata come un dardo trapassa l’orbita, ma poi si blocca, lasciando solo la punta della penna, con la coda del tubicino d’inchiostro, proseguire per qualche altro millimetro.
In poche parole la penna che ha causato la morte della signora R. non è stata di certo lanciata con una balestra come il presunto omicida, il figlio, afferma. Ergo, K. non è un assassino, ma solo un mitomane che ha voluto far credere a tutti di aver ucciso la madre in quel modo così ingegnoso.
K. è una persona fuori di testa, con dei problemi mentali, certamente da curare, ma non è un assassino
Il giovane studente viene così scarcerato all’inizio del 1996. Ma allora come è morta la signora R.?
Si è trattato di un incidente, come si era pensato all’inizio; per quanto raro e incredibile possa sembrare è stato un incidente. La donna aveva una penna in mano, senza il cappuccio, ed è scivolata nei pressi del tappeto, mentre cascava a terra non ha lasciato la penna né ha compiuto l’atto istintivo, quando si cade, di porre le mani davanti. Dal canto suo la penna, mentre la donna cadeva, si è messa in posizione verticale e si è conficcata nell’occhio della signora R. provocandone la morte. Una penna a sfera che diventa un’arma letale: la realtà che supera la fantasia di ogni giallista.
Fonte scientifica: National Center fot Biotechnology Information.