La Famiglia Ovitz: i Nani di Auschwitz sopravvissuti alle Torture del Dottor Mengele

La famiglia Ovitz arrivò ad Auschwitz nel Maggio del ’44. In totale erano dodici membri di un’ampia stirpe di origini romene, originaria della Transilvania, di cui sette affetti da nanismo. Il Dottor Morte, Josef Mengele, venne svegliato dagli ufficiali:

Al treno era arrivata una serie di prigionieri unici nel proprio genere

Mengele li interrogò a lungo e alla fine, commosso, esclamò:

Ho lavoro per i prossimi 20 anni

Sotto, il video racconto dell’articolo sul canale Youtube di Vanilla Magazine:

Sotto, gli Ovitz ad Auschwitz nel ’44.

Per gli Ovitz cominciò l’inferno, un calvario di sette mesi durante i quali i “nani di Auschwitz”, come furono soprannominati, vennero trattati, a confronto delle altre persone presenti al campo, in modo “quasi umano”. Mengele fece costruire per loro una baracca speciale, con catini per lavarsi e un bagno interno, in luogo delle latrine comuni. Potevano stare insieme invece che essere separati, ma soprattutto non finirono brutalmente assassinati durante gli esperimenti del Dottor Morte.

Quando gli veniva prelevato il sangue o il midollo, quando gli venivano infilati aghi o iniettate sostanze immonde nel corpo, gli veniva lasciato il tempo di riprendersi. Quando svenivano per il vomito, per il dolore o per il troppo sangue prelevato, Mengele li faceva rinvenire, senza portarli al punto di rischiare la vita ma concedendogli qualche secondo per riaversi.

Erano merce preziosa, sette persone affette da Pseudoacondroplasia, tutti consanguinei

Immagine via Wikipedia/Giusto uso

Oltre ai fratelli affetti da nanismo, anche gli altri Ovitz furono oggetto di esperimenti. In particolare, le torture peggiori furono forse per il più piccolo di loro, Shimshon, che aveva solo 18 mesi. Egli aveva genitori non affetti da Acondroplasia, ed era nato prematuro. Gli venne prelevato sangue dalle vene dietro le orecchie e dalle dita, e torturato in altri modi che nessuno può conoscere.

Lo scopo principale di Mengele era dimostrare la superiorità della razza ariana rispetto alle persone che giungevano al campo di sterminio. Quindi ebrei, zingari, slavi e persone affette da malattie genetiche come gli Ovitz, erano le cavie ideali per gli esperimenti dello pseudo-scienziato, che poteva fare dei prigionieri qualsiasi cosa avesse ritenuto necessaria alle proprie ricerche.

In ogni caso, prima o poi, sarebbero finiti ai forni

Per i dodici Ovitz il destino fu diverso. Mengele gli concesse addirittura di indossare abiti civili e non le uniformi di Auschwitz. Essi ebbero lenzuola e non furono costretti al lavoro. Alle altre persone del campo, probabilmente, gli Ovitz dovettero sembrare delle allucinazioni. Undici persone riuscirono a farsi ritenere consanguinei degli Ovitz, e gli venne concesso di abitare con loro.

Il nanismo degli Ovitz salvò altri 11 innocenti dalla morte

La storia degli Ovitz era iniziata molti anni prima in Romania, quando Shimson Eizik, il padre, ebbe 10 figli da due mogli diverse, due con la prima e otto con la seconda. L’uomo era affetto da acondroplasia, ed era di origini ebree. Morto il padre, rabbino itinerante, gli Ovitz misero su uno spettacolo ambulante dove cantavano e danzavano in giro per l’Europa, e riuscirono inizialmente a sfuggire alle leggi razziali perché, sui loro documenti, non erano riportate le origine ebraiche della famiglia.

I Nazisti riuscirono ad intercettarli nell’Ungheria occupata e, vista la particolarità della loro condizione, li spedirono immediatamente ad Auschwitz. Qui gli Ovitz conobbero l’inferno ma, miracolosamente, sopravvissero. L’unica a morire fu Arie, di altezza normale, e uno dei dieci fratelli, che rimase ucciso durante un tentativo di fuga.

Gli Ovitz ebbero in genere una vita lunga, dopo aver conosciuto il luogo ed il dottore più mortali della storia. I loro nomi sono:

  • Rozika (1886–1984), avuta dalla prima moglie Brana Fruchter: affetta da nanismo
  • Franzika (1889–1980), avuta dalla prima moglie Brana Fruchter: affetta da nanismo
  • Avram (1903–1972), avuto dalla seconda moglie Batia Bertha Husz: affetto da nanismo
  • Freida (1905–1975), avuta dalla seconda moglie Batia Bertha Husz: affetta da nanismo
  • Sarah (1907–1993), avuta dalla seconda moglie Batia Bertha Husz: altezza normale
  • Micki (1909–1972), avuto dalla seconda moglie Batia Bertha Husz): affetto da nanismo
  • Leah (1911-1987), avuta dalla seconda moglie Batia Bertha Husz: altezza normale
  • Elizabeth (1914–1992), avuta dalla seconda moglie Batia Bertha Husz: affetta da nanismo
  • Arie (1917–1944), avuta dalla seconda moglie Batia Bertha Husz: altezza normale
  • Piroska o “Perla” (1921–2001), avuta dalla seconda moglie Batia Bertha Husz: affetta da nanismo

Gli Ovitz non finirono uccisi nelle camera a gas, ma sopravvissero sino alla liberazione del campo da parte dell’Armata Rossa, il 7 Gennaio del 1945. Erano tra le 7 mila persone trovate ancora vive.

Accanto a loro avevano perso la vita oltre 1 milione e 100 mila persone

Una volta liberi iniziarono un viaggio di sette mesi a piedi verso la loro città natale, dove trovarono la propria casa distrutta. Da lì si mossero prima verso Sighet, in Romania, e poi in Belgio. Nel Maggio del ’49 emigrarono in Israele, dove ottennero un certo successo come artisti e si esibirono in grandi teatri. I figli dei due Ovitz affetti da nanismo non ereditarono la malattia, mentre le donne non ebbero discendenti. Nel 1955 si ritirarono dalle scene e comprarono un cinema.

Il racconto della vita degli Ovitz e delle torture che subirono nel campo di concentramento di Auschwitz si deve a Perla, l’ultimo membro della famiglia, che fu intervistata nel 1999.


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