L’aquila arpia, scientificamente nota come Harpia harpyja, è uno degli uccelli più grandi al mondo e l’aquila più grande di tutte. La specie è caratterizzata da un accentuato dimorfismo sessuale, che vede la femmina avere dimensioni decisamente superiori rispetto al maschio. Se l’arpia maschio raggiunge con difficoltà i 7 chilogrammi di peso, l’arpia femmina pesa abitualmente 10 Kg, con alcuni record di 13 Kg.
L’arpia più pesante mai registrata si chiama Jezebel e pesava 15 Kg
Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:
Fotografia di Clément Jacquard condivisa con licenza Creative Commons 2.5 via Wikipedia:
Il mastodontico uccello, connotato da caratteristiche piume retrattili dietro la nuca, è un carnivoro originario del Sud-America.
L’apertura alare delle femmine raggiunge i 2 metri e il corpo misura sino a un metro di lunghezza
Gli animali che vengono predati dall’aquila sono piccoli mammiferi come scimmie e cuccioli di bradipo, che il predatore arpiona con le sue possenti zampe dotate di artigli potenti e che solleva in aria. Il rapace è infatti tanto poderoso da riuscire a sollevare prede pesanti sino a 3/4 del proprio peso corporeo, che conduce al nido dove vengono finite a colpi di becco e artigli.
Arpia in volo. Fotografia di Mdf condivisa con licenza Creative Commons 3.0 via Wikipedia:
Lo splendido animale, a causa della costante erosione del suo habitat, è ormai prossimo alla minaccia.
Un esemplare impagliato di un’aquila arpia che preda un pappagallo Ara conservato al Museum für Naturkunde di Berlino. Fotografia di Etemenanki3 condivisa con licenza Creative Commons 4.0 via Wikipedia:
Dell’Aquila Arpia hanno recentemente fatto il giro del mondo alcune immagini in cattività, pubblicate su Reddit, che mostrano un esemplare di considerevoli dimensioni accanto a un uomo:
Sotto, il video di un’Aquila Arpia che caccia:
L’arpia non è solo uno splendido animale sudamericano, ma anche una creatura mitologica che si trova in numerosi scritti antichi, a partire dall’Odissea di Omero il quale, nel ventesimo libro, le identifica con delle procelle, le tempeste, che rapirono le figlie di Pandareo per consegnarle alle Erinni. Delle arpie ne parla anche lo scrittore greco, coevo ad Omero, Esiodo, che le caratterizza anche con dei nomi propri: Aello e Ocipete.
Dopo i greci ne parlarono anche i latini, con Virgilio, in particolare che dà nome a un’altra arpia, Celeno:
“Le isole Strofadi dette con nome greco, stanno
nel grande Ionio, e sono la crudele Celeno
e le altre Arpie a popolarle, da quando fu chiuso il palazzo di Fineo
e per il terrore abbandonarono le mense i precedenti abitanti.
Non c’è mostruosità più triste di quelle, né alcuna più crudele
peste e l’ira degli dei sprigionò dalla palude Stigia.
Virginei volti di esseri alati, schifosissimo flusso
dal ventre, artigli adunchi e sempre emaciate
le facce per la fame”
E Dante nel suo viaggio all’inferno, guidato da Virgilio, parla delle Arpie:
“Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
che cacciar de le Strofade i Troiani
con tristo annunzio di futuro danno.
Ali hanno late, e colli e visi umani,
piè con artigli, e pennuto ‘l gran ventre;
fanno lamenti in su li alberi strani.
Qualche terzina più avanti:
“Surge in vermena e in pianta silvestra:
l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie,
fanno dolore, e al dolor fenestra”
Parafrasando la commedia:
“Qui le luride Arpie, le quali furono cacciate dai compagni
di Enea dalle Strofadi dopo una cupa profezia
di sventure future, costruiscono i loro rifugi.
Hanno ali larghe, collo e volto umano,
artigli ai piedi e piume sul grande ventre;
modulano [i loro] versi dagli alberi insoliti.
qualche terzina più avanti:
Nasce un ramoscello che [diventa] una pianta selvatica:
le Arpie, nutrendosi poi delle sue foglie,
[le] fanno male e aprono al dolore il [suo] lamento”.
Chi parla è Pier delle Vigne, suicida, che racconta di come le “luride” arpie furono cacciate dei compagni di Enea dalle Strofadi dopo una profezia di sventura, e nell’inferno costruiscano i loro rifugi, mangiando le foglie degli alberi i quali nascono dalle anime dei dannati. Ogni volta che l’arpia mangia le foglie provoca dolore al dannato, che viene quindi flagellato dal mostro.
Le arpie in una illustrazione di Gustave Doré per la Divina Commedia:
Oltre a incarnare tali terribili creature, l’arpia è un termine utilizzato in italiano anche in senso figurato per indicare una persona che con l’inganno è in grado di influenzare la realtà a proprio favore, oppure che approfitta della prima difficoltà altrui per ricavare un vantaggio, e in senso più semplice si può considerare associabile all’aggettivo “cattivo”. Si può trovare tipicamente in una frase come “Quella donna è una vera arpia”.
Ma le Arpie, nonostante il Poeta le voglia cacciate dalle isole Strofadi, Στροφάδια in greco moderno, sono ancora presenti nelle isole a sud di Zante, nel Mar Ionio.
Una delle due isole principali del piccolo arcipelago ha nome infatti “Arpia”, delle due quella situata più a nord, e testimonia l’impossibilità di mandar via, almeno a livello di toponimo, le Arpie dal loro mitologico rifugio.