Nel XV secolo le Ande furono teatro di conflitti, rivolte e lotte dinastiche. La stirpe Inca era nel bel mezzo di un’opera di unificazione delle popolazioni situate tra gli odierni Equador e Cile. Il famoso sovrano Pachacutec, dopo aver sventato un tentativo di invasione da parte dei Chanca, che in seguito sconfisse nella feroce battaglia di Yahuarpampa, si dedicò al consolidamento dell’egemonia imperiale e a opere di miglioramento sociale e amministrativo.
Pachacútec rappresentato da Felipe Guaman Poma de Ayala
Le sue preoccupazioni, tuttavia, non erano finite. Doveva ancora affrontare il dilemma della successione. L’impero necessitava di una figura forte e autorevole, un uomo capace sia di mantenere e ampliare il regno, sia di ottimizzare l’apparato burocratico. La scelta non fu certamente facile, ma alla fine ricadde sul figlio Tupac Yupanqui. Il giovane mostrò fin da subito grandi doti da condottiero. Mentre il padre si occupava della politica interna, Yupanqui portava avanti la politica militare-espansionistica adottata dal genitore, dirigendosi verso nord, attraversando Cajamarca e arrivando poco più su di Quito, per poi ridiscendere, attraverso la foresta andina arrivando fino alla costa paludosa e malsana della regione innanzi a Isla Puña e a Tumbes, area nella quale sbarcherà, in futuro, la spedizione di Pizarro.
Immagine di Túpac Yupanqui secondo Guaman Poma de Ayala
Fermatosi a Tumbes, Yupanqui incontrò degli stranieri provenienti dal mare. Essi partirono da un gruppo di isole situate nell’Oceano Pacifico, che chiamavano Avachumbi e Ninachumbi, con una flottiglia di imbarcazioni a vela. Queste isole erano ricche d’oro e molto popolate. Tupac, uomo curioso con una forte smania di avventura, optò per abbandonare la sua campagna sulla terraferma e prendere il largo. Durante i preparativi della spedizione, però, i dubbi presero d’assalto la fermezza del principe.
Non era più tanto convinto che quelle persone avessero raccontato tutta la verità, per cui si rivolse a un celebre oracolo, Antarqui, che confermò le storie dei navigatori occidentali. Più sicuro che mai, Yupanqui fece armare un gran numero di balse, nelle quali imbarcò circa ventimila uomini scelti e i suoi comandanti più valorosi. La flotta navigò a lungo in quell’immensa distesa pericolosa, abitata da squali e capodogli, attraversata da tempeste letali, venti burrascosi e onde che potevano annientare quelle fragili imbarcazioni con grande facilità.
Il viaggio ebbe, nonostante i numerosi pericoli dell’oceano, esito positivo. Arrivarono nelle isole di cui sentirono parlare, presero schiavi, oro, la pelle e la mascella di un equino (che gli spagnoli troveranno al loro arrivo a Cuzco). Dopo aver stabilito contatti con gli indigeni delle isole e averle esplorate, presero la via del ritorno e alla fine di circa dieci mesi – forse un anno – di viaggio rimisero piede sul continente, dove scoprirono di esser stati dati per morti.
Il racconto fu esposto per la prima volta dall’inca Urco Huaranca, che era a guardia dei reperti nel palazzo della capitale, e riportato da diversi cronisti spagnoli, tra i quali spicca Sarmiento de Gamboa.
Diverse ipotesi sono state avanzate circa la reale ubicazione di queste isole; le più accreditate, oggigiorno, sono le Galapagos, le isole di Juan Fernandez e, secondo alcuni, l’Isola di Pasqua, ma data la posizione è più probabile si tratti delle prime.
Eppure nell’arcipelago non sono mai state trovate tracce di insediamenti stabili, solo un flauto e qualche frammento di ceramica pre-incaica, che non danno certezza circa il popolamento dell’isola, in quanto, qualora i reperti non siano dei falsi, sarebbe più plausibile pensare che siano stati portati lì in via eccezionale, magari in seguito a un naufragio. Inoltre non erano sicuramente isole adatte a ospitare una popolazione, troppo inospitali; per questo non si ritiene possibile una loro colonizzazione pre-colombiana. Per questo l’ipotesi che Yupanqui fosse arrivato nelle Galapagos, per il momento, non regge.
L’isola di Pasqua, nonostante fosse abitata, è situata troppo a sud, troppo lontana da Tumbes, e, inoltre, troppo isolata per essere trovata facilmente, senza contare che essa è l’unica isola in quel tratto di mare, anche se un muro, nel sito di Ahu Vinapu, situato nella parte occidentale dell’isola, ha fatto pensare a una possibile influenza incaica, data la somiglianza tra le due tecniche costruttive. La mancanza di informazioni dettagliate rende, in ogni caso, difficile l’identificazione di queste isole.
Sotto, il muro di Ahu Vinapu:
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Gli Inca non erano un popolo di grandi navigatori, e più abituati alla montagna, preferivano, tuttalpiù, viaggiare lungo la costa, nonostante avessero imbarcazioni con le quali un viaggio transoceanico era possibile da effettuare, come dimostrato da alcune spedizioni organizzate nell’ultimo secolo.
Altre ipotesi vedono come possibile approdo le isole della Polinesia Francese, come le Marchesi o Mangareva, dove pare esistesse una leggenda su uomini, guidati da un re di nome Tupa, provenienti da est, arrivati su una flotta di zattere. I sostenitori di questa teoria citano presunte ceramiche e costruzioni di matrice incaica. Inoltre la parola “chumba”, contenuta nei nomi delle isole, secondo questi significherebbe “cintura”, indicante l’inconfondibile forma degli atolli polinesiani; Avachumbi viene dunque tradotta come “cintura di fuoco”, forse riferimento a molteplici vulcani che puntellano il Pacifico.
Sotto, Mangareva:
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Quali che siano le teorie proposte, attualmente rimane impossibile determinare anche solo la veridicità del racconto. Gli studi fatti sui reperti polinesiani inoltre sono ancora molto discussi fra chi sostiene la teoria dei contatti tra Sud America e Oceania e chi ritiene non siano mai avvenuti. Alcuni ritrovamenti hanno fatto sorgere il dubbio circa la somiglianza tra le culture, e le grandi abilità da navigatori dei popoli polinesiani danno più sicurezza ai sostenitori del contatto, i quali citano come prova la statua di Kon-Tiki a Tiahuanaco e la sua similitudine con l’idolo polinesiano Tiki.
Sotto, l’idolo Kon-Tiki:
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Alla luce della scarsità di prove importanti, con ogni probabilità, questo racconto è destinato a rimanere una delle numerose leggende della storia delle esplorazioni, sempre molto incerta e povera di fonti, ma incredibilmente capace di stimolare la fantasia e la curiosità di tutti coloro che, in un modo o in un altro, si approcciano a essa, attratti dal mistero che la accompagna.