Protagonista di una storia d’amore dal sapore romanzesco, Livia Vernazza sarebbe stata forse solo una delle tante donne cadute nel giro della prostituzione se non avesse sposato in seconde nozze, nel 1619, il rampollo dei signori di Firenze, don Giovanni de’ Medici.

Giovanni, tuttavia, fu sia la salvezza sia la rovina di Livia che, una volta priva della sua protezione, venne rapita, separata dal figlio, spogliata dei suoi averi e imprigionata fino alla morte.
Una triste sorte che accomuna la Vernazza ad altre amanti o mogli morganatiche non accettate dalla dinastia de’ Medici, quali Eleonora degli Albizi, Camilla Martelli o Bianca Cappello, solo per citarne alcune, donne che pagarono, talvolta con la vita, le loro relazioni con i granduchi.

Le origini di Livia e Giovanni
Figlia di Bernardo Vernazza, Livia nasce a Genova il 26 gennaio 1590 e, a quindici anni, sposa il quarantenne Battista Granara, materassaio come suo padre. Un anno dopo, la sedicenne Livia scappa da Genova.
È una fuga d’amore o un tentativo di fuggire alle grinfie di un marito violento?
Sono contrastanti le notizie su quanto avviene successivamente alle nozze perché i Medici, avversi all’unione tra Livia e Giovanni, contribuiscono ad alimentare una storiografia tutta incentrata sulla pessima reputazione di lei. Non sappiamo quindi se la fuga di Livia da Genova, a soli 16 anni, sia stata il tentativo di sfuggire ad un marito violento o una fuga d’amore.

Quel che è certo è che Livia, forse dopo aver dato alla luce un figlio, lascia la casa del Granara e si rifugia prima a Lucca, poi a Firenze, nel 1607. Qui, probabilmente, si mantiene prostituendosi; viene iscritta nel Libro dell’Honestà, ovvero schedata come donna di malaffare fino al 1609, anno in cui ha inizio la relazione con Giovanni de’ Medici, all’epoca quarantaduenne.
Giovanni è il figlio naturale di Cosimo I e della sua amante Eleonora degli Albizi. Il giovane Medici cresce con i suoi fratellastri a corte (come era usanza della dinastia che allevava con pari trattamento i figli legittimi e non) e ne condivide l’istruzione e la frequentazione dei grandi rappresentanti della scena culturale del suo tempo. Sin da piccolo manifesta un ingegno eclettico che spazia dall’alchimia e all’astrologia, alle scienze naturali, alla filosofia.

Commissiona dipinti- attualmente custoditi nella Galleria degli Uffizi- si interessa all’architettura a livello dilettantistico, progetta fortificazioni a Livorno e in Ungheria; addirittura fornisce un disegno per la facciata del Duomo di Firenze. Il suo lavoro più famoso rimane il disegno ideato per la grandiosa Cappella de’ Principi in San Lorenzo a Firenze, modificato poi dal Buontalenti e realizzato dall’architetto Matteo Nigetti. È anche un valente diplomatico e condottiero militare, che combatte a fianco dell’impero asburgico contro i turchi ottomani.

L’annullamento del primo matrimonio e le seconde nozze
Ai tempi dell’incontro con Livia, almeno secondo quanto afferma nelle sue lettere, Giovanni, dopo anni piuttosto turbolenti, decide di dedicarsi a una vita più semplice e ricca di gioie domestiche. Al fine di disfarsi del legame matrimoniale precedente in vista delle nuove nozze, Livia intraprende una causa di annullamento del primo matrimonio presso il tribunale della curia genovese. Battista Granara ottenne il sostegno del granduca di Toscana. Cosimo II vuole infatti impedire con ogni mezzo la disonorevole unione dello zio Giovanni con una donna di bassa condizione e di cattiva fama ma, soprattutto, vuole scongiurare le pretese di natura patrimoniale che un eventuale erede avrebbe potuto avanzare sulla successione dinastica.
In attesa di un responso da Genova, Livia e Giovanni si trasferiscono a Venezia, città nella quale il Medici aveva trovato ingaggio come condottiero. Tutto inutile. Il 12 giugno del 1619, la curia di Genova dichiara nullo il matrimonio, perché contratto dietro forzatura della sposa.

Pochi giorni dopo si celebrano a Venezia le nozze tra don Giovanni de’ Medici e Livia Vernazza. Nello stesso anno la coppia ha un figlio, Gianfrancesco Maria, per il quale il padre nutre un tenero affetto fino alla morte, avvenuta nel 1621.
Con la morte di Giovanni inizia il calvario di Livia, incinta di una seconda figlia, morta soltanto venti giorni dopo la nascita.

La prigionia e la morte
All’epoca della scomparsa del consorte, Cristina di Lorena e Maria Maddalena d’Austria sono reggenti del Granducato di Toscana. Il primo atto delle due nobildonne è quello di attrarre con l’inganno la Vernazza a Firenze, agitando lo spettro di un processo per stregoneria a suo carico a Venezia. A Firenze, però, Livia viene subito rapita e separata dal figlio.

Le cattolicissime granduchesse combatteranno una battaglia senza esclusioni di colpi contro l’intrusa/prostituta trasformandosi, loro che non erano delle Medici di nascita, in paladine del casato fiorentino.

La prigionia di Livia dura fino al 1637, quando, alla morte di Cristina, le viene concesso il trasferimento nel convento delle monache di Foligno.

Livia spendee il poco che le è rimasto in parcelle ad avvocati sleali e mance ai suoi carcerieri. La sua triste sorte è aggravata dai pessimi rapporti con il figlio Gianfrancesco, cresciuto lontano da lei e influenzato dalla propaganda medicea, che la minaccia spesso di morte e cerca di farla incriminare per stregoneria.

La Vernazza riesce in qualche modo a non darla del tutto vinta alle rivali. Prima di essere imprigionata, temendo il tranello, fa trasferire i gioielli avuti in dono dal marito, tutti di gran valore, in un convento di Murano.
Le granduchesse tentano inutilmente di impossessarsene
L’ultimo atto di ribellione è contro il figlio. Livia lascia infatti i suoi ultimi denari ai padri della chiesa di S. Michele Visdomini di Firenze, che le avevano offerto conforto in vita e sepoltura nella loro chiesa quando morì, nel 1655. Era destino però che non trovassero pace neppure i resti della povera donna, che andarono purtroppo dispersi nel corso dell’alluvione di Firenze nel 1966.

L’odio dei Medici non si placa con la scomparsa della Vernazza. Dopo la morte di Giovanni viene intentato un procedimento legale volto a diseredare Gianfrancesco Maria, figlio della coppia. Questi sarebbe stato dichiarato illegittimo se i legali dei Medici fossero riusciti a far cancellare l’annullamento del primo matrimonio di Livia, rendendola così non solo adultera, ma anche bigama.
Immaginate come andò a finire?
Ebbene sì, alla fine di un processo-farsa il ragazzo viene privato di tutti i cospicui beni paterni, che vengono ridistribuiti fra i membri della dinastia, anche se egli è cresciuto come un Medici. Gli viene comunque garantito uno stipendio annuo.

La posterità di Livia Vernazza
La vicenda di Livia Vernazza e don Giovanni de’ Medici ricorda quella del granduca Francesco I di Toscana e della sua seconda moglie, la veneziana Bianca Cappello. I punti di contatto fra la storia di Livia e quella di Bianca sono molteplici: entrambe furono osteggiate dai Medici per ragioni economiche e dinastiche, entrambe furono accusate di stregoneria ed evitarono fortunosamente di essere processate, entrambe videro screditata la propria reputazione e dichiarati illegittimi i propri figli.

Livia Vernazza e Bianca Cappello sono due personaggi oggetto di rivalutazione storica nel corso degli ultimi anni, che affiancano una schiera di altre donne vissute tra il Cinquecento e il Seicento, vittime di una campagna diffamatoria che ha avuto motivazioni sia politiche, che di discriminazione di genere.

Su tutte spicca Lucrezia Borgia (1480-1519), la figlia di papa Alessandro VI, passata alla storia come sospetta avvelenatrice seriale, ma il pensiero corre anche a Giulia Farnese, o Isabella de’ Medici Orsini, solo per citare alcuni esempi. Tutte queste figure femminili del Rinascimento italiano sono state dipinte come ammaliatrici licenziose o streghe da un certo filone dell’Ottocento letterario, che, anche per ragioni economico-editoriali, ha prodotto storie a tinte forti, basate spesso su un’interpretazione forzatamente melodrammatica e cruenta.

La realtà, tuttavia, è al tempo stesso più prosaica e più affascinante di quanto appaia in storie e romanzi gotici. Queste donne pagarono con una vita di dolori e privazioni, se non addirittura con la morte, il coraggio di sposare l’uomo amato, ma riuscirono a realizzare, sia pure per un breve tempo, i propri sogni e le proprie ambizioni, assicurandosi un nome nella storia e conquistando un nuovo rispetto nell’immaginario collettivo moderno.