Quando, nel mezzogiorno del 10 aprile 1912, il Titanic salpò dal porto di Southampton verso New York, nessuno avrebbe mai immaginato che, appena quattro giorni dopo, sarebbe colato a picco portando con sé buona parte delle persone che si erano imbarcate per il viaggio inaugurale.
Nell’incidente che spezzò letteralmente in due il transatlantico perirono circa 1.500 delle 2.200 persone che erano a bordo: si trattò di uno dei più tremendi disastri nella storia della navigazione. Quello che però non tutti sanno è che sulla nave, oltre al personale di servizio, ai marinai e ai viaggiatori, c’erano anche dei cani, almeno una dozzina, secondo alcune ricostruzioni, ben trentacinque, secondo altre, ma certamente ce ne sarebbero potuti essere molti di più, poiché un commerciante americano, tale Charles Moore, aveva progettato di imbarcarsi con cento esemplari da caccia alla volpe, ma alla fine – per la fortuna sua e dei suoi animali – scelse di viaggiare con un’altra compagnia.
Sotto, il celeberrimo Capitano Smith con un cane, probabilmente di sua proprietà:
Si trattava perlopiù di cani di proprietà dei passeggeri di prima classe, che oltre al costo della cabina potevano permettersi quelli del biglietto per i loro compagni a quattro zampe: graziosi animali appena acquistati in Europa come eccentrico souvenir del vecchio continente o compagni fedeli che i padroni avevano voluto portare con sé nel lungo viaggio.
Le tariffe per farli viaggiare erano piuttosto salate:
Un cagnolino pagava lo stesso biglietto di un bambino piccolo
Erano soprattutto bestiole di razza, eleganti campioni dal pedigree purissimo dotati di costose assicurazioni, e infatti, per combattere la noia del viaggio, era stata persino organizzata una piccola gara di bellezza, una sorta di esposizione canina galleggiante che avrebbe parecchio divertito i proprietari ma che non si svolse mai, poiché era prevista proprio per il giorno successivo al naufragio.
La giornata dei quattrozampe era molto ben organizzata: durante la notte, riposavano nelle cabine dei loro proprietari o in gabbie metalliche allestite in una zona della nave a loro dedicata. Al mattino e a metà della giornata, la servitù che viaggiava con i facoltosi proprietari si occupava di far sgranchire le gambe ai cuccioli sul ponte di poppa appositamente allestito. Il resto del tempo potevano trascorrerlo in cabina o a spasso con i propri padroni. Com’è noto, il 14 aprile 1912, poco prima della mezzanotte, il Titanic si schiantò alla velocità di circa 21 nodi contro un enorme iceberg che si trovava lungo la sua rotta e si inabissò in meno di tre ore.
Cosa successe ai cani che erano sulla nave?
Da principio nessuno pensò a salvare i poveri animali, anche perché non tutti si resero conto immediatamente del pericolo e quando compresero che era in gioco la loro stessa vita era ormai troppo tardi per pensare ad altro che a salvarsi. Poiché era sera, buona parte delle bestiole si trovava già chiusa nelle cucce, ma alcuni erano, invece, in cabina con i loro padroni.
E fu proprio John Jacob Astor, il ricchissimo proprietario di una airedale terrier, Kitty, a preoccuparsi in quel frangente dei cuccioli che erano rimasti imprigionati sulla nave: dopo aver provveduto a far salire su una scialuppa la moglie, che era incinta, corse dalla sua amica fedele che si trovava nelle gabbie e liberò sia lei sia gli altri cani perché provassero a salvarsi in modo autonomo.
Purtroppo Jacob con la sua terrier e gli altri animali che aveva liberato morirono nel naufragio
Sotto, Astor con sua moglie, Madeleine Force Astor e il loro Airedale, Kitty:
La stessa sorte toccò a Ann Elizabeth Isham che si rifiutò di salire sulla lancia senza il suo alano e morì con lui: furono trovati in mare poco distanti l’uno dall’altra, uniti da un legame di fedeltà che era andato ben oltre la morte.
Sotto, l’alano della Isham:
Al contrario, i coniugi Walton Bishop, che si trovavano in viaggio di nozze in compagnia della loro cagnolina, pensarono soltanto a salvarsi e lasciarono la piccola barboncina Frou Frou chiusa nella loro cabina.
Non tutti, però, furono così egoisti: Lady, una volpina di pomerania che era stata acquistata a Parigi poco prima della partenza, si salvò insieme alla sua giovanissima padrona, la ventiquattrenne Margaret Bechstein Hays. Come lei si salvò anche il volpino della coppia Rothschild che fu tenuto nascosto tra i vestiti da Jane Elizabeth fino a quando non arrivarono i soccorsi.
I facoltosi Myna ed Henry Harper pretesero e ottennero che il loro adorato pechinese Sun Yat-Sen salisse con loro sul battello di salvataggio, e nessuno protestò perché la creaturina era davvero minuscola (“Non occupava spazio nelle scialuppe e nessuno ebbe da ridire ”, racconterà poi Harper). Più o meno nello stesso modo si salvò un altro pomeranian, il piccolo Pommy. La sua padrona, Margaret Bechstein Hays, si rifiutò decisamente di lasciarlo sul ponte e la ebbe vinta: alla fine, le fu permesso di infilarlo nella borsa che aveva con sé.
In generale, si può desumere dal racconto dei superstiti che buona parte dei cani che erano a bordo si sarebbe potuta salvare se i padroni li avessero portati con loro sulle scialuppe: si trattava di esemplari non particolarmente grandi e in alcuni casi, anzi, decisamente piccoli, ma la sensibilità dell’epoca li considerava spesso poco più che oggetti, e per questo motivo non a tutti venne in mente di soccorrerli.
La leggenda di Rigel
Fra i tanti cani che si trovavano sul Titanic merita una menzione speciale Rigel, un esemplare di Terranova del quale, tuttavia, non si è certi dell’esistenza. Se la maggioranza dei cagnolini presenti a bordo erano di dimensioni contenute, non si può certo dire che lo per Rigel. Quest’ultimo era, infatti, un robusto esemplare di cane di Terranova, una razza che raggiunge spesso i settanta chili di peso.
Imbarcatosi probabilmente (anche se le fonti sono discordanti) con il primo ufficiale Wiliam McMaster Murdoch, l’animale non aveva alcuna speranza di trovare posto sulle scialuppe. Forse attratto dall’acqua (che per la sua razza costituisce un richiamo irresistibile), forse travolto dall’inabissarsi del relitto, sta di fatto che il fedele amico di Murdoch finì in acqua, nel pieno dell’Atlantico, a una temperatura di -2°, una condizione climatica nella quale, di regola, la sopravvivenza è di pochi minuti.
Tuttavia Rigel poteva contare su un metabolismo reattivo all’ipotermia che i terranova hanno in comune con gli orsi polari, su robuste zampe palmate ed, evidentemente, su una determinazione non comune.
Nuotò per ore in quello che era a tutti gli effetti ghiaccio sciolto alla ricerca del padrone che era stato, purtroppo, tra le vittime del disastro
La prima imbarcazione a soccorrere i naufraghi del Titanic fu la britannica Carpathia che, alle quattro del mattino del 15 aprile, un’ora e mezza dopo che il transatlantico era stato definitivamente inghiottito dalle acque, trasse in salvo i circa settecento sopravvissuti.
Sotto, l’RMS Carpathia che soccorse i superstiti:
Mentre tutto intorno vi erano le tracce di una tragedia terribile, dalla murata della nave inglese un marinaio sentì abbaiare forte: era Rigel che, quasi sotto la prua della nave, segnalava la sua presenza insieme a quella di una scialuppa che, altrimenti, avrebbe rischiato di finire sotto l’imbarcazione dei soccorritori poiché i suoi occupanti erano troppo stremati per segnalarsi con grida di aiuto.
Dopo aver salvato la vita ad un buon numero di naufraghi, finalmente anche il coraggioso terranova fu tratto in salvo
Malgrado le ricerche, non fu possibile risalire con certezza al nome del proprietario del bellissimo animale: non era certo che appartenesse all’ufficiale deceduto e così non si seppe mai se fosse stato abbandonato al suo destino dal padrone o se avesse perso in mare il compagno di vita.
Sotto, il frammento di giornale che parla dell’impresa di Rigel che afferma, circa: “Le grida dei sopravvissuti sono deboli, il latrato del cane consente il salvataggio del carico”
Tuttavia, John Brown, il maestro d’ascia del Carpathia che per primo lo aveva avvistato, ne era rimasto conquistato e decise perciò di adottarlo con il nome di Briggs. Rigel-Briggs andò, perciò, a New York, e tornò con il Carpathia in Inghilterra e di lì in Scozia, dove invecchiò serenamente a fianco del marinaio.
Sotto, francobollo commemorativo dell’impresa di Rigel:
Se per tutti gli altri cani esiste la traccia di una registrazione a bordo del Titanic e dunque la prova della loro esistenza, per Rigel sono stati sollevati alcuni dubbi, poiché non vi è chiarezza sulla sua vicenda. I giornali dell’epoca, ad ogni modo, celebrano il coraggio e la leggenda di questo colosso coraggioso che seppe sopravvivere al peggiore dei naufragi, ma nessuno dei naufragi tratti in salvo dal Carpathia fa menzione del proprio peloso benefattore.
Rigel, realtà o leggenda?
In seguito al naufragio del Titanic e all’immenso dibattito che questo scatenò, i giornali erano in continua ricerca di storie da raccontare, anche le più fantasiose. Molti detrattori della storia di Rigel sostengono che questa sia stata inventata di sana pianta dal giornalista del The New York Herald sul pezzo pubblicato la Domenica 21 Aprile 1912.
Sotto, un esemplare di Terranova del 1915 dal libro “Dogs of all Nations” di W. E. Mason:
In seguito la storia di Rigel venne ripubblicata diverse volte, condita di dettagli via via discordanti. Si parlò di un marinaio Jonas Briggs che lo adottò, di un passeggero di nome Briggs (al posto del cane), tutti nomi che non trovano riscontro nei registri del Titanic e del Carpathia.
A supporto degli scettici, il cane scomparve dalla storia immediatamente dopo il naufragio, un particolare decisamente singolare per un “eroe” che aveva salvato ricchissimi passeggeri del Titanic altrimenti destinati alla morte. In definitiva, nonostante sia molto probabile che quella di Rigel sia una storia del tutto inventata, il romanticismo della vicenda è riuscito a generare un’ampia letteratura dedicata al Terranova del Titanic.
A Rigel sono stati dedicati numerosi testi, fra i quali ricordiamo: The Legend of Rigel: Hero Dog of the Titanic, disponibile su Amazon:
All’eroe canino del Titanic è stata dedicata anche un’App dal titolo “Titanic Dog to the Rescue”, da cui è tratta l’immagine sottostante: