Nel tardo pomeriggio del 26 agosto del 1978, i fedeli accorsi in piazza San Pietro alzarono lo sguardo verso il tetto della Cappella Sistina e videro una fumata grigio chiara che, man mano, diventava nera.

Il codice dei colori era chiaro. Il Conclave non era ancora giunto a una decisione, ma, dopo qualche minuto, il colore della fumata cambiò e divenne bianco. Il cardinale fochista si era sbagliato. Tutto era pronto per svelare al mondo l’identità del 263° Papa.

Alle 19:18, le vetrate della loggia centrale della Basilica di San Pietro si aprirono e monsignor Pericle Felici si affacciò sulla folla:
Habemus Papam

Quella sera ebbe inizio il pontificato di Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, ma, col senno di poi, chi assistette all’errore della fumata giudicò l’incidente un segno premonitore del suo breve mandato, durato appena 33 giorni.

L’ascesa al soglio di Pietro
Albino Luciani nacque a Canale d’Agordo il 17 ottobre del 1912, da Giovanni Luciani e Bortola Tancon. Entrò in seminario nell’ottobre del 1923 e prese i voti nel 1935. Il 27 febbraio del 1947 conseguì la laurea in sacra teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. In quegli anni era conosciuto per ottime doti da catechista.

Ma Luciani era di salute cagionevole, motivo per il quale fu più volte ignorato per la nomina a vescovo. La situazione cambiò dopo la morte di Pio XII e l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni XXIII.

Il 15 dicembre del 1958 divenne vescovo della prestigiosa diocesi di Vittorio Veneto a Venezia e 15 anni dopo, nel 1973, Paolo VI lo promosso a cardinale. Il Papa si spense il 6 agosto del 1978, Luciani partì da Venezia per partecipare alle votazioni del Conclave.

La notizia della morte
Albino Luciani venne eletto papa il 26 agosto e scelse il nome di Giovanni Paolo in onore dei due predecessori, ma la sua permanenza in Vaticano fu breve. Alle 11 di mattina del 28 settembre il quotidiano ufficiale della Santa Sede, l’Osservatore Romano, emise un comunicato stampa.

“Verso le 5.30 di mattina, il segretario privato del Papa, non avendo trovato il Santo Padre nella Cappella del suo appartamento privato lo ha cercato nella sua camera e lo ha trovato morto nel letto, con la luce accesa, come persona intenta alla lettura. Il medico, dottor Renato Buzzonetti, immediatamente accorso, ne ha constatato il decesso, avvenuto presumibilmente verso le 23 di ieri, per infarto miocardico acuto”.

La notizia fu un fulmine al ciel sereno. Il papa “di settembre” venne sepolto il 4 Ottobre nelle Grotte Vaticane, ma al tempo stesso iniziò il mistero legato alla sua morte.

Le incongruenze sul rinvenimento del corpo
Prima di analizzare le varie teorie sorte nel corso degli anni, è necessario specificare che le persone vicine a Luciani commisero una serie di errori e raccontarono delle versioni discordanti che fomentarono e ingigantirono i dubbi.
L’esempio è la storia di come fu rinvenuto il cadavere

I bollettini ufficiali scrissero che monsignor John Magee, uno dei suoi due segretari privati, si era recato nella stanza del Santo Padre e lo aveva trovato senza vita ma, pochi giorni dopo, una fonte anonima si mise in contatto con l’ANSA e contraddisse la versione del Vaticano.

A fine anni ’80, il biografo Camillo Bassotto raccolse e pubblicò la testimonianza di suor Vincenza Taffarel, colei che davvero aveva rinvenuto il corpo esanime del papa. Suor Vincenza raccontò:
“Ero solita ogni mattina, sulle cinque circa, depositare nell’anticamera della stanza da letto un caffè caldo e leggero che Luciani prendeva da sempre. […] Battevo due o tre colpi sulla porta per avvisare il Santo Padre che il caffè era pronto. Quel mattino passarono parecchi minuti, e il caffè era sempre là. Battei di nuovo, chiamai «Santo Padre», ma nessuna risposta e nessun rumore. Il cuore mi tremò. Entrai. La luce era accesa. Scostai la tenda che separava il letto. Mi apparve Giovanni Paolo I, papa Luciani, morto”.

Magee e altri collaboratori confermarono lo scoop dell’ANSA e spiegarono che il segretario di Stato Jean-Marie Villot era stato restio ad ammettere la presenza (perdipiù di prima mattina) di una donna negli alloggi privati del papa e aveva optato per una piccola bugia volta a scongiurare eventuali fraintendimenti.

L’autopsia negata
Un’altra leggerezza fu la scelta di non affidarsi all’autopsia. Nei giorni precedenti il 28 settembre Luciani non aveva manifestato alcun malessere, e la stampa chiese che venisse eseguita un’autopsia per verificare la diagnosi di infarto di Buzzonetti. Il diritto canonico non vieta l’esame del cadavere, ma i cardinali temevano che acconsentire alla richiesta avrebbe sortito l’effetto contrario e alimentato altre voci. Si giunse a un compromesso.

La decisione fu messa ai voti, con la maggioranza che si dimostrò contraria, ma, mentre nelle sale vaticane accadeva questo, i fratelli Signoracci erano a lavoro sul corpo di Luciani e, come da tradizione, lo stavano imbalsamando. La procedura fu svolta in tempi brevissimi, e rese vano un eventuale intervento del medico per l’autopsia, destando molti sospetti. Il Vaticano affermò che l’urgenza dell’imbalsamazione era dettata dal pericolo di decomposizione del cadavere.

L’ultimo giorno di Luciani e la tesi delle responsabilità indirette
Se è vero che fu un infarto a stroncare il papa, per qualcuno la responsabilità dell’evento è imputabile ai suoi collaboratori, che mancarono di soccorrerlo al sopraggiungere dei primi sintomi.

Secondo la ricostruzione ufficiale del suo ultimo giorno di vita, alle 18:30 del 27 settembre, Luciani ebbe un’udienza di circa un’ora con Villot, Magee e l’altro suo segretario privato, don Diego Lorenzi; poi cenò con quest’ultimi due e, prima di ritirarsi in camera, dalle 21 alle 21:30 ebbe dei colloqui telefonici con l’arcivescovo di Milano Giovanni Colombo e il suo medico personale, il dottor Antonio Da Ros.

All’epoca del decesso, Colombo, Villot e Da Ros dissero che nessuno di loro aveva riscontrato stranezze nella salute del papa ma, nel 1987, don Lorenzi dichiarò che dopo il colloquio delle 18:30, Luciani gli aveva confidato di avere dei dolori al petto. Stando alla sua versione, nonostante le raccomandazioni di Magee e dello stesso Lorenzi, il Santo Padre si rifiutò di chiamare un medico e a De Ros non parlò di alcun malore.

Dopo queste dichiarazioni, il cardinal Silvio Oddi, che svolse le pratiche per la morte del papa, attribuì la responsabilità proprio ai due segretari, colpevoli secondo lui di aver sottovalutato il problema e non aver insistito per sottoporlo a degli accertamenti.

Al contrario, il teologo Gianni Gennari sostenne che una fonte anonima gli aveva raccontato un altro retroscena. In realtà, Da Ros seppe dei malori e consigliò a Luciani di assumere un sedativo, ma questi sbagliò il dosaggio e si auto-procurò una vasodilatazione che indusse l’arresto cardiaco. Gennari concluse che nella stanza di Luciani erano presenti un bicchiere e un flacone del sedativo, che i segretari avevano provveduto a far sparire.

Complottismo: il libro di Yallop e l’intervista di Pedullà
Nel 1984, si unì al coro dei dissidenti anche lo scrittore David Yallop con il best-seller In nome di Dio, nel quale sostenne l’ipotesi di un omicidio di stampo politico. Nel 1973 l’allora cardinale Luciani aveva critica l’operato dell’arcivescovo Paul Marcinkus, presidente dello IOR, l’Istituto per le Opere di Religione, ovvero la banca vaticana, che, senza il consenso dei vescovi veneti, stava vendendo il 37% delle azioni della Banca Cattolica del Veneto al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. I contrasti fra i due ebbero un seguito dopo l’elezione di Luciani. Al papa non piacevano i rapporti di Marcinkus con Calvi e a tal proposito è emblematica una sua frase:
Un vescovo non deve dirigere una banca

Pare proprio che Luciani fosse intenzionato a rimuoverlo dall’incarico di direttore dello IOR e attuare una politica di maggior trasparenza delle attività finanziarie della Chiesa. E così, secondo Yallop, giungiamo al nocciolo della questione.

Villot, Marcinkus e Calvi, tutti legati alla loggia massonica P2, avvelenarono il papa con la digitalina e fecero sparire il bicchiere. Suor Taffarel e padre Magee dissero che Luciani indossava gli occhiali e aveva fra le mani dei fogli, come se fosse morto mentre stava leggendo. Per Yallop, in realtà, questi fogli erano degli appunti personali che Villot fece sparire, forse perché c’era un elenco di persone da rimuovere dai rispettivi incarichi, inclusi i congiurati.

Il rifiuto del Vaticano di svolgere l’autopsia alimentò questa teoria e, nel 2015, don Giuseppe Pedullà rilasciò una controversa intervista in cui confermava l’ipotesi del complotto, ma sotto un’altra ottica. Disse che, il 25 settembre del 1978, l’arcivescovo di Lanciano e Ortona, monsignor Pacifico Maria Luigi Perantoni, gli aveva chiesto di consegnare al papa una lettera in cui lo si avvisava che qualcuno voleva ucciderlo.

Pedullà rifiutò, Perantoni lo congedò con un lapidario «Te ne pentirai» e tre giorni dopo Luciani morì.
Chi fossero i cospiratori di cui parlava Perantoni è ancora un mistero

La profezia di Lúcia dos Santos
Un’altra corrente di pensiero molto popolare si rifà al Terzo segreto di Fátima, messo per iscritto nel 1944 e consegnato in busta chiusa con la raccomandazione di rivelarne il contenuto solo nel 1960. Il testo divenne di pubblico dominio a partire dal 2000 e fra le sue righe leggiamo:
“E vedemmo […] in una luce immensa che è Dio, un vescovo vestito di bianco, […] altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire su una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande Croce […]; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo, con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena […]. Giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce, venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce”.

Per qualcuno il terzo segreto sarebbe la profezia della morte prematura di Luciani, per altri dell’attentato del 1981 ai danni di Giovanni Paolo II, ma, se torniamo indietro nel tempo al 1977, Luciani incontrò Lúcia dos Santos, l’unica ancora in vita dei tre bambini che avevano assistito alle apparizioni della Madonna, e con lei ebbe un colloquio di circa due ore.

Il futuro papa rimase profondamente turbato dall’incontro, ma, a detta di monsignor Senigallia, che lo aveva accompagnato in Portogallo, il suo stato d’animo era dovuto alle parole di Lúcia, preoccupata per i problemi della Chiesa.

Non tutti concordano con questa versione dei fatti e c’è chi, come gli stessi fratelli di Luciani, sono convinti che Lúcia rivelò a Luciani il contenuto del Terzo segreto di Fátima, o che, in alternativa, ne predisse sia l’elezione a papa sia la morte prematura.

In definitiva, sulla scomparsa di Luciani si è detto molto. Si è parlato di profezie, complotti, oggetti scomparsi, cause naturali e responsabilità indirette. Ci sono state omissioni, versioni incongruenti, l’autopsia mancata e un funerale frettoloso, ma, al di là di tutto questo, a meno che non ci siano prove che attestino il contrario, Giovanni Paolo I morì di infarto nella notte del 28 settembre del 1978, dopo soli 33 giorni dalla sua elezione a guida del mondo Cattolico.
Nota dell’autore – Per quanto riguarda la questione dell’autopsia, nella costituzione in vigore ai tempi di Papa Luciani (capitolo V: Le esequie del Romano Pontefice) non c’è alcuna menzione riguardo a un divieto della pratica.