La lotta all’Ancylostoma: il Parassita-Killer degli Operai nei trafori Alpini italiani

Il mondo moderno sembra aver dimenticato il peso delle parassitosi nella mortalità della gente comune vissuta fino a pochi decenni fa. Spaventati come siamo dalle nostre tipiche malattie da sedentarietà e ipernutrizione (cardiopatie e tumori), ignoriamo che i nostri antenati venivano sterminati da microrganismi e piccoli vermi, che entravano all’interno del loro corpo in condizioni di scarsa igiene, solitamente tipiche di contesti sociali degradati o di sfruttamento lavorativo indiscriminato.

Una delle infestazioni più comuni era rappresentata dai vermi come le Tenie (noti anche come vermi solitari), le Filarie e gli Ancylostomi. Quest’ultimo è un verme che allo stato larvale è praticamente invisibile, e vive nel terreno. Da qui può passare all’uomo attraverso ogni tipo di contatto diretto. Nell’uomo, si moltiplica e invade soprattutto le vie digerenti e respiratorie, succhiando il sangue dai tessuti e provocando gravi emorragie e infezioni, fino alla morte del malato.

Sotto, l’Ancylostoma:

La storia dell’Ancylostoma, in Italia, è strettamente legata a quella dei trafori ferroviari alpini realizzati, soprattutto al confine con la Svizzera, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Anche se l’infestazione è stata sempre diffusa nelle campagne e nelle miniere, la sua incidenza sulla popolazione non aveva mai raggiunto i livelli che furono toccati tra gli operai addetti allo scavo dei trafori, così alti da indurre la sospensione dei lavori di scavo del San Gottardo, nel 1879-80.

Sotto, il traforo del San Gottardo. Fotografia di Kecko condivisa con licenza Creative Commons via Flickr:

A quel punto, la direzione della clinica medica generale di Torino inviò nella zona un medico-veterinario, Edoardo Perroncito, che aveva già alle spalle l’eradicazione della Cercaria (un altro parassita, dei bovini) dalle campagne del Canavese. Perroncito identificò nelle autopsie degli operai morti (scavatori e addetti ai forni) la presenza di almeno tre diversi parassiti, tra i quali il più frequente e diffuso, nonché quello dai più nefasti effetti, era proprio l’Ancylostoma.

Edoardo Perroncito:

Dopo una serie di sopralluoghi nei cantieri, giunse alla conclusione che gli operai si infettavano soprattutto per colpa delle pessime condizioni igieniche in cui lavoravano. Non disponevano di bagni e facevano i loro bisogni nell’area di lavoro. Respiravano poi il fango misto agli escrementi che sollevavano durante i lavori di scavo. Usavano scarpe vecchie e rotte con le quali sguazzavano nel fango pieno di larve, che entravano nel loro corpo attraverso la pelle dei piedi. All’interno degli scavi, la temperatura e l’umidità erano così alte da creare una sorta di clima sub-tropicale.

La sua relazione obbligò le imprese appaltatrici del lavoro a provvedere in modo adeguato all’igiene dei cantieri, e il numero delle infestazioni diminuì rapidamente

Perroncito si ingegnò a trovare quanto prima un rimedio per curare gli operai già infettati, e scoprì che l’estratto di felce maschio, una pianta perenne comune nei boschi, che spesso cresce alla base delle querce, riusciva ad uccidere rapidamente i vermi.

Tuttavia, non tutto il mondo medico prese sul serio le sue conclusioni. Molti ritenevano ancora che i vermi avessero un ruolo marginale nella mortalità degli operai, dovuta soprattutto a denutrizione e super-sfruttamento. A questo scetticismo non era estranea una certa scarsa considerazione di Perroncito come studioso, dato che a volte le sue conclusioni erano apparse parecchio fantasiose.

Sotto, operai in posa durante lo scavo del traforo del Sempione:

Anche se i fattori socio-economici non andavano sottovalutati, l’influenza delle infestazioni elmintiche non poteva essere negata. In soccorso di Perroncito arrivò un brillante medico pavese, direttore dell’ospedale di Varese, Ernesto Parona, che aveva già compiuto importanti lavori di parassitologia anche in collaborazione con Giovan Battista Grassi, lo scienziato che identificò per primo il rapporto tra la zanzara anofele e la diffusione della malaria.

Felce maschio:

Parona studiò la diffusione della malattia su 249 pazienti, ex operai del traforo del San Gottardo, ricoverati nel suo ospedale, giungendo alle stesse conclusioni di Perroncito. Inoltre, seguendo le indicazioni di quest’ultimo, curò i suoi malati con l’estratto di felce maschio, ottenendo un tasso molto soddisfacente di guarigioni. La sua sperimentazione servì anche a definire con precisione i dosaggi di estratto di felce maschio con cui affrontare l’infestazione senza produrre troppi effetti collaterali.

Dopo l’intervento di Parona, nessuno mise più in dubbio le conclusioni di Perroncito

Qualche anno dopo, nel 1888, partirono gli scavi per un altro traforo ferroviario, quello del Sempione. Perroncito riuscì a convincere le autorità a inviare sul posto, come ufficiale sanitario, un giovane medico di sua fiducia, Giuseppe Volante.

Questi, man mano che prendeva forma la comunità dei minatori, che arrivarono anche a fondare con le loro famiglie una vera e propria cittadina, Balmalonesca, oggi disabitata da tempo ma ancora visitabile, si ingegnò a prevenire in tutti i modi la comparsa dell’Ancylostoma, a partire dalle selezioni degli operai, in cui scartò chiunque sembrasse affetto da parassitosi, fino alla costruzione di impianti sanitari molto moderni con docce e bagni con spogliatoi riscaldati.

Balmalonesca:

Il risultato fu che, durante i lavori di scavo del Sempione, l’infestazione da Ancylostoma ebbe un’incidenza bassissima, e i pochi malati furono tutti prontamente curati. Volante s’impegnò, insieme a un parroco, a un sindacalista e a un direttore didattico provenienti da paesi vicini come Varzo e Iselle, anche ad abituare gli operai (molti dei quali erano migranti provenienti dal Sud Italia) a rispettare le norme igieniche in casa e a mandare i figli a scuola. Passò tanto tempo nelle gallerie ad assistere i lavoratori, e alla fine si ammalò come loro di insufficienza respiratoria per via delle troppe polveri respirate, malattia per cui sarebbe poi morto nel 1936, a 65 anni.


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