La drammatica Spedizione Donner fra Cannibalismo e convenzioni Sociali

Verso la metà del XIX secolo gli Stati Uniti erano determinati a unire le due coste dell’oceano, l’Est e l’Ovest. Le mire statunitensi erano rivolte al Pacifico e non sarebbero bastate delle guerre per riunire le due sponde. Serviva un più ampio movimento colonizzatore. Servivano pionieri che attraversando le Grandi Pianure, il deserto e le Montagne Rocciose, sarebbero andati a far crescere le piccole comunità occidentali, rendendole basi di partenza funzionali all’imperialismo del nuovo gigante continentale, che con grande avidità ammirava le ricche coste asiatiche. Esplorazioni e studi cartografici ampliavano la conoscenza delle aree poco o per niente esplorate. Carte topografiche, opuscoli, notizie di cacciatori e mercanti circolavano col favore del governo, attivatosi in una specie di campagna promozionale delle fertili e miti coste occidentali (in California ancora non era stato scoperto l’oro). Gli uomini più audaci dovevano solo migrare e sperare nella buona sorte.

Un accampamento di emigranti composto di tende e carri coperti sul fiume Humboldt in Nevada, 1859:

Negli ultimi mesi del 1845, nella cittadina di Springfield, in Illinois, alcune famiglie, prime fra tutte i Donner e i Reed, si attivarono leggendo, informandosi e discutendo sulle nuove piste, sulle notizie di recente pubblicazione, sulle opportunità offerte dalla costa del Pacifico e sulle possibilità di affrontare un viaggio di quella portata. La casa dei Donner era divenuto un centro di discussione per queste famiglie.

Mappa del percorso fatto dalla Spedizione Donner: il tratto arancione mostra la scorciatoia Hastings che invece allungò il viaggio di 150 miglia (240 km). Immagine di Kmusser condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:

Il piano era raggiungere Independence nel Missouri per unirsi alla Oregon Trail, proseguire con essa fino a Fort Hall e da lì dirigersi a San Francisco. I tipici carri coperti col caratteristico tessuto biancastro vennero riempiti di tutto (viveri, tessuti, attrezzi, cianfrusaglie da scambiare con i nativi, libri e altri oggetti). I giorni che precedettero la partenza furono trascorsi tra i preparativi, i festeggiamenti e gli addii. Nell’aprile del 1846 la carovana lasciò la città.

James e Margaret Reed:

Independence era in fermento. I carri affollavano la zona, le persone mercanteggiavano, si rifornivano, scambiavano informazioni e aggiustavano i carri già in precarie condizioni. Un tripudio di socialità. I gruppi si aggregavano e disgregavano. Tutti sapevano che quella sarebbe stata solo una sosta momentanea, che molte delle persone conosciute in quel punto di raccolta, con cui si è condiviso un pasto, ci si è data una mano nelle riparazioni, con cui si sono fatti scambi e lunghi discorsi, non si sarebbero più incontrate. Da lì, con in mano una bibbia donata dagli evangelici della American Tract Society, impegnati nella diffusione del Verbo, iniziava il vero viaggio.

“Abbiamo dato un’ultima occhiata a Independence, voltato le spalle al sole del mattino e siamo davvero diventati pionieri del Far West”

(Eliza Donner, Expedition Of The Donner Party And Its Tragic Fate)

Il Passo Frémont, 2160 metri, fu ostruito dalla neve nei primi giorni di novembre del 1846. Oggi viene chiamato Passo Donner. L’immagine risale al decennio 1870-80:

I carri muovevano attraverso quella immensa distesa d’erba abitata dai bisonti che è la prateria americana. Si respirava un clima sereno, di ottimismo, gli schiamazzi dei bambini interrompevano la noiosa quiete, di tanto in tanto si canticchiava una canzone, mentre in lontananza si sentiva la presenza di altre carovane. Ci si fermava per far riposare il bestiame, approfittando della sosta per fare un pic-nic o consumare un pasto intorno a un fuoco. Si affrontavano furiose tempeste, i tuoni illuminavano le colline, spaventando coi loro fragori uomini e animali, mentre i nativi seguivano il convoglio stando a debita distanza, salvo poi avvicinarsi a scambiare del cibo con qualche oggetto, zucchero o tabacco.

A luglio si trovavano in prossimità del fiume Little Sandy. Quell’area rappresentava un bivio. I viaggiatori dovevano scegliere.

Non tutti volevano andare in California. Alcuni preferivano l’Oregon

Altri erano ancora incerti. I Donner erano risoluti. La California era la meta e per raggiungerla avrebbero percorso un’altra strada. A far loro prendere questa decisione fu la notizia che la California voleva impedire l’ingresso di nuovi migranti a causa della guerra col Messico e per questo si consigliava di prendere un’altra via recentemente esplorata da Hastings, che passava a sud del Grande Lago Salato. George Donner avrebbe guidato la compagnia a Fort Bridger, dove avrebbero incontrato Hastings, il quale si scoprirà non trovarsi più lì. Li aveva preceduti, lasciando istruzioni affinché i migranti seguissero la sua pista. Così si rimisero in marcia. Reed, mentre la carovana era ferma, aveva raggiunto Hastings, con cui concordò un percorso migliore di quello che stavano percorrendo. Erano nello Utah. Dovevano ancora affrontare un labirinto fra le montagne.

Tronconi di alberi tagliati al campo del torrente Alder dai membri della Spedizione Donner, foto scattata nel 1866. L’altezza dei tronconi rivela il livello raggiunto dall’accumulo di neve:

Intanto le provviste scarseggiavano, per cui venne deciso di inviare Stanton e McCutchen al Forte del Capitano Sutter in cerca di aiuto. Superate alcune fertili vallate era arrivato il momento di affrontare il deserto. A terra trovarono una lettera di Hastings, che indicava un viaggio di due giorni. Allo scadere di questo lasso di tempo, però, ancora non si vedeva la fine di quell’arida distesa di sabbia. Si camminava a oltranza sotto il sole cocente, senza acqua e con gli animali stremati, mentre i miraggi infierivano sui loro deboli spiriti. Tornare indietro era impossibile. Ben presto dal clima caldo si passò alla neve e al freddo. Il deserto venne lasciato alle spalle insieme a molti carri e buoi. Ma nelle valli e nelle colline che si apprestavano a percorrere avrebbero potuto finalmente riprendersi. La carovana ogni tanto si divideva e diversi uomini non riuscirono a sopravvivere. A ottobre, in Nevada, incontrarono Stanton, tornato da Fort Sutter con delle provviste. Non restava che attraversare le Sierras. La California era lì, a portata di mano.

Vista del lago Truckee dal Passo Donner; foto scattata nel 1868 durante la costruzione della Central Pacific Railroad:

A fine ottobre si trovavano nei pressi del lago Truckee (in seguito ribattezzato propio lago Donner). La neve bloccava ogni passo, cancellava ogni sentiero. Si dovettero fermare per decidere la prossima mossa. Alcuni si erano appostati al lago, altri si trovavano poco distanti. Proseguire sarebbe stato troppo pericoloso. Bisognava restare lì e attendere condizioni migliori, cercando di resistere al gelo invernale. Per questo vennero allestite delle capanne, fatte con tronchi d’albero e coperti con pelli di bufalo e altri tessuti.

“Tutto dentro era freddo, umido e tetro, finché la nostra stanca madre e le nostre sorelle maggiori non accesero il fuoco, prepararono la nostra cena e ci mandarono a letto, ciascuna con una zolletta di zucchero come conforto”

(Eliza Donner)

Disegno basato sulle descrizioni di William Graves:

La neve cadeva senza sosta. Erano tutti preoccupati, si sentivano impotenti. La priorità di tenere acceso il fuoco scacciava un po’ la noia, ma la monotonia quotidiana che si profilava all’orizzonte, unita all’inattività, spegneva gli animi, sopiva la determinazione di quei cuori impavidi, che con grande zelo circa sei mesi prima erano partiti alla volta di terre più promettenti. Le provviste scarseggiavano. Lo sconforto indeboliva la psiche dei già spossati e affaticati coloni, che tendevano sempre più a perdere la speranza e arrendersi al pensiero di essere ormai perduti.

Emigration Canyon, percorso di Hastings. Fotografia di pubblico dominio via Wikipedia:

Alcuni attendevano solo la morte, altri cercavano di tenere i bambini fuori da questo stato di afflizione. Il bestiame non se la passava meglio, anzi diversi capi morirono mentre cercavano disperatamente riparo dal freddo fra i cespugli. Altri vennero soppressi per consentire agli uomini di sopravvivere. Non si buttava via nulla. Tutto poteva essere utile. Si mangiavano persino i topi che si insinuavano nelle capanne. Ma in quella situazione non si sarebbe potuto resistere a lungo. A dicembre ci furono le prime vittime.

Mappa della zona del Lago Truckee e del torrente Alder, dove la spedizione si accampò per l’inverno:

Solo un momento felice è impresso nella mia mente. Doveva essere stato dopo la prima tempesta, perché il cumulo di neve davanti alla porta della capanna non era abbastanza alto da tenere fuori un piccolo raggio di sole che scendeva furtivamente i gradini e creava un punto luminoso sul nostro pavimento. L’ho visto e mi sono seduta sotto, l’ho tenuto in grembo, ho passato la mano su e giù nella sua luminosità e ho scoperto che potevo spezzare il suo raggio in due. In effetti, ci siamo divertiti un mondo. Immaginavo che si muovesse quando lo facevo, perché mi scaldava la sommità della testa, baciava prima una guancia e poi l’altra, e sembrava correre su e giù per il mio braccio. Alla fine, ne presi un pezzo nel grembiule e corsi da mia madre. Grande è stata la mia sorpresa quando ho aperto con cura le pieghe e ho scoperto che non avevo nulla da mostrare, e il raggio di sole che avevo lasciato sembrava più corto. Dopo che la mamma mi ha spiegato la sua natura, l’ho guardata risalire lentamente i gradini e scomparire

(Eliza Donner)

Il fiume Truckee nel periodo invernale. Fotografia di Bruce C. Cooper (DigitalImageServices.com) condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:

Ci si attaccava alle piccole cose, ai brevi e felici momenti. Alcuni decisero di partire e cercare aiuto, pur consapevoli delle esigue probabilità di successo, guidati da Stanton e William Eddy. Tutti ai campi rimanevano in un’opprimente attesa. Ci si arrampicava sugli alberi scrutando il terreno con l’avidità di un falco in cerca di una preda, sperando di vedere qualche movimento o qualche traccia in lontananza. Il cibo era finito. Il bestiame morto era ormai sepolto dalla neve e introvabile, ma i cadaveri dei compagni deceduti no. Sapevano dove erano stati sepolti. Fu arduo non approfittarne. Quei pensieri si insinuavano nelle teste di alcuni coloni, trattenuti dai vincoli sociali che ancora tenevano legato il loro istinto di sopravvivenza.

Jean Baptiste Trudeau, raffigurato qui da adulto, che diede resoconti contrastanti sul cannibalismo ad Alder Creek:

A fine febbraio i soccorsi arrivarono. William Eddy era riuscito a chiedere aiuto. La prima squadra che arrivò al campo trovò una situazione davvero disperata. Le pelli marcivano, la neve copriva le baracche, i morti giacevano senza sepoltura e i sopravvissuti erano ormai degli spettri deliranti in un ambiente oscuro e asfissiante. Urlavano all’improvviso e immaginavano di essere in qualche festa a godersi abbondanti banchetti. I soccorritori consegnarono poche razioni di cibo. Non dovevano lasciare che si abbuffassero altrimenti sarebbero morti. Non restava che decidere chi sarebbe dovuto rimanere e chi tornare coi soccorsi alla civiltà.

La Collina Donner, all’imbocco dell’Emigration Canyon, era l’ultimo ostacolo nella Wasatch Range. Fotografia di pubblico dominio via Wikipedia:

Non tutti erano nelle condizioni di spostarsi. George Donner si era gravemente ferito tempo prima e la ferita si era infettata. Sua moglie decise di restargli accanto. Una ventina di persone lasciarono il campo e non tutte arrivarono a destinazione. Successivamente arrivarono altre spedizioni che portarono in salvo i superstiti, alcuni dei quali ricorsero anche al cannibalismo pur di sopravvivere. I coniugi Donner perirono (la moglie, Tamsen, rifiutò di lasciare solo il marito), lasciando orfani i propri figli. Circa la metà delle persone entrate nella Sierra del Nevada si salvò.

In tutto erano nemmeno cinquanta persone

La 28ª pagina del diario di Patrick Breen, dove sono registrate le sue osservazioni relative alla fine di febbraio 1847, tra cui «La signora Murphy ieri ha detto che pensava di iniziare con Milt e mangiarlo. Non so se l’abbia già fatto, è angosciante.»:

E così la costa del Pacifico si popolava. Le famiglie lasciavano per sempre le loro proprietà a est, vendendole o spartendole tra i parenti più prossimi, cercando fortuna dalla parte opposta, cercando terreni da coltivare e un clima migliore. Dovevano essere gli agenti del Destino Manifesto. Diffondere i valori americani, la democrazia e la libertà prima di tutto. Dovevano colonizzare e civilizzare il continente. L’età della corsa all’oro era alle porte e una nuova ondata migratoria si preparava a muovere i primi passi sulle orme di quegli avventurieri che aprirono una miriade di vie percorribili verso il tanto agognato West, soprattutto a discapito delle popolazioni native, che si videro investite da questo inarrestabile torrente umano. Il campo della spedizione Donner divenne presto meta turistica. Un monito e un ricordo per coloro che dopo di loro attraversarono il continente sospinti dalle più varie motivazioni. Il ricordo di un gruppo di persone comuni, delle avversità che hanno affrontato e del prezzo che hanno dovuto pagare per raggiungere quei porti lontani.

Fonti: Guttenberg 1, Guttemberg 2.

Alessandro Licheri

Studente di Storia, natio dell'isola più bella del mondo viaggio da un libro all'altro, traversando cronache e romanzi, dedicandomi particolarmente alla storia delle esplorazioni e spaziando sugli innumerevoli campi che questa lambisce, cercando di ripercorrere attraverso racconti d'ogni epoca quei sentieri avventurosi tracciati dall'audacia degli uomini.