La cruenta Rivolta di Sobibór costrinse le SS a distruggere il campo

Auschwitz, Treblinka, Dachau: tutti conosciamo questi nomi, che ci portano alla mente delle immagini terribili. Sappiamo anche la differenza tra un campo di sterminio e uno di lavoro e conosciamo l’organizzazione meticolosa che li contraddistingueva. Quello che non tutti sanno, è che esisteva un altro campo di sterminio in Polonia, dove le guardie erano ancora più sadiche e spietate. Mentre però degli altri campi abbiamo i resti delle baracche, delle camere a gas e degli alloggi delle guardie, di Sobibór non abbiamo niente, tranne la stazione ferroviaria.

Sobibor è uno dei sei centri di sterminio, secondo la nomenclatura adottata dallo storico Raul Hilberg:

Costruito nel marzo del 1942, il campo di Sobibór si trovava vicino il villaggio omonimo, ora nel Voivodato di Lublino, all’epoca nella Polonia occupata dai nazisti. Il campo di Sobibór, a differenza di altri, fu costruito come campo di sterminio, coordinato dall’operazione Reinhard, ideata da Reinhard Heydrich, governatore del protettorato di Boemia e Moravia, per accelerare e agevolare lo sterminio di ebrei e zingari. Vista anche la vicinanza al fronte russo, e il conflitto ideologico tra nazisti e comunisti, finirono nel campo anche tanti ufficiali dell’Armata Rossa. A dirigere i lavori di costruzione fu incaricato l’Hauptsturmführer Richard Thomalia, capitano delle SS, mentre la manovalanza venne fornita dal campo di concentramento di Trawniki. Tutti i prigionieri che costruirono il campo, ebrei e ucraini, vennero fucilati quando il campo fu completato.

Mappa dei campi del distretto di Lublino. Sobibor è a destra del centro. Immagine di XrysD via Wikipedia CC BY-SA 4.0:

A differenza di Auschwitz e altri campi più famosi, Sobibór era di dimensioni ridotte, con pochi prigionieri, una trentina di ufficiali delle SS, selezionati accuratamente tra chi aveva prestato servizio durante l’Aktion T4, l’operazione di eutanasia attivata su malati psichici e disabili, quindi tutti esperti di eutanasia. Anche il capitano del campo, che sostituì Thomalia, era un esperto dell’Aktion T4, ovvero l’austriaco Franz Stange, il quale, premiato per il suo buon lavoro, venne poi mandato a Treblinka, e sostituito dal compatriota Franz Reichleitner, con cui aveva lavorato ad Hartheim. Il lavoro di Reichleitner era così preciso e meticoloso che nessun convoglio restava in sospeso per il giorno dopo. Il campo, come già detto, era di dimensioni molto ridotte, circondato da filo spinato alto tre metri, cinquanta metri di terreno minato in ogni direzione, e alti alberi che nascondevano il capo da occhi indiscreti.

Ripresa aerea del campo di Sobibór, fotografia scattata probabilmente durante il periodo di costruzione del lager. Alcune strutture, come le baracche del Campo II ed il Campo III, non sono ancora state costruite. La linea rossa indica la piattaforma ferroviaria e la croce la posizione delle camere a gas. Il quadratino rosso, invece, indica la zona dove i detenuti erano costretti a denudarsi:

All’interno era suddiviso in tre parti principali: il primo campo comprendeva gli alloggi e la zona amministrativa delle SS, oltre i binari dove arrivavano i convogli; il secondo campo era la zona di “accoglienza”, dove gli ebrei venivano divisi per sesso, consegnavano i propri bagagli, si spogliavano e consegnavano i vestiti, e alle donne venivano tagliati i capelli. I prigionieri poi venivano condotti di corsa alle camere a gas, superando altri edifici come delle stalle e una cappella. Tutto questo avveniva mentre un’orchestra composta da altri prigionieri suonava incessantemente. Nel terzo campo avveniva lo sterminio. Era qui che si trovavano le camere a gas, le fosse comuni e gli alloggi dei prigionieri. La zona di accoglienza e il terzo campo erano collegati da un corridoio, chiamato Schlauch, cioè il tubo in tedesco, circondato dal filo spinato.

Guardiani davanti al Lager III. Il tetto della camera a gas è visibile sullo sfondo:

Una giornata tipo a Sobibór era strutturata in modo rigidissimo: quando il convoglio arrivava al campo venivano subito divisi gli uomini dalle donne e i bambini, e scelte persone con alte capacità manifatturiere. Chi veniva scelto andava a lavorare nel campo, gli altri venivano condotti attraverso il tubo, dicendo che sarebbero stati lì soltanto di passaggio, e che sarebbero stati disinfestati con la doccia; quindi, toglievano i vestiti e alle donne venivano tagliati i capelli, e poi, a passo di corsa, portati nelle camere a gas.

Mappa del campo di sterminio di Sobibór:

Il gas impiegava circa trenta minuti ad uccidere tutte le vittime, dopodiché i prigionieri del campo trasportavano i cadaveri nelle fosse comuni e dei gruppi speciali di prigionieri, chiamati Sonderkommando, bruciavano i corpi. Questo gruppo di prigionieri era quello che veniva “rinnovato” più frequentemente. C’era poi un gruppo di prigionieri, chiamati “dentisti”, incaricati di estrarre i denti d’oro dai cadaveri.

L’ingresso a Erbhof nel Lager II:

Un altro gruppo di prigionieri nelle baracche era incaricato di dividere i vestiti dismessi dalle vittime e cercare i beni delle persone cuciti nei vestiti per permettere agli ufficiali delle SS di impossessarsene. Le persone anziane e gli ammalati, con la promessa di ricevere cure mediche, venivano trasportati con dei carretti alle fosse comuni, dove venivano fucilati. Le camere a gas erano tre, con una capienza di circa centosettanta persone. Data l’efficienza del campo e il costante aumento delle “scartoffie”, come gli ufficiali nazisti consideravano le persone che arrivavano, dopo pochi mesi dall’apertura del campo dovettero essere sostituite, ampliando così la capienza fino a milletrecento persone totali che potevano essere stipate nelle camere a gas. Grazie anche all’efficienza degli altri campi, già nel 1943 i trasporti di ebrei verso Sobibór diminuirono, così cominciarono i trasporti dei prigionieri dal fronte russo.

Il cancello principale come appariva nel marzo 1943. Il recinto era ricoperto di paglia con rami di pino per bloccare la vista all’interno:

Il 23 settembre, in un convoglio di circa duemila persone, arrivò al campo l’ufficiale dell’Armata Rossa Aleksandr Aronovič Pečërskij, e nella sua figura autoritaria e di stratega militare un gruppo di prigionieri, esausti della vita al campo e incoraggiati dall’insurrezione di Treblinka avvenuta pochi mesi prima, videro in lui un leader perfetto per tentare la fuga. Osservando gli orari e i movimenti delle guardie, i giorni scelti per la fuga furono il 13 e il 14 ottobre, giorni in cui il comandante del campo, Franz Reichleitner, e altri ufficiali, come Gustav Wagner, erano lontani.

Alcuni ufficiali delle SS intrattiene con un doganiere sulla terrazza del Merry Flea. I bicchieri di alta qualità sono probabilmente rubati alle vittime delle camere a gas. (Da sinistra a destra: Daschel, Reichleitner, Niemann, Schulze, Bauer, due donne sconosciute e il doganiere:

L’Oberscharführer Karl Frenzel, forse l’uomo più violento del campo, sarebbe stato attirato nella falegnameria, e lì accoltellato a morte. Uno dei soldati sovietici avrebbe poi indossato la sua divisa. Questo era previsto per le 16:00, in modo che un’ora dopo, alle 17:00, i prigionieri potessero presentarsi all’Appelplatz senza problemi, e da lì, scortati dai soldati sovietici vestiti da SS, uscire dall’ingresso principale, l’unico libero dalle mine, e così spiegare al resto dei prigionieri il piano.

Per ovvie ragioni di sicurezza, infatti, solo un numero ristretto di prigionieri era a conoscenza del piano

Leon Feldhendler, co-organizzatore della rivolta di Sobibor, in una foto nel 1933:

L’unico problema era non destare sospetti nelle guardie ucraine, perché i prigionieri non potevano prevederne la reazione. Se l’uscita dall’ingresso principale non fosse stata possibile, i prigionieri avrebbero lanciato dei sassi oltre il filo spinato per aprirsi un varco tra le mine, mentre i sovietici tagliavano il filo spinato. La foresta lì vicino gli avrebbe offerto protezione nelle prime ore di oscurità. Purtroppo, il 13 ottobre l’arrivo di un inaspettato gruppo di SS al campo fece slittare l’intera macchinazione dei ribelli. Il giorno seguente, però, il piano venne messo in azione. Gli ufficiali delle SS e le guardie ucraine vennero attratti separatamente in luoghi isolati, e lì poi brutalmente uccisi. Il metodo preferito per finire i carnefici fu l’ascia, per la sua precisione e silenziosità in azione. Anche i ragazzi molto giovani presero parte attiva in questa insurrezione, come i diciassettenni Yehuda Lerner e Arkadij Waispapir, che uccisero il comandante degli ucraini Siegfried Graetschus e la guardia ucraina Rai Klatt con delle accette.

Alexander Pechersky, il principale organizzatore della rivolta:

Quando Frenzel non si presentò al punto di incontro, l’Unterscharführer Walter Ryba incontrò un prigioniero insorto che, preso dal panico, lo pugnalò a morte. Siccome questo cadavere inaspettato avrebbe potuto mandare a monte il piano, Pečërskij decise di suonare il segnale per il raduno all’Appelplatz dieci minuti prima del tempo stabilito, gettando nello scompiglio gli insorti. Quando i prigionieri si presentarono per l’appello, visibilmente irritati, Frenzel, responsabile dell’appello, non era presente, così una guardia ucraina cercò di mettere ordine tra le fila, con il risultato di finire ammazzato. Quando l’Oberscharführer Erich Bauer arrivò al campo, trovò il cadavere di una guardia tra i prigionieri, ai quali cominciò a sparare con la sua pistola.

I prigionieri cominciarono così a fuggire in modo disordinato, le guardie ucraine cominciarono a sparare dalle torri di vedetta e Frenzel, sfuggito agli agguati, cominciò a sparare con una mitragliatrice. Un gruppo di sessanta prigionieri fu fermato dalle guardie, mentre si recava all’Appelplatz, a causa degli spari, per poi essere fucilati tutti durante la notte. Gli insorti, presi alla sprovvista dalla pioggia di proiettili, tentarono fughe disperate, ma molti rimasero impigliati nel filo spinato e calpestarono delle mine, aprendo però il passaggio ad altri duecento prigionieri che riuscirono a scappare.

Ritratto di sopravvissuti della rivolta di Sobibór con Leon Feldhendler in alto a destra e Aleksandr Aronovič Pečerskij terzo da sinistra:

Altri centocinquanta rimasero nel campo, finendo tutti fucilati. In poche ore, dodici delle ventinove guardie SS erano state uccise, insieme a molte guardie ucraine. Le guardie SS che sopravvissero non erano presenti nel campo al momento dell’insurrezione. Fu solo verso le 20:00 che Frenzel e Bauer riuscirono a ripristinare i contatti telefonici, tagliati dai prigionieri ore prima. Una volta chiamati i soccorsi, circa cinquecento uomini si misero alla ricerca dei fuggitivi, di cui riuscirono a riprendere e uccidere un centinaio. I sopravvissuti si unirono poi ai partigiani. Le SS uccise durante l’insurrezione vennero sepolte nel cimitero della vicina Chelm con tutti gli onori militari. Ovviamente, le alte sfere delle SS non potevano permettere che Sobibór, un campo famoso per la sua efficienza e sicurezza, messo a ferro e fuoco da prigionieri ebrei e sovietici che riuscirono a evadere, macchiasse il loro operato. Il campo venne così raso al suolo, vennero piantati degli alberi e camuffato da fattoria, dove viveva una guardia ucraina, che si spacciava per contadino.

Alla fine della guerra, quarantasette degli evasi da Sobibór erano ancora vivi, tra i quali alcuni che erano riusciti a fuggire alcuni mesi prima dell’insurrezione. A metà degli anni ’60, quindi diversi anni dopo il ben più famoso processo di Norimberga, ci fu uno dei tanti processi contro le guardie di Sobibór, presso il tribunale di Hagen, preceduto dai processi di Berlino e Francoforte negli anni ’50, e succeduto da altri processi che si tennero fino agli anni ’80. La stazione ferroviaria di Sobibór rimase attiva fino al 1999.

Il 14 ottobre 2013, settanta anni dopo la rivolta, sopravvissuti, parenti, politici, giovani e rappresentanti del clero si riunirono a Sobibór per commemorare le vittime del campo e ricordare il gesto di chi era riuscito a scappare.

Il 18 settembre 2014, gli archeologi inviati dallo Yad Vashem, l’ente ebraico internazionale che si occupa di raccogliere ricordi e testimonianze dei sopravvissuti dell’Olocausto, hanno trovato le tracce delle camere a gas e dunque sono stati in grado di collocarle in un punto preciso del campo; ciò è stato possibile grazie al ritrovamento di vari oggetti personali, che aiutano anche a dare una stima più precisa di quante persone abbiano trovato lì la morte. Nei campi di concentramento, infatti, quando le vittime venivano fatte entrare nelle camere a gas non importava la capienza della stanza:

Il medico che seguiva le operazioni compilava un solo certificato di morte

L’Holocaust Memorial di Washington, il più grande museo sulla Shoah degli Stati Uniti, ha annunciato nel gennaio 2020 di essere in possesso di una collezione di fotografie che aiutano a capire com’era strutturato il campo di Sobibór, forse il campo di concentramento nazista del quale si sa di meno di tutti. Queste fotografie appartenevano a un ex ufficiale del campo, Johann Niemann, e sono state donate al museo dai suoi discendenti. Grazie a queste immagini, è possibile vedere com’erano le zone della morte, dove persero la vita circa centosessantasettemila persone.

Scavi archeologici nell’area dell’ex rampa (2014). Fotografia di Julian Nyča via Wikipedia CC BY-SA 4.0:

La storia del campo di Sobibór è un agghiacciante resoconto della lucida crudeltà delle SS nei confronti dei prigionieri, ma è anche forse l’esempio più esplicativo di quanto la disperazione superi la rassegnazione, la voglia di libertà sia più grande dell’idea della morte certa decisa da altri, un episodio che i nazisti hanno cercato di insabbiare con molta più cura degli altri campi all’arrivo degli Alleati, per nascondere la vergogna di non aver saputo controllare una rivolta di prigionieri, perlopiù ebrei e sovietici.

Il campo come si presenta oggi. Fotografia di Jacques Lahitte via Wikipedia:

Roberta Zuccarello

Laureata doppiamente in Lingue e Letterature straniere, in realtà ho studiato lingue più che altro per no dover dipendere dagli altri quando viaggio. Anche se ogni tanto dei topi e dei paperi mi vogliono a lavorare con loro, sto cercando ancora (di capire soprattutto) qual è il lavoro dei miei sogni. Affronto la vita con la saggezza siciliana, l'organizzazione mentale tedesca, la spericolatezza di una rockstar e l'eleganza di una ballerina classica. O almeno, ci provo.