Oltre all’applicazione di rimedi di bellezza dalla dubbia utilità (e probabilmente dallo sgradevole odore), ed al ripararsi dai raggi solari, le dame del Rinascimento erano solite applicare il fondotinta tipico dell’epoca: la biacca. La biacca non era altro che un pigmento bianco costituito da carbonato basico di piombo e caratterizzato da alto potere coprente, usato soprattutto in ambito pittorico.
Dipinto della regina Elisabetta I, autore ignoto, Abbazia di Woburn (Bedfordshire), ca. 1588:
Altrimenti detta cerussite, la biacca era ampiamente utilizzata nell’antichità come fondotinta sia dagli antichi Greci che Egizi. Durante il Rinascimento, era tornata di gran moda in base ai dogmatici standard di bellezza dell’epoca ed anche grazie al forte fermento artistico del tempo. La biacca usata come cosmetico era di maggiore qualità ed era distinta da quella ad uso pittorico con il nome di Ceruso Veneziano o Spirito di Saturno. Nonostante fosse pressoché identica a quella usata in pittura, era comunque considerata molto più pregiata e per questo costosa (sarà stato marketing?).
Apparentemente la ricetta per formulare questo fondotinta consisteva nel miscelare la cerussite con acqua e aceto. In realtà, già durante l’epoca romana antica, la biacca si preparava sospendendo lamine di piombo su vapori di aceto in un recipiente che veniva ricoperto di letame, vinacce o cortecce di quercia. Il tutto veniva lasciato a fermentare per diversi mesi fino a quando le lamine non risultavano ricoperte da una patina bianca. Questa veniva poi grattata via, lavata e seccata. Se la reazione di formazione della biacca era incompleta, si otteneva un colore grigiastro a causa del metallo presente. In questo caso, invece di essere catalogata come Ceruso veniva venduta ai pittori.
Il problema della biacca, comunque, risiedeva nella sua scarsa stabilità nel tempo. Invecchiando, infatti, tendeva a scurire per formazione di solfuro o biossido di piombo (azione di inquinanti o ossidazione). L’uso della biacca come fondotinta causò più di qualche caso di avvelenamento da piombo, danneggiando la pelle e provocando la caduta dei capelli. Nonostante questo, il suo impiego era tanto diffuso nell’Europa rinascimentale che medici e letterati ne consigliavano l’uso quotidiano. Alcuni di essi, invece, di mente più illuminata, avevano compreso la gravità dei suoi effetti.
Per esempio, Leonardo Fioravanti nel “De Capricci medicinalii” consigliava di rendere perfetta la pelle optando per una polvere “magica”, da comporre triturando ceci, gomma di ciregi, fichi secchi, agarico, issopo e chiarterra. A peggiorare gli effetti della biacca, nel Rinascimento, si aggiungevano le pessime condizioni igieniche in cui versava la popolazione, anche quella più abbiente. Nè uomini né donne si lavavano per evitare di essere “contaminati” attraverso l’acqua e dunque da malattie come peste o colera. Le dame, dunque, quindi si truccavano pesantemente, per nascondere la sporcizia, usando però prodotti che le avvelenavano lentamente.
De’ capricci medicinali, 1670:
Ciò significa che il trucco non si toglieva alla sera, ma si lasciava sul viso anche per una settimana, apportando di tanto in tanto qualche aggiunta di fondotinta.
Dopo svariati giorni di letterale “impiastricciamento” della pelle, lo strato di biacca era così spesso e compatto che si doveva ricorrere al mercurio per eliminarlo
Eliminare il piombo con il mercurio, ovviamente, non era una scelta molto sensata per la salute della pelle e neanche per quella della sua utilizzatrice. Ma la storia c’insegna che spesso le mode sono pericolose, e che “Se bella vuoi apparire un po’ devi soffrire“. Una delle figure storiche femminili a cui viene attribuito un larghissimo abuso della biacca fu la regina Elisabetta I Tudor, regina d’Inghilterra dalla metà del ‘500 agli inizi del ‘600.
Elisabetta Tudor, dipinto di William Segar:
Fu l’ultima Tudor, figlia legittimata di Enrico VIII ed Anna Bolena, una sovrana dal carattere forte e virile, da sempre ricordata come “La Regina Vergine”. L’aspetto di Elisabetta I era un chiaro simbolo della moda del tempo, nonostante la regina utilizzasse spessi strati di make-up soprattutto per mascherare totalmente le cicatrici che il vaiolo le aveva lasciato sul volto in giovane età. Si parla spesso della “Maschera della Giovinezza” di Elisabetta I. Per maschera s’intende lo strato di piombo bianco che la regina riapplicava giorno dopo giorno senza mai eliminarne le tracce. Pare che, negli ultimi anni della sua vita, questo cerone fosse spesso fino a due centimetri. Il piombo deteriora in modo irreversibile la pelle, oltre a causare la perdita di capelli.
A questo proposito, il viso della regina venne negli anni orribilmente corroso da una quantità inimmaginabile di trucco tossico. In risposta al problema, Elisabetta finì per applicare quantità sempre maggiori di polvere, per coprire sia le cicatrici del vaiolo sia quelle causate dal piombo stesso. Per completare il trucco ed aumentare il contrasto della pelle bianca, la regina aggiungeva allume sulle guance per renderle rosee e, in seguito, utilizzava il “Fattibello”.
Questo era il classico rossetto dell’epoca, formulato a base di solfuro di mercurio cristallino oppure una miscela di cocciniglia, allume e gomma arabica. Un altro punto importante nel trucco erano i particolari nei che le donne si disegnavano sul viso. Come tutte le dame rinascimentali, anche Elisabetta I esaltava le vene blu sulla fronte, resa alta dalla depilazione (e dalla perdita di capelli causata dal piombo), usando una matita di lapislazzuli. Apparentemente l’immagine della regina era così repellente che i pittori di corte furono invitati a realizzarne dipinti migliorativi, che rendessero giustizia alla virtù della loro sovrana. Probabilmente, a causa della sua Maschera della Giovinezza e dell’abuso della biacca, Elisabetta I morì in preda al delirio.
L’avvelenamento da piombo, infatti, provoca sintomi molto simili a quelli descritti dagli storici riguardo le mattane della regina. Sembrerebbe, però, che l’immagine della regina sia giunta ai posteri descritta in modo un po’ troppo grottesco. Secondo Helen Hackett e Karen Hearn, ricercatrici dell’University College London, saremmo stati tutti ingannati dal questa immagine di una Elisabetta I con il trucco bianco sfatto, i denti neri e la sporca parrucca arancione. Secondo le studiose esisterebbe un colpevole riguardo la diffamazione dell’immagine sovrana:
Sir Walter Raleigh, poeta e cortigiano favorito della regina
Egli fu punito da Elisabetta e rinchiuso nella Torre di Londra dopo aver messo incinta una delle damigelle personali della regina rovinandone la reputazione. Apparentemente, rinchiuso nella sua cella, Raleigh redasse molti testi poco lusinghieri circa l’aspetto della regina, diffondendoli per via traverse ed alimentando voci negative giunte sino a noi.
Tuttavia, un fondo di verità c’è sempre, anche nella leggenda. Le ricercatrici inglesi, infatti, analizzando diversi dipinti di Elisabetta, hanno comunque confermato l’ipotesi della calvizie e dei denti cariati. La prima dovuta all’avvelenamento da piombo, i secondi dovuti ad un abuso dello zucchero. Appena sbarcato in Inghilterra, infatti, lo zucchero divenne la nuova “droga dei ricchi” che, letteralmente, ne abusavano rovinando la propria dentatura.