La maledizione di Pompei: i guai di chi ruba reperti archeologici e altre superstizioni

Si chiama Nicole, ha 36 anni ed è canadese: una giovane donna come tante, che ha avuto purtroppo la sfortuna di ammalarsi di cancro al seno, per due volte. E’ stata sottoposta a una doppia mastectomia, mentre nel frattempo la sua famiglia ha avuto anche qualche problema, non meglio specificato, di ordine economico.

La dolorosa storia di Nicole non ha nulla di diverso da quelle, altrettanto drammatiche, delle migliaia di donne che devono lottare contro un tumore al seno, eppure questa signora, della quale si conosce solo nome e nazionalità, è diventata famosa, in particolare in Italia, per le motivazioni addotte riguardo ai suoi guai, dovuti, a suo giudizio, alla “maledizione” di Pompei.

Via dell’Abbondanza a Pompei

Immagine di Mentnafunangann via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0

La notizia, di questi giorni, sembra di poco conto: un piccolo pacco viene recapitato ad un’agenzia di viaggi di Pompei. All’interno ci sono alcuni minuscoli reperti trafugati nel 2005 proprio nel sito archeologico di Pompei, accompagnati da una lettera dove le scuse si uniscono all’esternazione di un pentimento per il gesto compiuto, arrivato forse solo per le disgrazie che, dal momento del furto in poi, hanno cambiato la vita del mittente, Nicole.

Altare dei Lari – Casa dei Vettii a Pompei

Immagine di Patricio Lorente via Wikimedia Commons – licenza CC BY-SA 2.5

Una giovane Nicole, all’epoca ventenne, visita l’antica città romana sepolta dall’eruzione del Vesuvio, ben decisa a portare via con sé non solo ricordi e souvenir, ma anche un po’ di storia, qualcosa che “nessuno avrebbe potuto avere”: due tessere di mosaico, qualche pezzetto di un’anfora e un coccio di ceramica.

Nell’arco dei successivi quindici anni Nicole deve vedersela con due tumori e qualche altro guaio. La sfortuna la perseguita e decide quindi di restituire il maltolto, convinta che quei reperti “legati a quella terra di distruzione” avessero “tanta energia negativa”.

Racconta di sé, e lo fa in modo accorato: “Ora ho 36 anni e ho avuto il cancro al seno due volte, l’ultima volta finito in una doppia mastectomia. Io e la mia famiglia abbiamo avuto anche dei problemi finanziari. Siamo brave persone e non voglio che questa maledizione si trasmetta alla mia famiglia o ai miei figli. Per questo perdonatemi per il gesto fatto anni fa, ho imparato la lezione e chiedo perdono agli Dei. Voglio solo scrollarmi di dosso la maledizione ricaduta su di me e la mia famiglia”.

Calchi dei corpi di un gruppo di vittime dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. – Orto dei fuggiaschi, Pompei

Immagine di pubblico dominio via Wikimedia Commons

Nello stesso pacco c’è un’altra lettera, sempre di due canadesi, sempre in visita agli scavi nel 2005, alle prese con lo stesso problema. Anche loro avevano trafugato qualche “ricordo” da Pompei “senza pensare al dolore e alla sofferenza che queste povere anime hanno provato durante l’eruzione del Vesuvio e la morte terribile che hanno avuto. Siamo dispiaciuti e per piacere perdonateci per aver fatto questa scelta terribile! Possano le loro anime riposare in pace”.

Se qualcuno si stupisce della vicenda dei reperti restituiti forse non conosce la storia della “maledizione” di Pompei: nel corso degli anni sono tornati indietro centinaia di piccoli oggetti (statuette, pezzi d’anfora, cocci di ceramiche), trafugati dai turisti. Molti di questi ladri pentiti raccontano di aver avuto guai e disgrazie dopo aver preso quei “ricordi” di viaggio.

Le rovine del Tempio di Giove a Pompei, con il Vesuvio sullo sfondo

Immagine di Alto Contrasto via Wikimedia Commons – licenza CC BY 2.0 DE

Se, in un certo senso, la restituzione dei reperti trafugati può essere considerata una “benedizione” per il patrimonio storico-culturale italiano, viene comunque da chiedersi come sia nata la leggenda della maledizione di Pompei, alla quale evidentemente sono in molti a credere, almeno tra chi ha osato portare via qualche “ricordo”.

Una delle spiegazioni potrebbe essere “l’ira degli dei”: già gli antichi romani presero in considerazione l’idea che l’eruzione del Vesuvio fosse una manifestazione della collera divina, una punizione per gli abitanti di Pompei, “degenerati” e troppo amanti del lusso.

Affresco pompeiano a tema erotico

Immagine di pubblico dominio

Il poeta romano Marziale scrive dell’amenità del paesaggio intorno al Vesuvio, prima dell’eruzione, e conclude:

“Or tutto giace sommerso / in fiamme ed in tristo lapillo: ora non vorrebbero gli dèi / che fosse stato loro consentito d’esercitare qui tanto potere.”

Pompei è quindi una città maledetta dagli dei: una leggenda che si trasforma in superstizione. Perché l’idea che un oggetto – certo trafugato e quindi acquisito a seguito di un’azione riprovevole – possa rovinare la vita di chi lo ruba, non può che essere frutto di superstizione.

Il tempio di Apollo a Pompei

Immagine di pubblico dominio

Al di là di queste considerazioni, tutto sommato abbastanza scontate, suscita stupore un’interpretazione dell’eruzione del Vesuvio e della conseguente distruzione di Pompei, Ercolano e altri paesi, comparsa in un articolo del 2010, pubblicato da Biblical Archeology Review: “The Destruction of Pompeii—God’s Revenge?” (La distruzione di Pompei: la vendetta di Dio?).

L’idea medioevale della punizione divina si riaffaccia nel nuovo millennio, portando l’analisi storica indietro di secoli: la catastrofica fine di Pompei, nel 79 d.C, può collegarsi con la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme per mano dei Romani, avvenuta nel 70 d.C.?

L’autore dell’articolo, Hershel Shanks, si chiede se Dio abbia distrutto Pompei per vendetta, nove anni dopo che la sua Casa a Gerusalemme era stata devastata dai legionari di Tito. Poi rettifica un po’ il tiro, e si domanda se gli ebrei dell’epoca la pensassero in quel modo. La risposta è sì.

Lo storico romano Dione Cassio racconta, tra le altre cose, della distruzione dei templi di Serapide, Iside, Nettuno, Giove Capitolino, ma questa devastazione di luoghi di culto pagani viene interpretata così da Shanks (da lui e non dagli ebrei del I secolo):

“E’ quasi come se un Dio supremo fosse all’opera”.

Se un autore come Shanks – giurista plurilaureato e definito dal New York Times “l’archeologo biblico dilettante più influente del mondo” – può imputare una catastrofe naturale alla collera divina, non ci si può stupire se più di qualcuno dà la colpa delle sue disgrazie alla “maledizione” di Pompei.


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