La leggenda del Teschio di Cristallo

Nel 2008 uscì sul grande schermo un nuovo film di Indiana Jones, intitolato “Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo”, che metteva in scena l’archeologo più famoso del mondo, nell’ennesima ed emozionante avventura, alla ricerca di un manufatto particolare: il leggendario Teschio di Cristallo. Ad ispirare il film, sarebbe stata la storia legata ad un teschio realmente esistito, intorno al quale aleggiano misteri ed enigmi, degni delle pellicole di Indiana Jones.

Incominciamo col dire che, secondo un’antica leggenda Maya, di teschi ce ne sarebbero ben 13, ognuno situato in un luogo diverso del mondo. Essi sarebbero dotati di poteri paranormali e di una forte energia positiva, in grado di trasmettere sensazioni di profondo benessere, ma anche di infliggere disgrazie in tutti coloro che ne sottovalutano il potere. I teschi, una volta radunati insieme, darebbero vita ad una nuova era cosmica, e sarebbero in grado di svelarci le origini e il destino del mondo.

Al di là delle leggende, dei teschi in cristallo di quarzo trasparente esistono davvero nel mondo reale, ed ad oggi quelli a noi conosciuti sono otto: si tratta di manufatti a grandezza naturale, tre sono custoditi nei musei di Londra, Parigi e Washington, mentre gli altri appartengono a privati.

Il più famoso è sicuramente il Teschio del Destino (The Skull of Doom), o anche chiamato teschio di Mitchell-Hedges, dal nome del suo scopritore Frederick Mitchell-Hedges. L’oggetto è alto 13 cm, lungo 18 e largo 13, con un peso di oltre 5kg. Di quelli noti fino ad ora, questo è l’unico ad avere la mandibola mobile. In verità, fu la figliastra Anna Mitchell-Hedges a trovarlo per prima nel 1927, durante una spedizione archeologica del padre a Lubaantún, in Belize, ex colonia inglese nota in passato come Honduras Britannico.

Attorno ai racconti di Anna e di Frederick, sorgono dubbi e perplessità, facendo dubitare ai più della veridicità delle loro testimonianze. Vediamo perché.

Frederick Mitchell-Hedges, detto Mike, nacque a Londra nel 1882. Nei suoi tre libri ”Battles with Giant Fish (1923), “Land of Wonder and Fear (1931) e “Danger my Ally” (1954), ci vengono narrate numerose appassionanti avventure vissute in giro per il mondo, che potrebbero fare invidia persino a quelle di Indiana Jones. Mike fu un appassionato delle città perdute, e credeva fermamente nell’esistenza della famosa Atlantide, tanto da organizzare una spedizione nel ex Honduras Britannico, per testimoniare l’influenza della città perduta sulle civiltà precolombiane.

La spedizione fu un successo, poiché venne scoperta un’antica città Maya, ribattezzata con il nome di Lubaantún, “luogo delle pietre cadute” in lingua Maya, sito in cui, secondo i Mitchell-Hedges, venne ritrovato il teschio. Già da qui, sorgono le prime incongruenze: l’esplorazione nell’Honduras Britannico non fu organizzata da Mike, ma dal British Museum di Londra, con lo scopo di fare ricerca archeologica, e non per trovare tracce di Atlantide. Inoltre, sembrerebbe che il vero leader della spedizione fosse un certo Thomas Grand, docente universitario di archeologia centro americana, che annunciò la scoperta del Lubaantún in un articolo pubblicato sul “ The illustrated London News”. Vista la professionalità della spedizione, sembra strano che il teschio di cristallo trovato dalla figliastra di Mike, non sia stato schedato e dichiarato al British Museum insieme a tutti gli altri reperti rinvenuti.

Non ve ne è traccia, né nella documentazione burocratica, né nei diari di bordo di tutte le persone presenti sul luogo. Non è stata trovata nessuna foto raffigurante il teschio, e nemmeno una che ritraeva la piccola Anna Mitchell, facendo sorgere dei seri dubbi riguardo la sua reale presenza nel Lubaantún ai tempi dell’esplorazione. Persino nel libro “The History of The Maya” del 1931 scritto da Thomas Gann, il vero leader della spedizione, non venne fatta alcuna menzione ad un teschio di cristallo rinvenuto sul luogo della ricerca archeologica. C’è da dire che lo stesso Mike, non fece cenno al teschio nel suo libro “Land of Wonder and Fear” pubblicato nel 1931, nonostante nel volume siano presenti numerosi paragrafi riguardanti proprio l’esperienza nel Lubaantún, terminata solo quattro anni prima.

Mike, menzionò per la prima volta il teschio, solo nel suo terzo libro “Danger my Ally” del 1954. Ne scrisse con grande mistero, senza rivelare come ne fosse venuto in possesso, e facendo solo un vago riferimento ad una spedizione avvenuta negli anni ‘30. Spiegò che secondo gli scienziati, gli antichi avrebbero strofinato il teschio con la sabbia tutti i giorni per ricavarne un cranio perfetto, e che questo avrebbe richiesto ca. 150 anni di lavoro. Il reperto risalirebbe a 3600 anni fa, e fu usato dai sacerdoti Maya per compiere riti esoterici. Questa parte riguardando il teschio, venne stranamente tagliata nell’edizione americana della stesso libro pubblicata un anno dopo, nel 1955.

Mike morì nel 1959, lasciando la parola alla figliastra Anna Mitchell-Hedges. La donna raccontò per la prima volta circa il ritrovamento del Teschio del Destino, solo nel 1962, in un intervista condotta da Donald Seaman per il tabloid inglese Daily Express. Il motivo dell’incontro non aveva proprio nulla a che fare con il teschio del Lubaantún, bensì con lo spionaggio. Per condurre l’intervista, il giornalista accompagnato da un fotografo, si erano recati a casa di Anna, e al termine del colloquio la donna aveva estratto da un ripostiglio il Teschio del Destino per mostrarlo ai presenti.

Raccontò di averlo trovato durante una spedizione del padre, all’epoca impegnato nella ricerca del misterioso tesoro del pirata Morgan. Continuò poi dicendo che il manufatto fu soprannominato “Skull of Doom” (appunto teschio del destino) dagli indigeni locali. Anna permise al fotografo di imprimere su pellicola il reperto e dichiarò inoltre che sarebbe stata disposta a venderlo per 250 mila sterline, al fine di finanziare nuovi spedizioni volte a trovare il tesoro del pirata e continuare il lavoro del padre. Da quel momento lo Skull of Doom divenne famoso, e lo stesso anno, Anna rilasciò un’intervista a John Sinclair per il giornale FATE, intitolato “Crystal Skull of Doom” (Il Teschio del Destino di Cristallo). In questa occasione raccontò una versione molto diversa da quella del primo colloquio con il Daily Express: disse di averlo trovato durante una spedizione del padre a Lubaantún, il giorno del suo 17esimo compleanno. Dopo averlo affidato agli indigeni della zona, gli stessi lo ridiedero a Frederick prima che facesse ritorno in Inghilterra. Anche sulla data del rientro in patria c’è un po’ di confusione, il padre affermò nei suoi libri di essere tornato nel 1926, la figlia nel 1927.

Ma quindi, qual è la verità dietro al teschio del destino?

Nel 1936, un teschio oggi conservato al British Museum di Londra, fu confrontato con il teschio del destino: la somiglianza tra i due fu davvero notevole, cambiavano solo pochi particolari: le occhiaie troppo circolari in quello del British Museum, e anatomicamente corrette nell’altro; oppure denti solo abbozzati nel primo, e ben abbozzati nel secondo. Sembrava quasi che l’uno fosse la bella copia dell’altro, o comunque quello a cui vennero apportate delle migliorie. Tutto questo venne riportato in un articolo del giornale “Man”, dove si indicò come proprietario del teschio del destino un certo Sidney Burney, e non Frederick Mitchell-Hedges. Il signor Burney, fu un mercante d’arte londinese, che nel 1943 offrì il teschio ad un asta di Sotheby’s per 340 sterline.

Nel 1944 il reperto venne venduto da Burney al nostro Frederick Mitchell-Hedges per 400 sterline. Questo lo sappiamo grazie al documento ufficiale della casa d’aste londinese che ne testimonia la vendita. È chiaro quindi grazie all’articolo di giornale e a questo documento ufficiale, che Mike non fu in possesso del reperto dal 1927, come dichiarato da lui e dalla figliastra, ma dal 1944, dopo il suo acquisto. Anne Mitchell-Hedges dopo essere stata messa davanti a questa evidenza, dichiarò in un intervista che in realtà il signor Burney aveva in custodia il teschio per conto del padre, e che non aveva nessun diritto di metterlo all’asta.

Peccato che i documenti di questo “accordo” di tutela del teschio tra Mike e Burney, siano andati guarda caso distrutti. Ad avvalorare la tesi di Sidney Burney come legittimo proprietario, fu il ritrovamento di una lettera datata 21 marzo 1933, dove Burney raccontava a George Clapp Vaillant, un curatore associato dell’American Museum of Natural History, che prima di lui, il teschio apparteneva ad un altro collezionista inglese, il quale lo aveva avuto a sua volta da un altro collezionista.

Dopo la morte di Anna Mitchell- Hedges, nel 2008 sono state affettuate delle analisi sul teschio, condotte dall’antropologa Jane McLaren Walsh. Siccome il cristallo non è databile con l’esame del carbonio-14 , sono stati effettuati dei calchi in silicone, e scattate delle foto al microscopio. Se il teschio fosse stato prodotto e levigato a mano da civiltà precolombiane, come affermava Mike, la superficie avrebbe dovuto presentare delle tracce irregolari ed ondulate. Le foto al microscopio effettuate nei punti meno accessibili alla levigazione, hanno mostrato tracce regolari e parallele, chiaro segno di un intervento meccanico, a cui le società precolombiane non potevano avere accesso.

Un ulteriore studio precedente condotto nel 1970 presso il laboratorio specializzato in analisi di quarzi e cristalli Hewlett-Packard, situato a Santa Clara in California, ha portato alla conclusione che è praticamente impossibile che il teschio sia stato prodotto senza l’uso di macchinari moderni.

Inoltre, se fosse stato veramente di matrice precolombiana, gli indigeni avrebbe raffigurato il teschio in modo completamente diverso, da come lo vediamo. Quel tipo di ritratto infatti, è tipico delle convenzioni iconografiche occidentali contemporanee.

Probabilmente la nascita dei teschi risale alla fine del 19esimo secolo, e forse furono prodotti in Germania, famosa all’epoca per le lavorazioni di quarzo e cristallo. Infatti in quel periodo storico, c’era un forte interesse delle masse verso le culture antiche, e i musei agognavano oggetti antichi da poter esporre nei loro edifici.

La descrizione del teschio conservato al British Museum, riporta oggi la didascalia “late 19th century d.c.”, ovvero tardo 19esimo secolo d.c. I teschi di Parigi e Washing sono invece etichettati come “manufatti moderni”. Il cristallo potrebbe provenire dal Brasile o dal Madagascar.

In tutta questa storia rimane un mistero: abbiamo capito a quale periodo risalgono, ma chi realizzò de facto i teschi di cristallo?

I manufatti del British Museum e di Parigi, potrebbero derivare dall’antiquario Eugène Boban, specializzato nel traffico di falsi. Forse fu sempre lui a realizzare anche il Teschio del Destino, poiché come detto prima, sembra una versione migliorata di quello di Londra.

E gli altri teschi appartenenti a privati?

Purtroppo su quelli non è stato possibile condurre delle ricerche approfondite, sappiamo solo che uno di loro fu ribattezzato “Max”, a suggerire il nome sembra sia stato proprio il teschio stesso, che “entrò in comunicazione” con la proprietaria, la signore Parks. I coniugi Parks, affermarono di averlo ritrovato in Guatemala agli inizi del 1900, ovviamente senza nessuna documentazione che possa verificarlo.

Un altro teschio è conosciuto come Sha Na Ra, fu trovato in Messico da Nick Nocerino, il quale non rivelò mai l’origine del ritrovamento.


da