La storia millenaria della Cina Imperiale è ricca di leggende riguardanti le gesta di figure mitologiche, di semidei e anche di personaggi realmente esistiti e documentati storicamente, che hanno vissuto anche in tempi abbastanza recenti.
Tra le tantissime narrazioni e vicende, vorrei raccontarvi della storia d’amore tra l’Imperatore Shun Chi, sovrano della dinastia Qing, e della sua concubina Donggo Xiao Xian, persone realmente esistite a cavallo del XVII secolo.
Shun Chi nacque nel 1638, figlio dell’Imperatore Abahai del popolo Mancese (che governò tra il 1626 ed il 1643), i cui domini si estendevano a nord est dell’Impero Cinese, quest’ultimo governato dalla Dinastia Ming (sul Trono del Drago a partire dal 1368).
In quel periodo il Celeste Impero viveva un periodo di grande declino poiché la Dinastia regnante non era riuscita a contrastare la corruzione dilagante e di porre rimedio alle frequenti carestie che affamavano la popolazione.
Il malcontento generale aveva raggiunto livelli pericolosi ed inarrestabili nel corso degli anni ’30 del XVII secolo e le ribellioni si susseguirono in maniera continua, portando la dinastia Ming a perdere il controllo totale della situazione.
Nell’aprile 1644 il ribelle Li Zi Cheng, che nel corso dei mesi precedenti aveva formato un forte esercito di contadini e si era imposto come leader carismatico, entrò a Pechino a seguito del tradimento di alcuni alti funzionari che aprirono le porte della città. In una notte di tremendi saccheggi, l’ultimo imperatore Ming, Chong Zhen, ormai solo, si tolse la vita impiccandosi ad un albero sulla “Collina del Carbone”, alle spalle della Città Proibita. Era la fine della Dinastia dei Ming.
Nel corso degli anni che precedettero gli eventi appena descritti, Abahai era riuscito ad unificare i clan Mancesi, costituendo un Impero unitario sempre più forte (anche dal punto di vista militare) e culturalmente cinesizzato (Abahai adottò infatti il sistema del Mandarinato e del confucianesimo per governare il Paese), non nascondendo il sogno di poter conquistare la Cina e sedere sul trono come Figlio del Cielo (appellativo riservato al Sovrano del Celeste Impero). Per questo motivo, nel 1636 fondò la Dinastia Qing, strutturata su modello Cinese, che si prefiggeva appunto l’obiettivo di sostituire un giorno la traballante Dinastia Ming.
Il piano dei Abahai sembrò naufragare nel 1643, quando quest’ultimo morì, lasciando sul trono il figlio Shun Chi di soli 5 anni. La reggenza venne affidata nelle mani del fratello del defunto sovrano: il principe Dorgon, che si sarebbe distinto per la sua ferocia e per essere uno scaltro stratega militare.
Dogon, conoscendo molto bene la crisi interna alla Cina, decise di non invadere immediatamente il Celeste Impero, ma di attendere che la dinastia Ming si sgretolasse da sola come legno marcio. L’attesa non fu lunga. Come già detto, nella primavera 1644 la dinastia crollò a seguito di una ribellione interna ed il governo passò momentaneamente nelle mani del ribelle Li Zi Cheng.
L’ultimo grande generale Ming, Wu Sanguei, che era di stanza del passo di Shan Hai Guan, una volta venuto a sapere del suicidio del suo Imperatore, si alleò con i Mancesi di Dorgon per scacciare i ribelli da Pechino.
Al reggente Mancese non parve vero ed accettò ovviamente tale invito. Nel mese di maggio vi fu una violenta battaglia contro l’esercito di Li Zi Cheng che fu sconfitto. Dopo la battaglia, l’esercito vittorioso dei Qing non si ritirò dalla Cina, ma proseguì in direzione di Pechino dove vi entrò pacificamente, ponendo sul trono della Cina l’Imperatore bambino. I Qing avrebbero regnato sul Celeste Impero fino al 1912.
Shun Chi crebbe e nel corso degli anni ’50 del XVII secolo, ancora giovane, prese nelle proprie mani il potere, con ottime premesse di buon governo.
Ovviamente era importante per un sovrano avere una discendenza a cui trasmettere il trono e fu così che, nel corso degli anni, si sposò ed ebbe diverse concubine, tra le quali la più importante fu Dongg Xiao Xian (che sarebbe poi stata elevata al rango di Imperatrice), fanciulla appartenente al clan Mancese della Bandiera Bianca.
Egli se ne innamorò perdutamente e il sentimento era ricambiato, ma il fato volle per loro un triste destino: la giovane morì il 23 settembre 1660, a circa 20-21 anni, in seguito alle conseguenze di un parto durante il quale il bambino purtroppo non sopravvisse.
Per l’Imperatore Shun Chi fu un grosso dolore, difficile da superare e che probabilmente lo debilitò fisicamente. Pochi mesi dopo la perdita della sua amata, lo sfortunato sovrano contrasse il morbillo, malattia all’epoca letale, che lo condusse alla morte il 5 febbraio 1661, a soli 23 anni.
Così finisce la storia ufficiale e documentata del Primo Imperatore Qing a regnare sulla Cina, dando inizio alle leggende sulla sua figura.
Fin dal giorno della sua morte, infatti, iniziarono a circolare tra la popolazione storie che narravano di come il sovrano, devastato dalla morte della sua amata, non fosse realmente morto, ma avesse semplicemente deciso di ritirarsi volontariamente dalla vita di corte e diventare monaco buddhista, fede che aveva abbracciato proprio grazie alla sua amata Xiao Xian.
Tra le tante, una leggenda narra di come in realtà la donna non fosse una principessa Mancese, bensì la giovane concubina cinese (il cui cognome era Dong e non Donggo) di un anziano nobile imparentato con i sovrani della Dinastia Ming.
Un giorno, un alto funzionario di corte Qing, tale Hung Cheng Cho, la vide e se ne invaghì. Deciso a farla sua, accusò ingiustamente il marito di corruzione, facendo poi rinchiudere la giovane nella propria abitazione.
Xiao Xian, fedele al marito, rifiutò qualsiasi tentativo da parte del funzionario che l’aveva rapita, il quale, in preda all’ira, decise che se non avrebbe potuto farla sua, nessun altro uomo avrebbe potuto farlo.
L’uomo ordì quindi un astuto piano: disse alla donna che sarebbero partiti alla volta di Pechino, dove lei avrebbe potuto incontrare nuovamente il marito. Giunti nella capitale, Hung Cheng Cho si recò invece in udienza presso il sovrano per tessere le lodi e la bellezza di della fanciulla, che riuscì a far entrare, a sua insaputa, come concubina del giovane imperatore Shun Chi.
Così facendo, il funzionario voleva indurre Xiao Xian al suicidio. Riteneva infatti che, per non tradire il marito, la giovane avrebbe rifiutato di concedersi anche al Sovrano. Un tale diniego nei confronti dell’Imperatore, padrone di tutto, era considerato un grave affronto da punire con la morte.
Xiao Xian si ritrovò quindi catapultata, contro la propria volontà, a corte, dove le fu assegnato un alloggio e l’assistenza di un’altra concubina, di nome Hsu (il cui significato era “Pura”), con l’incarico di insegnarle l’etichetta del Palazzo, in attesa dell’incontro con l’Imperatore.
La fanciulla era naturalmente disperata, in quanto riteneva che l’unica soluzione per porre fine a questa situazione fosse appunto il suicidio, come previsto da Hung Cheng Cho, confidando i propri pensieri alla sua nuova amica “Pura”. Quest’ultima però le consigliò di non abbattersi e di agire diversamente, invitandola ad avere pazienza e di puntare alla vendetta nei confronti del funzionario Hung Cheng Cho al momento giusto.
“Pura”, lodando la bellezza e l’intelligenza della ragazza appena giunta, le spiegò che era infatti sicura che l’Imperatore se ne sarebbe follemente innamorato e che un giorno l’avrebbe elevata al ruolo di Imperatrice. Una volta raggiunto tale livello, avrebbe potuto ottenere la sua vendetta.
Xiao Xian accettò tale consiglio e la sera stessa fu invitata a recarsi presso gli appartamenti del Sovrano. Come previsto da “Pura”, il giovane Figlio del Cielo rimase ammaliato dalla nuova concubina e passarono la serata a parlare. Felice della confidenza ottenuta con l’imperatore, la ragazza raccontò la sua triste storia (facendo passare però il marito come fratello, così da non far soffrire il sovrano) e di come si fosse comportato indegnamente il vendicativo funzionario.
L’Imperatore Shun Chi, ormai innamorato della sua concubina, le disse di pazientare, garantendole che al momento opportuno avrebbe ottenuto la sua vendetta e che la famiglia alla quale era stata strappata avrebbe avuto la sua protezione personale.
La concubina, ammirando l’animo gentile del Sovrano se ne innamorò a sua volta ed i due iniziarono a passare molto tempo assieme
La legge della nuova dinastia mancese prevedeva però che le imperatrici e le concubine fossero tutte di etnia Manciù, cosa che Xiao Xian, come detto, non era. Il sovrano optò quindi per un piccolo inganno. Decise di aggiungere il suffisso GO al cognome DONG, che divenne così il mancese DONGGO. Nessuno avrebbe così sospettato la vera origine della donna.
Il passo successivo di Shun Chi fu di elevare la sua amata al ruolo di imperatrice, ripudiando la prima moglie. Il funzionario Hung Cheng Cho, venuto a sapere dell’intenzione del Sovrano, si spaventò fortemente e temette per la propria incolumità.
Il fatto che la concubina prediletta del sovrano non si fosse suicidata una volta entrata nell’harem era stata per lui una sconfitta, ma ora, avendo intuito i piani di vendetta di Xiao Xian, temeva per la propria vita. Sapeva che, una volta elevata al ruolo di imperatrice, per lui non ci sarebbe stato scampo.
Hun Cheng Cho decise così di recarsi immediatamente presso l’abitazione dell’Imperatrice Madre (di cui si diceva fosse l’amante), per raccontarle calunnie in merito a Xiao Xian, di come quest’ultima avesse circuito l’imperatore suo figlio il quale si stava disinteressando delle faccende di Stato. In ultimo le rivelò che la giovane era una cinese, venendo quindi contro alle regole dinastiche.
L’Imperatrice Madre, furente, convocò il figlio obbligandolo a rinunciare ad ogni proposito nei confronti della sua amata concubina appena nominata imperatrice. Si decise di risparmiarle la vita, ma fu obbligata a lasciare il Palazzo Imperiale per entrare come monaca presso il tempio buddhista “della Fontana di Giada”.
Shun Chi, in lacrime, non potendo andare contro il volere di sua madre (la Pietà Filiale, cioè il rispetto del volere dei genitori, era uno dei valori confuciani su cui faceva perno l’Impero), fu costretto ad accettare il volere materno.
L’imperatore si recò disperato da Xiao Xian per spiegarle la situazione e la donna, da fervente buddhista, una volta ascoltato il racconto, cercò di rassicurare l’uomo, accettando serenamente la decisione presa dall’Imperatrice Madre. Indossò così l’abito da monaca e si recò, come ordinato, presso il Tempio.
Nel frattempo, a corte non si perse tempo e venne nominata una nuova Imperatrice, la quale però non riceveva alcun segno di interesse da parte di Shun Chi. Il Sovrano era sempre più depresso e non faceva altro che pensare all’amore perduto, lasciandosi andare alla tristezza e alle lacrime.
La nuova consorte, comprendendone i sentimenti, provò una grande pietà nei confronti del marito. Un giorno si recò quindi presso i suoi appartamenti, invitandolo a recarsi segretamente presso il “Tempio della Fontana di Giada” dove avrebbe potuto incontrare la sua amata. Fu la stessa Imperatrice a spiegare come avrebbe potuto raggiungere tale luogo in tutta segretezza.
Raggiante di gioia, Shun Chi non perse tempo e il giorno successivo, terminate le udienze, si recò presso il luogo sacro, dove poté incontrare finalmente Xiao Xian.
Alla vista della donna, il sovrano pianse perché non voleva più farla andare via, giurandole che avrebbe fatto di tutto per farla tornare a palazzo.
Lei, che ormai aveva però acquisito una profonda saggezza e conoscenza della dottrina Buddhista, che l’aveva aiutata a comprendere anche l’inutilità del sentimento di vendetta nei confronti del funzionario Hung Cheng Cho, disse che la propria vita aveva poco valore rispetto alle responsabilità che lui aveva come Imperatore, ruolo sul quale doveva concentrarsi appieno.
Per se stessa chiese unicamente una tomba a Pechino, una volta morta
In lacrime per tali discorsi, l’imperatore acconsentì, ma allo stesso tempo rinnovò il proprio giuramento d’amore eterno, annunciando che se la sua amata fosse deceduta egli stesso avrebbe rinunciato a tutto per diventare un bonzo eremita sulle montagne.
Il tempo nel frattempo passava e Shun Chi ogni settimana continuava a recarsi, segretamente, presso il tempio per incontrare Xiao Xian, con la quale si intratteneva parlando in modo approfondito della dottrina Buddhista e dell’inutilità delle cose materiali e della vita stessa dell’uomo.
Un giorno, durante uno di questi incontri, Shun Chi le confessò che, grazie alle loro conversazioni e alla meditazione, aveva riacquisito un po’ della serenità perduta, arrivando in alcuni momenti a pensare addirittura di lasciare il Trono per diventare un monaco. Disse però di non sentirsi ancora del tutto pronto per un tale passo a causa dell’amore che ancora provava nei suoi confronti. Chiese così consiglio alla dama, che era ormai anche la sua guida spirituale, su cosa fosse meglio fare.
Profeticamente, la giovane monaca gli disse che l’amore che lui provava per lei non era una cosa profonda in quanto elemento terreno, e che sarebbe terminato al momento della morte della ragazza stessa, evento che si sarebbe verificato molto presto. Quello sarebbe stato il segnale che lui avrebbe dovuto cogliere per ritirarsi dalla vita terrena per dedicarsi a quella spirituale. Prima doveva occuparsi dell’Impero.
Terminato questo discorso, lo invitò inoltre a rientrare velocemente a Palazzo, in quanto, entro la fine della giornata, avrebbe scoperto chi fosse stato durante una vita precedente e questa scoperta sarebbe stata fondamentale per aiutarlo a capire il proprio presente e futuro.
Meditando sulle parole ascoltate, Shun Chi ed il suo seguito lasciarono il tempio incamminandosi verso la valle. Giunti in fondo, incontrarono un monaco buddhista emaciato e dalle vesti logore, seduto sul ciglio della strada. Il sovrano, che viaggiava ovviamente senza le insegne imperiali ed era pertanto irriconoscibile, si fermò e domandò gentilmente all’uomo chi fosse e cosa stesse facendo.
Il Reverendo raccontò loro di provenire dal Tempio della Montagna Sacra di Emei, nel lontano Sichuan, dove un tempo abitava con il suo Maestro, uomo di grande saggezza e spiritualità.
Molti anni prima accadde che improvvisamente il Maestro annunciò di dover lasciare il tempio, per “recarsi tra i mortali”, dove avrebbe dovuto assumere una carica importantissima. Invitò quindi il discepolo a rimanere nel tempio per perfezionare lo studio della dottrina.
Comprendendo che con quelle parole il Maestro intendeva dire che sarebbe morto per poi reincarnarsi, il giovane monaco fu preso dallo sconforto, ma il Saggio lo rassicurò, dicendogli che si sarebbero incontrati nuovamente. Gli affidò quindi un proprio ritratto sul quale mancavano le sopracciglia, invitando il discepolo ad attendere 20 anni, periodo dopo il quale si sarebbe dovuto recare a Pechino, alla ricerca dell’unica persona che sarebbe stato in grado di completare il dipinto. Quella persona sarebbe stata la sua reincarnazione.
Dopo aver dato queste istruzioni, il Maestro, si sedette in meditazione, chiuse gli occhi e spirò
L’allievo rispettò le istruzioni ricevute e, dopo 20 anni, iniziò il cammino in direzione di Pechino.
Terminato il racconto, Shun Chi, incuriosito dalle parole appena ascoltate, volle vedere il dipinto e si fece portare un pennello, disegnando così le sopracciglia alla figura rappresentata. Il monaco rimase sbalordito. Il giovane davanti a lui era riuscito a rappresentare perfettamente il suo maestro. Non solo, notò che la somiglianza tra l’uomo del dipinto e colui che aveva completato l’opera era incredibile.
Si trattava della stessa persona
Il reverendo, emozionato, dichiarò di aver finalmente ritrovato il proprio Maestro.
Shun Chi, un po’ scosso dall’evento, negò di essere la reincarnazione dell’uomo del dipinto, invitando così il monaco a recarsi presso il tempio sul Monte Wu Tai, dove sarebbe stato ben accolto dagli altri monaci e dove un giorno, forse, avrebbe incontrato nuovamente il proprio Maestro.
Rientrato a Pechino, Shun Shi non rivelò a nessuno del suo seguito che, dopo aver completato il ritratto, ebbe in visione la vita del monaco dipinto.
Le settimane nel frattempo passavano e l’Imperatore non era più riuscito a recarsi presso il tempio della Fontana di Giada a causa di alcune insurrezioni nel sud del Paese.
Comprese in quel momento le parole di Xiao Xian, che lo aveva invitato a farsi carico delle sue responsabilità di Sovrano: doveva pensare prima al bene dell’Impero. Decise quindi di raggiungere il fronte per guidare e dirigere personalmente le operazioni necessarie al ripristino dell’ordine.
Dopo aver ottenuto finalmente la vittoria e pacificato l’Impero, Shun Chi si incamminò in direzione del tempio per incontrare nuovamente Xiao Xian ma, durante il percorso, venne anticipato da un eunuco che gli recava una triste notizia. Il giorno stesso in cui si erano incontrati l’ultima volta l’amata aveva chiuso gli occhi e aveva abbandonato la vita. La donna, prima di spirare aveva lasciato un messaggio per l’Imperatore, ricordandogli le promesse che aveva fatto.
A Pechino si pianse la scomparsa di Xiao Xian, tanto che le furono concessi grandi onori postumi. Perfino l’Imperatrice Madre fu presa da tristezza e da grandi sensi di colpa. L’anziana donna decise di consolare il figlio per tale perdita, ma sorprendentemente trovò sempre l’Imperatore particolarmente sereno e spesso in meditazione profonda.
Pochi mesi dopo il decesso di Donggo Xiao Xian, l’Imperatore Shun Chi, avendo portato a termine tutte le sue faccende terrene e avendo riportato la pace nell’Impero, mantenne fede alle sue promesse: abdicò a favore del figlio ancora bambino (che sarebbe diventato il grande Imperatore Kang Hsi, uno dei più importanti della storia della Cina) e, dopo aver vestito un abito da monaco, abbandonò per sempre Pechino, recandosi presso il tempio sul Monte Wu Tai, dove il monaco incontrato lungo la strada attendeva con ansia l’arrivo del suo Maestro.
BIBLIOGRAFIA:
“Le Famose Concubine Imperiali” di Ludovico di Giura, Ed. Mondadori. “L’età imperiale dai Tre Regni ai Qing” a cura di Mario Sabattini e Maurizio Scarpari, Ed. Einaudi. “Storia della Cina” di Renè Grousset, Ed. Mondadori.