Nerone: l’Imperatore più controverso di Roma

18 luglio del 64 dopo Cristo. Mentre Roma brucia sotto il cielo stellato di una calda notte d’estate, dalla terrazza della sua villa sul colle Palatino, un uomo, con in mano la cetra, recita i versi della caduta di Troia. È lì che si gode un momento di pura estasi artistica, l’immagine suggestiva dell’Urbe in fiamme al chiaro di luna. Il suo nome è Lucio Domizio Enobarbo, il princeps Nerone, uno degli imperatori più controversi della storia.

Statua di Nerone ad Anzio – Immagine di Helen Cook condivisa con licenza CC BY-SA 2.0 via Wikipedia

I cronisti dell’antichità diranno che ha incendiato Roma per far spazio alla sua reggia dei sogni, che ha sterminato i cristiani per addossargli la colpa dell’evento e dar sfogo alla sua follia. Era un criminale, un despota, un tiranno assetato di sangue…

Ma è davvero così?

Nerone, Abraham Janssens, 1620 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

[Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Vanilla Magazine #2 (luglio 2023), la nostra rivista cartacea bimestrale. Non perderti altri numeri; acquistala subito sul nostro shop. Clicca qui]

E se vi dicessi che la pessima fama di Nerone è il frutto di fonti imparziali? Di storpiature dovute alla propaganda politica e alla necessità di distruggere il consenso di cui godeva fra i ceti bassi… Ci credereste?

Non è facile, perché ci hanno tramandato dei luoghi comuni che hanno resistito a secoli e secoli di riabilitazione storica. La realtà è un’altra. Un imperatore doveva scegliere se appoggiarsi al Senato o al popolo. Nerone scelse il popolo e si fece nemici potenti.

Questa è la sua vera storia

Jan Styka, Nerone a Baia, raffigurato nella sua villa con una tigre, a simboleggiare il suo interesse per le stravaganze e l’esotico. Alle spalle il Vesuvio – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Le trame di Agrippina

Lucio Domizio Enobarbo nasce ad Anzio il 15 dicembre del 37 d.C., da Gneo Domizio Enobarbo e Agrippina minore, sorella dell’imperatore Caligola e pronipote sia di Marco Antonio sia di Ottaviano Augusto.

Busto di Gneo Domizio Enobarbo, padre di Nerone – Immagine di Sailko condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia

Agrippina, che è una donna furba, astuta e manipolatrice, ha delle grandi ambizioni politiche e, nel 39 d.C., viene esiliata per aver congiurato contro il fratello. Il piccolo Lucio Domizio cresce lontano dall’Urbe e si avvicina alla cultura greca, appassionandosi agli sport, al canto e alla recitazione.

Busto dell’imperatore Caligola – Immagine di Carole Raddato condivisa con licenza CC BY-SA 2.0 via Wikipedia

Nel 40 d.C., Agrippina rimane vedova di Gneo Domizio e, con la morte di Caligola nel 41, torna a Roma per tessere nuove trame politiche. Nel 49 d.C., diventa imperatrice grazie al matrimonio con il nuovo princeps Claudio, lo zio del suo defunto marito, a cui fa adottare il piccolo Lucio Domizio, che assume il nome di Nero Claudius Drusus Germanicus.

Lawrence Alma-Tadema, La proclamazione di Claudio a imperatore – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Nel 53 d.C., Nerone è costretto a sposare la dodicenne Claudia Ottavia, secondogenita di Claudio e Messalina. L’anno successivo è il turno del tredicenne Britannico, il primogenito dell’imperatore. Agrippina fa leva sulla salute cagionevole del ragazzo, afflitto da continui attacchi epilettici, e convince il padre ad allontanarlo da Roma e preferirgli Nerone come erede.

Busto di Nerone da Giovane – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Con la morte di Claudio, probabilmente avvelenato dalla moglie, il 12 ottobre del 54, si compie l’atto finale degli intrighi di Agrippina.

A quasi diciassette anni, Nerone è il nuovo princeps dell’Urbe

Agrippina incorona d’alloro Nerone. Rilievo di Afrodisia, Turchia – Immagine di Carlos Delgado condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia

I primi anni da princeps

Il ragazzo è ancora troppo giovane per governare da solo e, a contendersi l’influenza su di lui, ci sono il filosofo Seneca, suo precettore dal 49 d.C., e l’ambiziosa e spregiudicata Agrippina. I primi anni al potere sono ricchi di incertezze. Sul piano familiare, Agrippina è un personaggio scomodo, troppo invadente, a detta di Seneca, che è costretto a limitare gli eccessivi atteggiamenti dispotici della donna.

Moneta con Nerone e Agrippina – Immagine di Classical Numismatic Group, Inc. condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia

Lo stesso Nerone entra in contrasto con la madre quando, nel 55 d.C., si innamora di una schiava di nome Atte e Agrippina interviene per separarli. L’imperatore la allontana dalla corte e favorisce l’ascesa di Seneca come suo consigliere, ma nemmeno il filosofo può contenere le idee dell’allievo, che, a differenza dei suoi predecessori, vorrebbe mettere da parte l’esaltazione dell’esercito e favorire l’adozione di uno stile di vita improntato sulla cultura.

Statua di Seneca a Cordova – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Istituisce i Neronia – giochi di musica, arte e ginnastica, sul modello delle olimpiadi elleniche, da tenere ogni cinque anni – si disinteressa alle campagne belliche e accentra tutto il potere legislativo nelle sue mani.

La vicinanza di Nerone al popolo è chiara fin dal principio. Si circonda di liberti e li nomina funzionari imperiali; poi, nel 58 d.C., cerca di agevolare le finanze dei ceti bassi attraverso una riforma tributaria che il Senato bocciata sul nascere. L’evento segna l’inizio di una serie di contrasti fra il princeps e la nobiltà romana, i cui rispettivi interessi sono per lo più inconciliabili, e lo stesso Seneca è costretto ad allontanarsi dall’allievo, perché troppo distante dalle sue idee filo aristocratiche.

Rappresentazione di una seduta del Senato: Cicerone denuncia Catilina, affresco del XIX secolo – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Intanto, Nerone si invaghisce della bella e colta Poppea Sabina, ma Agrippina si oppone agli intenti matrimoniali del figlio e medita di detronizzarlo per sostituirlo con un eventuale nuovo marito.

Statua di Poppea nel Museo Archeologico di Olimpia, Grecia – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

La faida familiare tocca l’apice nel marzo del 59 d.C., quando Nerone capisce che l’omicidio di Agrippina è inevitabile, oltre che necessario, se vuole liberarsi una volta e per tutte della sua scomoda influenza. Con la morte di Agrippina e il ritiro a vita privata di Seneca, nel 62 d.C., il princeps risolve la questione Claudia Ottavia e sposa l’amata Poppea Sabina. La sventurata figlia di Claudio viene prima ripudiata, poi esiliata e, infine, uccisa a Ventotene dai sicari imperiali.

Busto di Claudia Ottavia, figlia dell’imperatore Claudio e prima moglie di Nerone – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

L’incendio di Roma

Dopo il fallimento della riforma tributaria del 58, i rapporti con il patriziato romano tornano tesi nel 64 d.C., quando il princeps impone al Senato una svalutazione monetaria che conferisce maggior potere d’acquisto alle monete d’argento, le meno usate dai ricchi e le più diffuse fra il resto della popolazione.

Moneta Aurea di Nerone – Immagine di Classical Numismatic Group, Inc. condivisa con licenza CC BY-SA 2.5 via Wikipedia

A peggiorare ancora di più la situazione, nella notte fra il 18 e il 19 luglio dello stesso anno, in una torrida serata estiva, ha luogo quello che molti storici del tempo considerano il punto più alto della follia di Nerone: il grande incendio di Roma.

L’incendio di Roma, Hubert Robert, 1785 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Le fiamme divampano dal Circo Massimo in tarda serata, si propagano attorno al colle Palatino e, il 20 luglio, toccano il quartiere di Suburra, il più povero e popolato, dove le vittime raggiungono cifre spaventose. I vigiles, il corpo di pompieri fondato da Ottaviano Augusto nel 6 d.C., non possono nulla contro la rapida avanzata del fuoco, che, il giorno successivo, brucia tutto il Palatino, compresa la Domus Transitoria, il palazzo di Nerone.

Mappa della città di Roma, divisa da Augusto in 14 regiones, affidate a sette coorti di vigili, ciascuna posta in una caserma (pallini rossi) – Immagine di Coldeel condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia

Quando ha inizio la catastrofe, l’imperatore si trova ad Anzio e subito si precipita a Roma per coordinare i soccorsi. Fa distribuire razioni di cibo agli sfollati, apre centri di accoglienza per le vittime e ordina di distruggere tutti gli edifici nei pressi dell’Esquilino, per evitare che le fiamme continuino a espandersi in tutta la città. L’espediente funziona solo in parte, perché, anche se il 21 luglio sembra domato, all’alba del 22, l’incendio riprende con maggior vigore nell’area del Campo Marzio e dura fino al 27, per un totale di nove giorni di inferno e due terzi dell’Urbe distrutti.

Testa in marmo di Nerone presso la Gliptoteca di Monaco di Baviera – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Le conseguenze dell’incendio

L’evento ha tre grandi conseguenze. Per prevenire altri disastri, Nerone riscrive l’urbanistica di Roma e adotta una serie di norme antincendio – strade più larghe, niente muri in comune e case costruite senza materiali infiammabili – ma il popolo vuole anche un colpevole e i sospetti ricadono sulla disprezzatissima setta dei cristiani. L’imperatore accontenta i sudditi e ne manda a morte fra i cento e i trecento, appesi a un palo e trasformati in torce umane, come vuole la lex contro i piromani.

Le fiaccole di Nerone, Henryk Siemiradzki, Museo Nazionale di Cracovia. Rappresenta la persecuzione contro i cristiani, arsi vivi come “fiaccole” – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

L’ultima conseguenza dell’incendio è la creazione della Domus Aurea. Mentre ricostruisce Roma, Nerone decide di sfruttare i terreni nuovamente edificabili per la realizzazione di un’imponente reggia compresa fra il Palatino, l’Esquilino e il Celio.

Pianta generale della Domus Aurea, posta tra il Palatino (a sud-ovest) e gli Horti Maecenatis (nord-est) – Immagine di Cristiano 64 condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia

La Domus Aurea – i cui resti si trovano sotto le terme di Traiano – è il sogno a occhi aperti di Nerone, il concretizzarsi della sua visione di un mondo ispirato all’arte.

Dipinto murale della Domus Aurea – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Giardini, laghi, piscine e sale sfarzose; affreschi e stucchi per un totale di circa 130.000 m² di pareti decorate… Nella villa c’è tutto, inclusa una gigantesca statua di Nerone – in origine collocata dove oggi c’è il Colosseo – e la cenatio rotunda, una sala da pranzo posta, nel punto più alto del Palatino, su un meccanismo che le permette di ruotare a 360° e mostrare la vista panoramica di Roma attraverso un’apertura laterale.

Moneta con effigie di Nerone. Sul lato opposto è visibile l’immagine più antica a noi conosciuta del Colossus Neronis – Immagine di 22mil condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia

Gli ultimi anni

La Domus Aurea è, secondo alcuni, l’ennesimo capriccio dell’imperatore e il malcontento degli aristocratici, sempre più esclusi dalla vita di corte, esplode nel 65 d.C., quando ha luogo la congiura di Pisone. Il piano è semplice – bisogna uccidere Nerone e proclamare princeps il senatore Gaio Calpurnio Pisone – ma qualcosa va storto e i congiurati vengono scoperti.

La repressione è durissima. Muoiono, o ricevono l’ordine di suicidarsi, tantissimi esponenti della nobiltà romana, inclusi Seneca, Lucano e Petronio Arbiter, il presunto autore del Satyricon.

Jacques-Louis David, La morte di Seneca, 1773 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Nello stesso anno, Nerone subisce forse il più grande lutto della sua vita: l’amata moglie Poppea muore per le conseguenze di una gravidanza difficile. Si risposa con Statilia Messalina, ma le terze nozze non bastano a colmare il vuoto della defunta imperatrice e dà l’ordine di cercare qualcuno che gliela ricordi. La vicenda, però, scade nel grottesco, perché l’unico ad assomigliare a Poppea, almeno secondo Nerone, è un liberto di nome Sporo, che viene castrato e trasformato in donna.

Busto di Statilia Messalina, terza moglie di Nerone – Immagine di Jamie Heath condivisa con licenza CC BY-SA 2.0 via Flickr

Nel 67 d.C., approfitta di un viaggio in Grecia per realizzare il suo sogno di partecipare ai giochi olimpici. Forse per volere degli altri concorrenti, trionfa sia come atleta, nelle gare delle quadriglie, sia come artista, nelle rassegne teatrali.

Busto di Nerone al Museo Capitolino, Roma, restaurato nel XVII secolo – Immagine di cjh1452000 condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia

Il soggiorno ellenico è così di suo gradimento che, prima di tornare a Roma, premia la calorosa accoglienza dei greci liberandoli dalla giurisdizione e dalla pressione fiscale dell’Urbe; un provvedimento che accentua i malumori della classe senatoria, a cui fa seguito una nuova ondata repressiva.

È il punto di non ritorno

Agli inizi del 68 d.C., il propretore della Gallia Lugdunense, Gaio Giulio Vindice, si ribella all’autorità imperiale e scatena un effetto domino che porta il governatore delle province ispaniche, Servio Sulpicio Galba, a marciare su Roma.

Busto dell’imperatore Galba – Immagine di Wolfgang Sauber condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia

Il Senato ne approfitta e dichiara Nerone nemico pubblico, costringendolo a scappare e trovare rifugio nella villa in periferia del liberto Faone. Lì, nella solitudine della campagna, con in sottofondo il rumore dei pretoriani in procinto di raggiungerlo, l’ormai ex imperatore si uccide, o si fa uccidere, con una pugnalata alla gola.

Vasiliy Smirnov, La morte di Nerone – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Le sue ultime parole sono: «Qualis artifex pereo», quale artista muore con me; anche se, secondo alcuni storici moderni, la frase andrebbe intesa come «Sono condannato a morire come un artigiano», in riferimento all’umile villa di Faone, ben lontana dagli sfarzi a cui è abituato.

Qui finisce la storia e inizia la leggenda

Busto marmoreo di Nerone – Immagine di Sailko condivisa con licenza CC BY 3.0 via Wikipedia

Le bugie su Nerone

Al principio del suo regno, Nerone scelse di opporsi al Senato e regnare favorendo la plebe; una decisione che gli costò l’avversione della nobiltà e l’inimicizia di autori filo-aristocratici come Tacito, Svetonio e Cassio Dione, che iniziarono a descriverlo come un folle omicida. La manipolazione storica della sua biografia nasce appunto come strumento di propaganda politica per combattere la popolarità postuma di Nerone. L’ultimo dei giulio-claudi, infatti,  era così amato dai romani che, addirittura, si era sparsa la voce di una sua possibile fuga. In molti credevano nel suo ritorno e, fra il 68 e l’88 d.C., ben tre falsi Nerone si spacciarono per lui e fomentarono rivolte nelle province orientali.

Peter Ustinov nel ruolo di Nerone in Quo vadis, film di Mervyn LeRoy del 1951 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Quanto alla sua pessima reputazione, parliamo di un princeps che aveva i tipici atteggiamenti dispotici da sovrano, ma non tutti gli omicidi che gli si attribuiscono furono opera sua. Ad esempio, Tacito racconta che, nel 55 d.C., tolse di mezzo il quattordicenne Britannico per timore che la madre lo usasse contro di lui; quando, invece, il ragazzo morì avvelenato della stessa Agrippina o a causa degli attacchi epilettici di cui soffriva.

Nerone in un’illustrazione del Novecento – Immagine di Archivio Storico Ricordi condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikipedia

Abbiamo la certezza storica solo su Claudia Ottavia e Agrippina. Il primo fu un delitto che potremmo definire passionale, per convolare a nozze con l’amata Poppea Sabina; il secondo avvenne per necessità politica, per slegarsi dall’ingombrante influenza della madre. In quest’ultimo caso, Nerone ebbe delle ripercussioni psicologiche e per anni fu tormentato da incubi e rimorsi.

John William Waterhouse, Il rimorso dell’imperatore Nerone dopo l’assassinio di sua madre – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Su Poppea Sabina, la storiografia classica è ben lontana dalla verità. Grazie ad alcuni documenti – incluso un papiro ritrovato in Egitto a fine ‘800 – sappiamo che l’imperatrice morì a causa di una gravidanza difficile. Nerone che ne provoca la morte con un calcio nel ventre è un racconto privo di fondamento, anzi, i cronisti dell’epoca si limitarono a riutilizzare una vecchia diceria, secondo cui i tiranni ammazzavano a sangue freddo le donne incinte.

Poppea Sabina, seconda moglie di Nerone – Immagine di TcfkaPanairjdde condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia

Sul grande incendio del 64, il discorso è un po’ più complesso. Roma era una città sovrappopolata e i poveri vivevano ammassati fra loro in delle casette in legno. L’ipotesi più attendibile è che le fiamme divamparono a causa di un banale incidente domestico – come, ad esempio, una lampada a olio rovesciata – e si propagarono grazie ai muri in comune e ai vicoli stretti. Il vento afoso di quelle notti di luglio fece il resto. Nerone che fa bruciare Roma – non una, ma ben due volte, perché gli si dà la colpa anche della ripresa dell’incendio al sesto giorno – è un falso storico che non tiene conto del fatto che l’imperatore si trovava ad Anzio.

Statua di Nerone fanciullo, Museo del Louvre, Parigi – Immagine di Siren-Com condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia

Leggenda vuole che l’Urbe in fiamme gli servisse come cornice scenica per cantare e suonare la caduta di Troia; peccato che, volendo credere a questa storia, Nerone sarebbe morto nell’incendio, perché le fiamme colpirono anche la sua dimora sul Palatino. La verità è che tornò a Roma, prestò soccorso agli sfollati e si diede da fare per ricostruire la città.

Rappresentazione del grande incendio di Roma. Sullo sfondo Nerone e le rovine della città in fiamme. Dipinto di Karl Theodor von Piloty, 1861 circa – Immagine di Carl Theodor von Piloty condivisa con licenza CC BY-SA 3.0 via Wikipedia

A quel punto, però, gli viene attribuita la prima grande persecuzione dei seguaci di Cristo. Che Nerone li fece condannare è un dato di fatto, ma si trattò di una decisione a fuor di popolo.

Una martire cristiana, olio su tela del pittore Henryk Siemiradzki, 1897, Varsavia, National Museum – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Furono i romani a scegliere i cristiani come capro espiatorio. Lui si limitò ad accontentare i sudditi ed emettere condanne sulla base di un crimine, non della fede religiosa; infatti, non esistono prove di ulteriori persecuzioni sotto il suo regno.

Martiri cristiani prima di morire in pasto alle belve nel Circo Massimo. Dipinto di Jean-Léon Gérôme – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

L’accanimento di Tacito, Svetonio e Cassio Dione prosegue con la creazione della Domus Aurea, che, visto l’ambizioso progetto, diventa l’altro movente del grande incendio di Roma.

A Nerone serviva far piazza pulita attorno al Palatino per creare la dimora dei suoi sogni, dicono gli storici

Domus Aurea: la Sala della Sfinge, scoperta nel 2019 – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

Il problema con la Domus Aurea è che la descrivono come il capriccio assolutistico del princeps, quando, invece, pare fosse aperta al pubblico e ospitasse anche qualche ufficio burocratico. Ovviamente, era anche l’espressione della vena artistica di Nerone, da sempre amante della cultura e poco interessato alla politica.

Sala ottagonale della Domus Aurea – Immagine di Tyler Bell condivisa con licenza CC BY 2.0 via Wikipedia

Poi c’è il falso mito della damnatio memoria – un procedimento giudiziario che, in realtà, il Senato non ha mai approvato – e l’accusa di pazzia, che, all’epoca, colpiva chi, a detta dell’aristocrazia, non si prodigava per il bene pubblico. Solo un folle poteva svalutare l’argento e intaccare gli interessi dei ricchi, o recarsi in Grecia e abbassarsi all’infimo livello degli attori, una delle classi sociali più malfamate di Roma.

Mettiamo insieme tutti questi elementi ed ecco che nasce la leggenda nera di Nerone

Testa di Nerone al Museo del Palatino a Roma – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

I cronisti del passato hanno manipolato così bene la sua biografia, che, nonostante la riabilitazione storica sia iniziata nel Rinascimento – complice anche il cinema – certi luoghi comuni sono sopravvissuti fino ai giorni nostri.

Locandina del film del 1913 Quo vadis?, dove si vede Nerone intento a decantare l’incendio di Roma – Immagine di pubblico dominio via Wikipedia

La verità è che Nerone non era né immacolato né il mostro che Tacito, Svetonio e Cassio Dione ci hanno tramandato. Aveva i suoi vizi e le sue virtù, amava l’arte e voleva fare di Roma un polo della cultura ellenica. Per il resto, non fece nulla di diverso dagli altri princeps.

Fonti:


Pubblicato

in

da