La visita alle Catacombe dei Cappuccini a Palermo è un’esperienza che non si può dimenticare, nemmeno ad anni di distanza, per l’impatto visivo, quasi tangibile, con la morte. File e file di mummie che sembrano osservare dall’alto, con ostentato distacco, chi si avventura nelle gallerie sotterranee del convento dei frati Cappuccini, attiguo alla Chiesa di Santa Maria della Pace.

E poi c’è lei, la “bella addormentata di Palermo”, la piccola Rosalia Lombardo (13 dicembre 1918, 6 dicembre 1920), una bimba destinata a “vivere in eterno” per volontà del padre, incapace di accettarne la morte.
Rosalia, conosciuta anche come la “mummia più bella del mondo”, muore quando ha appena due anni. E’ una delle innumerevoli vittime dell’influenza spagnola, che si evolve in polmonite e se la porta via nel giro di pochi giorni. Il padre, nonostante la pratica fosse ormai in disuso, vuole fortemente sottoporla all’imbalsamazione, eseguita da un grande esperto dell’epoca, il professor Alfredo Salafia.
Utilizzando miscele segrete la cui composizione è stata scoperta solo pochi anni fa, Salafia riesce a dare alla bimba un aspetto del tutto naturale, come se fosse immersa nel sonno.

Un sonno che dura ormai da cent’anni, proprio come quello della Bella Addormentata delle fiabe. Nel 2014 un piccolo mistero ha reso ancora più famosa la mummia di Rosalia: la bambina sembrava aprire e chiudere gli occhi, più volte al giorno. Il fenomeno è stato registrato dalle telecamere installate nella stanza dove riposa la bambina, e inizialmente nessuno riusciva a dare una spiegazione, così qualcuno ha parlato di miracolo o in alternativa di un fenomeno paranormale, mentre per altri si trattava di una sorta di trovata pubblicitaria.
Secondo Dario Piombino-Mascali, antropologo e conservatore scientifico delle Catacombe dei Cappuccini, pare che il misterioso, e per alcuni versi inquietante fenomeno, abbia però una semplice spiegazione: “Si tratta solo di un’illusione ottica – ha detto – prodotta dalla luce che filtra dalle finestre laterali, e che durante il giorno è soggetta a cambiamenti. Inoltre la mummia ha cambiato posizione: prima era inclinata grazie a un supporto ligneo, adesso, nella nuova vetrina, è invece in posizione orizzontale. Si osserva quindi, meglio che in passato, che le palpebre non sono totalmente chiuse, né lo sono mai state.”
Sempre al Dottor Mascali si deve la scoperta della formula usata da Salafia, quella che gli ha consentito di ottenere risultanti praticamente incomparabili nella pratica della mummificazione artificiale: “Una sola iniezione intravascolare di formalina, glicerina, sali di zinco, alcool, e acido salicilico, a cui Salafia spesso aggiungeva un trattamento di paraffina disciolta in etere per mantenere un aspetto vivo e rotondeggiante del corpo” (fonte).
A dimostrare la validità della formula di Salafia provvede una recente radiografia effettuata sulla salma di Rosalia Lombardo, che ha evidenziato come gli organi interni -cervello, fegato e polmoni – siano ancora ben conservati. Solo qualche accenno di decomposizione dei tessuti ha richiesto una diversa sistemazione della bambina: la piccola bara nella quale riposa da così tanto tempo è stata posta all’interno di una teca satura di azoto ed ermeticamente sigillata.

Quella della piccola Rosalia è l’ultima salma a essere sottoposta a imbalsamazione, ed è uno strappo alla regola, perché le Catacombe non potevano più accogliere defunti dal 1880, in osservanza a nuove regole sanitarie, anche se in realtà un altro personaggio di riguardo dell’epoca, Giovanni Paterniti, viceconsole degli Stati Uniti, nel 1911 aveva ricevuto lo stesso trattamento di riguardo.
Le catacombe dei Cappuccini, scavate alla fine del 1500, dovevano inizialmente essere semplicemente il cimitero dei frati del convento, in un’epoca nella quale ancora non era certo prevista la cremazione e quindi lo spazio dedicato alla sepoltura diventava via via insufficiente, come quella fossa comune scavata proprio sotto l’altare di Sant’Anna. Lì i confratelli defunti, avvolti in semplice lenzuolo, venivano calati dall’alto e condividevano l’eterno riposo senza più distinzioni: un modo per essere tutti uguali almeno di fronte alla morte che, come diceva il grande Totò, è “una livella”
Ccà dinto,’o vvuo capi, ca simmo eguale?…
…Muorto si’tu e muorto so’ pur’io;
ognuno comme a ‘na’ato é tale e quale”
Eppure, anche la morte talvolta fa delle preferenze, come notano i frati quando, nel 1599, traslano le salme nel nuovo cimitero ricavato sotto la chiesa, probabilmente dove già esistevano delle grotte. Eh sì, perché quarantacinque defunti si presentano come se la morte avesse voluto in qualche modo risparmiarli, prendendosi solo il loro soffio vitale ma preservando i corpi dalla putrefazione: sono praticamente intatti, grazie a un processo di mummificazione naturale.
Questo fatto straordinario non viene considerato miracoloso (il corpo incorrotto era interpretato dalla Chiesa Cattolica come un segno di santità), ma piuttosto come una chiara dimostrazione di benevolenza divina. Così quei quarantacinque corpi, messi in fila nel primo corridoio, costituiscono il primo nucleo delle circa duemila mummie conservate (ad oggi) nelle Catacombe dei Cappuccini.
Dopo quella casuale scoperta, i frati cappuccini si specializzano nella tecnica di imbalsamazione naturale, che prevedeva un lunghissimo processo di disidratazione, l’asportazione degli organi interni, sostituiti con paglia, e quindi una pulizia finale con l’aceto. A quel punto la salma, rivestita dei suoi abiti migliori, era pronta per essere collocata nelle apposite nicchie, lungo gli infiniti corridoi sotterranei. Non più solo monaci, ma anche fedeli meritori cominciano a trovare accoglienza nelle catacombe, fino a quando, nel 1783, il privilegio viene concesso a tutti quelli che possono sostenere l’oneroso costo dell’imbalsamazione.
“Un luogo sospeso tra la vita e la morte” (così lo definisce il sito dedicato) perché in quei corridoi certo non c’è più vita, ma anche la morte, intesa come fine di tutto, sembra restarne lontana; in quel luogo di eterno riposo si perpetuano le stesse distinzioni che dividono gli uomini e le donne in diverse categorie: c’è un corridoio per gli umili frati e uno per gli alti prelati che indossano ricche vesti (altro che il lenzuolo!), un corridoio per i professionisti come medici o avvocati, separati dagli uomini “comuni”, un altro solo per le donne, tra le quali si distinguono le “vergini”, fanciulle morte prima di potersi sposare, vestite del loro abito nuziale; più commovente è il corridoio delle famiglie, dove i congiunti possono affrontare insieme il loro percorso dopo la morte, o quello dei bambini.

Corridoio dei prelati. Immagine di Sibeaster via Wikimedia Commons – Pubblico dominio
Corridoio delle donne. Immagine di Sibeaster via Wikimedia Commons – Pubblico dominio
Eppure, a ben guardare, lì in quei corridoi la morte si mostra, nonostante tutto, per quello che è: tutti “stanno là, allineati rinsecchiti” (Thomas Mann, La montagna incantata), a dimostrazione che la sfida per l’immortalità è sempre e comunque una battaglia persa.

Forse è per questo, per affrontare la paura del nulla che ci attende, che le Catacombe di Palermo hanno da sempre attirato moltissime persone, tanto da essere diventate, all’epoca, una tappa del Gran Tour. Attraversano quei corridoi il citato Thomas Mann, che ne parla nel suo capolavoro “La Montagna Incantata”, e poi Alexandre Dumas, Guy de Maupassant, e addirittura Napoleone Bonaparte, che pare cercasse la salma del Conte di Cagliostro, nato sì a Palermo, ma morto a San Leo in Emilia Romagna.

D’altra parte, l’ansia di preservare il corpo dal disfacimento ha radici lontanissime, che rimandano inevitabilmente all’antico Egitto.
Gli egiziani usavano la mummificazione per garantire la vita ultraterrena del defunto, mentre l’importanza data in Sicilia a questa pratica (e più in generale nelle regioni del meridione) ha forse più a che fare con un culto dei morti molto “terreno”, grazie al quale rimane forte il legame tra i vivi e i parenti defunti, che si manifestano in maniera amorevole, nella notte tra l’1 e il 2 novembre: portano giocattoli e dolci ai bambini, ma li nascondono in punti nascosti della casa, così al risveglio i piccoli devono iniziare una sorta di caccia al tesoro.
La ricorrenza dei morti è dunque una festa, una manifestazione anche gioiosa dell’amore nutrito nei confronti dei defunti, che continuano, in qualche modo, a far parte della famiglia.
Anche se si vanno sempre più perdendo queste antiche tradizioni rimangono, almeno nella memoria di chi le ha vissute, come un viatico per affrontare il dolore di una perdita, oppure per continuare a generare ricordi nuovi legati anche alle persone che fanno parte del mondo dei più.
