La Peste Nera del 1347: non i Topi ma i Pidocchi diffusero l’Epidemia

La peste nera, la terribile epidemia che per la sua virulenza venne chiamata anche morte nera, uccise centinaia di milioni di persone in Asia e in Europa, tra il 1347 e il 1353.

La diffusione della peste nera

Fonte immagine: Flappiefh via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0

I dati sul reale numero delle vittime non sono certi né affidabili, ma la colpa per il terribile morbo che uccise circa un terzo degli europei non si può più dare ai ratti (rattus rattus) e alle pulci che si portavano appresso.

Ratti (rattus rattus)

Fonte immagine: 4ocima via Wikimedia Commons  – licenza CC BY-SA 2.5

La spiegazione finora accettata sulla diffusione della malattia sembrava semplice e consequenziale: in una sperduta regione dell’Asia centrale una moria di topi scatenò una migrazione delle pulci infette sugli uomini e altri mammiferi. Il contagio si propagò velocemente attraverso la Via della Seta, arrivando ai confini della Russia attuale tra il 1339/45.

La pulce del ratto orientale, che diffonde il batterio della peste

Immagine di pubblico dominio

Per far arrivare in Europa il mortale Yersinia pestis ci vollero però le navi: in Crimea, quando il Khan mongolo Ganī Bek fu costretto ad abbandonare l’assedio della colonia genovese di Caffa – i suoi uomini morivano di peste come mosche – pensò bene di lanciare all’interno delle mura, con una catapulta, dei cadaveri infetti, che scatenarono il contagio:

E’ il primo caso noto di guerra batteriologica

Il bacillo della peste, le pulci e i topi viaggiarono comodamente a bordo delle navi genovesi, toccando i porti di tutto il Mediterraneo. Nel 1347 la peste fece la sua comparsa a Costantinopoli, poi arrivò a Messina, Genova e Venezia: da questi tre distinti focolai italiani il morbo raggiunse la Francia, e poi Spagna, Portogallo, Marocco e Tunisia, ma anche Austria, Gran Bretagna, Germania, fino ai Paesi Baltici e addirittura Islanda e Groenlandia (e molti altri paesi).

Trionfo della morte – 1446

L’epidemia raggiunse le proporzioni di un’apocalisse, e fu considerata una punizione divina, oppure il risultato di una sfavorevole congiunzione astrale, che risucchiava aria dalla terra, e la rimandava giù sotto  forma di un “soffio pestifero”. Quello del contagio era un concetto totalmente estraneo alla medicina medioevale, che non trovava nessun rimedio alla malattia, se non quello di respirare i fumi di erbe aromatiche bruciate. Ma incolpare Dio o una cattiva aria non poteva soddisfare l’ansia degli uomini di trovare uno o più colpevoli per una così grande catastrofe. In Europa, in particolare in Germania e Paesi Bassi, furono gli ebrei a fare le spese dell’ignoranza medica dell’epoca: intere comunità (a Worms, Francoforte e Magonza) preferirono incendiare le loro case, e morirvi dentro, piuttosto che farsi comunque bruciare vivi dalla folla inferocita. Vennero incolpati anche i gatti, massacrati perché simbolo del demonio.

I cittadini di Tournai seppelliscono le vittime della peste – XIV secolo

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Fu solo nel 1894 che il medico svizzero-francese Alexandre Yersin (insieme a un collega giapponese) scoprì il bacillo della peste, facendo ricerche durante un’epidemia scoppiata a Hong Kong. Più tardi scoprì che il batterio non veniva trasmesso dai topi, ma dalle pulci ospitate nel pelo dei roditori.

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Se è certo che le pulci dei ratti sono vettori della peste, non è così certo che la pandemia del XIV secolo si sia trasmessa con le modalità finora ritenute più convincenti. Perché, secondo alcuni studiosi, la popolazione di ratti presenti in Europa all’epoca non sarebbe in grado di giustificare un numero di morti così elevato, né una così rapida diffusione dell’epidemia.

Una ricerca condotta da scienziati norvegesi e italiani suggerisce che non furono le pulci dei topi a trasmettere il contagio, ma parassiti che abitualmente si trovavano sull’uomo, come pidocchi e pulci dell’uomo.

Scheletri di vittime della peste (1720/21) in una fossa comune in Francia

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Partendo dai dati sulla mortalità in nove città europee, i ricercatori hanno fatto il confronto fra tre diverse possibilità: la pesta diffusa dai ratti, oppure per via aerea, o da parassiti che abitualmente vivevano sugli esseri umani (o i loro vestiti). Il risultato, che in sette casi su nove conduce ai pidocchi e alle pulci dell’uomo, spiegherebbe meglio la rapida diffusione dell’epidemia.

“Eteroparassiti umani e diffusione della peste in Europa” è il titolo dato alla ricerca, pubblicata all’inizio del 2018 sulla rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences): lo studio non ha solo un valore storico, anzi: “Comprendere il più possibile ciò che accade durante un’epidemia è sempre positivo se si vuole ridurre la mortalità (in futuro)” afferma il professor Nils Stenseth, dell’Università di Oslo. Perché la peste è ancora una malattia che fa paura, presente in alcune aree di Africa, America e Asia.

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La conclusione è molto chiara – continua il professor Stenseth – Sono stati i pidocchi umani. E’ improbabile che la peste si sarebbe diffusa così rapidamente se fosse stata trasmessa dai ratti. L’ipotesi più verosimile è la trasmissione umana, da persona a persona.

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