La Fotografia di un Rinoceronte ucciso e mutilato vince il Wildlife Photographer of the Year

Ha fatto il giro del mondo la foto risultata quest’anno vincitrice al Wildlife Photographer of the Year, la cui cerimonia di premiazione ha avuto luogo qualche giorno fa, presso il Museo di Storia Naturale di Londra. La prestigiosa competizione, riservata alla fotografia naturalistica, dall’enorme visibilità internazionale, ha visto la partecipazione di più di 50.000 foto, provenienti da 92 paesi diversi.

Vincitrice è risultata l’immagine del fotoreporter Brent Stirton, scattata in Sudafrica, nel parco di Hluhluwe Imfolozi, che aveva già vinto il World Press Photo di quest’anno. Essa raffigura un rinoceronte nero, che giace accasciato al suolo, con le zampe anteriori ripiegate, come in ginocchio. Il terreno è insanguinato in corrispondenza delle ferite e dell’orrenda mutilazione, a livello del corno. Gli occhi, ancora aperti, paiono quasi interrogativi, come se l’animale chiedesse allo spettatore il perché del suo inutile sacrificio.

Il colore grigio del terreno sembra fare da contrappunto al cielo cupo, che sovrasta la scena come una tavola livida, appena interrotta da qualche squarcio di luce. C’è un che di commovente nella foto, di indifeso, che ci colpisce e ci induce a riflettere.

Come è noto i rinoceronti neri, un tempo diffusissimi, sono divenuti negli ultimi anni una specie a rischio estinzione a causa del bracconaggio. L’immagine di Stirton racconta la storia di una delle vittime più recenti del mercato illegale, i cui responsabili sono risultati poi essere dei contadini di un villaggio vicino alla riserva.

La foto è simbolica dell’impatto – devastante sulla specie – della domanda del corno di rinoceronte sul mercato nero, che sembra purtroppo inarrestabile, con quasi 1000 esemplari uccisi dall’inizio dell’anno in Sudafrica.

Il costo di un corno può raggiungere la cifra esorbitante di 95.000 euro al chilo e non stupisce, pertanto, l’accanimento dei cacciatori di frodo, nonostante l’inasprimento delle leggi.

I corni – spesso strappati agli animali mentre sono ancora in vita, condannandoli ad una lenta agonia prima della morte – vengono commerciati nei Paesi del sudest asiatico, soprattutto in Vietnam ed in Cina, dove diventano ingredienti di presunte panacee contro il cancro, l’impotenza o l’influenza. I rimedi sono naturalmente senza alcun fondamento medico-scientifico, visto che il corno è fatto di cheratina, della stessa sostanza cioè di cui sono fatte le nostre unghie o i nostri capelli.

Lewis Blackwell, presidente della giuria internazionale del premio londinese, ha commentato:

“Quando un’immagine ci assale e provoca shock, deve farlo per una buona ragione. Con questa foto quella ragione c’è. La sua semplicità ci obbliga a fare da testimoni al brutale, tragico, stupido spreco del bracconaggio. C’è un’orribile intimità in questa fotografia, che ci attira e ci invita ad esplorare la nostra risposta e la nostra responsabilità”.

Ci sono immagini che per il loro straordinario potere comunicativo, parlano direttamente alla nostra coscienza, inducendoci ad un atto di assunzione di responsabilità collettiva. Laddóve la parola si arresta, l’immagine colpisce dritto al cuore e – soprattutto quando immortala un’ingiustizia – ci invita a riflettere e ad agire.

Come la foto di denuncia del fotoreporter sudafricano, che ci consegna la foto dell’animale straziato, chiedendo una risposta.

Giovanna Potenza

Giovanna Potenza è una dottoressa di ricerca specializzata in Bioetica. Ha due lauree con lode, è autrice della monografia “Bioetica di inizio vita in Gran Bretagna” (Edizioni Accademiche Italiane, 2018) e ha vinto numerosi premi di narrativa. È uno spirito curioso del mondo che ama viaggiare e scrivere e che legge avidamente libri che riguardino il Rinascimento, l’Età Vittoriana, l’Arte e l’Antiquariato. Ha una casa ricca di oggetti antichi e di collezioni insolite, tra cui quella di fums up e di bambole d’epoca “Armand Marseille”.