La difficile modernizzazione della Roma Pontificia

Negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia, la fisionomia di Roma, che si era mantenuta pressoché inalterata per secoli, subì quella pressione verso il cambiamento e la modernità denunciata da D’Annunzio in un successivo romanzo (La vergine delle Rocce) come l’opera brutale che doveva occupare i luoghi “per tanta età sacri alla bellezza e al sogno”.

Antica strada romana al Palatino

Immagine di Vitold Muratov via Wikipedia – licenza CC BY-SA 3.0

In effetti, al di là dello spirito critico del poeta, rivolto verso i capisaldi ideologici del neocostituito stato unitario, era pur vero che a Roma si andava imponendo un’espansione e un riordino urbanistico che rischiavano di compromettere quel fascino artistico da sempre esercitato sui visitatori.

Basilica di San Pietro e Castel Sant’Angelo – Opera di Rudolf Wiegmann, 1834

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Roma, prima di divenire capitale d’Italia, appariva come una città di limitate dimensioni rispetto ad altre grandi città europee e anche italiane, con un numero di abitanti pari ad esempio ad un terzo dei residenti di Napoli. Anche all’interno del recinto delle mura aureliane vaste aree risultavano poco abitate e dedicate ad attività agricole, in genere vigne ed orti.

Mura Aureliane e piramide Cestia in una foto del 1932

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La popolazione viveva per lo più ammassata in pochi rioni nell’ansa del Tevere, attorno alle numerose chiese e ai palazzi nobiliari, in condizioni spesso di arretratezza e scarsa igiene. La campagna che circondava la città appariva semideserta, priva di servizi per la popolazione e malsana a causa delle numerose paludi.

Villa Ludovisi – Acquerello di Ettore Roesler Franz, 1880 circa

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La città costituiva un punto di riferimento per le emergenze legate soprattutto alle febbri malariche della popolazione sparsa nel territorio circostante, che si perdeva in un agro povero e quasi disabitato.

Questo isolamento giovò alla riflessione strategico-militare del regno sabaudo, che ebbe la possibilità di ideare una rete strutturale difensiva composta soprattutto dai numerosi forti che sul finire dell’800 vennero poi costruiti, per controllare maggiormente la capitale.

Ma l’immagine preconcetta, eredità della propaganda risorgimentale, di una vita cittadina stagnante, del tutto soggiogata da un autoritarismo teocratico che ne precludeva ogni aspirazione al progresso, inchiodandola ad un immobilismo agonizzante, non costituisce a ben vedere una descrizione fedele della realtà della città eterna, in quegli anni che precedettero il fatidico settembre 1870, noto per la breccia di Porta Pia.

Le Mura Aureliane abbattute accanto a Porta Pia – 1870

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Tentativi di sviluppo industriale e rilancio della città in chiave moderna si ebbero anche prima. A cura del governo pontificio, nel 1863 venne realizzato il Ponte dell’Industria (o Ponte di Ferro), che al momento della costruzione era il ponte levatoio ad un solo pezzo più grande d’Europa, realizzato con materiali importati da Newcastle, la città inglese all’avanguardia in quel periodo per la produzione dell’acciaio. Il ponte avrebbe consentito alla ferrovia proveniente dal porto di Civitavecchia di raggiungere direttamente la stazione Termini, e alzandosi avrebbe assecondato il traffico merci per via fluviale. Un’infrastruttura concepita come snodo di una rete viaria che avrebbe incentivato una serie di attività commerciali lungo il fiume e consentito il trasporto di manufatti industriali.

Il Ponte dell’Industria – data sconosciuta

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Una particolarità delle fabbriche romane dell’epoca era il collegamento con l’attività educativa di alcuni istituti, organizzati come moderne scuole professionali in grado di avviare i giovani al lavoro.

Ad una manciata di giorni prima dell’arrivo dei piemontesi, al 12 settembre, risale invece l’inaugurazione del sistema di canalizzazione e distribuzione delle acque, sul tracciato degli antichi acquedotti, ad opera della società Water Company con sede a Londra e capitale di maggioranza inglese.

Per quanto riguarda le opere idrauliche è da ascrivere anche un tentativo di dissodamento delle numerose terre stagnanti. Negli archivi della Camera apostolica, l’ente amministrativo più importante dello Stato pontificio, sono numerosi i richiami alle competenze e alle attività legate alle opere di bonifica, seppur mai giunte ad un recupero completo di interi territori come avvenne in seguito. E’ però da notare che anche la bonifica delle terre paludose non è un’esclusiva conquista di alcune fasi storiche successive, come talvolta in modo tendenzioso si è portati a credere.

Tivoli – Ponte Lupo – Acquerello di Ettore Roesler Franz, 1898

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E’ ad ogni modo innegabile che la politica intransigente adottata per respingere le idee liberali e illuministiche frenò lo sviluppo tecnologico, percepito come una minaccia per la tradizione e l’ordine sociale. In questo senso fu emblematica la politica adottata da Papa Gregorio XVI che arrivò a ritardare l’introduzione dell’illuminazione a gas, che a suo dire rischiava di sovvertire la naturale alternanza del giorno e della notte.

Vecchio Acquedotto a Roma – Acquerello di Ettore Roesler Franz, 1897

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Altro approcciò alla modernità, almeno inizialmente, si ebbe col pontificato di Pio IX. Era il 14 marzo 1848 quando nella basilica di Santa Maria Maggiore venne emanato lo Statuto fondamentale pel Governo temporale degli Stati di Santa Chiesa, che introdusse elementi di democrazia, al pari di quanto avvenne simultaneamente in altri paesi.

Gli eventi che poi in quell’anno e nell’anno successivo ebbero luogo, con gli sconvolgimenti che portarono all’esperienza della Repubblica Romana, mutarono le posizioni e gli equilibri. Il servizio di illuminazione pubblica con gli impianti a gas di cui il nuovo papa aveva da subito autorizzato l’installazione si diffuse a quindi a partire dal 1854.

La città era in lenta trasformazione e non avulsa dai cambiamenti epocali verso il progresso che caratterizzarono l’industrializzazione di quel periodo, pur convivendo con antiche usanze e sottomessa a quella forte impronta della tradizione legata alla plurisecolare presenza del ceto nobiliare e delle istituzioni ecclesiastiche.

Via dell’Arco di San Marco – Acquerello di Ettore Roesler Franz

Immagine di Finarts via Wikipedia – licenza CC BY-SA 4.0

Se il popolo nella Roma papalina si sosteneva su di un equilibrio ai limiti della sopravvivenza, gli storici cambiamenti che avvennero con l’Unità d’Italia ne peggiorarono spesso la condizione. Il mutamento della geografia cittadina, l’avvento di una nuova categoria di immigrati e di ricchi speculatori determinarono l’estromissione dagli storici quartieri dei vecchi abitanti e la conseguente scomparsa di antichi mestieri.

Re Vittorio Emanuele II visita Roma il 31 dicembre 1870 -Acquerello di Ettore Roesler Franz

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L’aggravio fiscale del nuovo Stato fece il resto, e il numero dei poveri aumentò sensibilmente. Le istituzioni religiose ormai in crisi non furono inoltre più in grado di provvedervi.

Ne risentì anche la tradizionale cura dei beni artistici e architettonici, in un territorio costellato di antiche rovine, prestigiose ville e meraviglie di ogni epoca, che caddero preda della logica della lottizzazione in una città che mutava volto, ambiva a divenire una capitale europea, avviandosi ad un cambiamento senz’altro epocale ma non privo di traumi.

BIBLIOGRAFIA:

“Le Vergini delle Rocce” G. D’Annunzio

“Luce e gas: una storia che comincia a Torino” E. Penati, Torino Aeda 1972

www.storiadellachiesa.it

“Roma dalla città alla metropoli” S, Babonaux, Roma editori riuniti 1983

“Roma italiana, come fare una capitale e disfare una città” M. Brindelli, Roma Savelli 1978


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