La Contessa Evelina Pisani e la sua “Vescovana”

Questa storia narra di un’altra contessa veneziana d’adozione, ma non potrebbe essere più diversa da Annina Morosini. Bella lo era anche lei, anche se non di una bellezza sfolgorante, ma il grande amore della sua vita non furono i ricevimenti, ma la sua terra e il suo giardino.

Evelyn van Millingen era nata a Costantinopoli il 4 aprile 1831. Era figlia di Julius van Millingen, medico di origine anglo-olandese e di Marie Dejean, di origine greco-francese cresciuta a Costantinopoli e vicina alla corte ottomana.

Evelyn van Millingen:

Il padre era medico dell’esercito greco e, fatto prigioniero dagli ottomani, divenne medico di corte del sultano Mahmud II e successori. Era stato anche il medico di Lord Byron e probabilmente fu corresponsabile, insieme ad un collega, della morte del poeta con salassi e cure sbagliate nel 1824.

I genitori di Evelyn si sposarono nel 1830, Marie era solo quindicenne, e nonostante la nascita di 3 figli si separarono, non riuscendo a conciliare l’educazione e le abitudini europee di lui con quelle levantine di lei. Marie portò i figli a Roma per studiare ed essere educati dalla nonna paterna inglese, proseguendo poi per Parigi dove conobbe Mehmed Emin Pascià, Gran Visir del sultano. Con lui si convertì all’Islam, cambiò il nome in Melek Hanum e lo sposò.

Evelyn van Millingen:

Evelyn studiò al Convento del Sacro Cuore a Roma come ragazza della buona società inglese, frequentando l’aristocrazia e l’alta borghesia romana. Rientrò a Costantinopoli finiti gli studi, e nel 1852 andò a Venezia con un’amica in viaggio di piacere. Qui, a un concerto alla Fenice, vestita in stile orientale e ammiratissima, incuriosì tutti ed entrò in contatto con i tanti statunitensi  che all’epoca si erano stabiliti a Venezia. Da quel giorno piovvero inviti a feste e cene, durante una delle quali conobbe il conte Almorò Pisani.

Almorò Pisani:

Almorò aveva 15 anni più di lei, era nato nel 1815, non era un tipo brillante o particolarmente attraente, timido e riservato. Era l’ultimo Pisani del ramo di Santo Stefano, il più nobile e un tempo ricco, iscritto fin dal X secolo nel Libro d’Oro dei patrizi veneziani. Suo nonno Alvise, 114° doge di Venezia, aveva fatto costruire la famosa Villa Pisani di Stra sulla riviera del Brenta, quasi una reggia più che una residenza di vacanza, che fra costruzione e mantenimento, insieme al vizio del gioco comune in famiglia, aveva riempito di debiti i Pisani. Con la caduta della Repubblica di Venezia nel 1797, l’arrivo degli austriaci, poi Napoleone, poi di nuovo gli austriaci, i fasti e la ricchezza di un tempo erano ormai uno sbiadito ricordo del passato.

La villa di Stra fu venduta a Napoleone nel 1807 e risollevò temporaneamente le finanze dei Pisani, ma l’unica fonte di reddito restava la terra della bassa padovana, vicina ai Colli Euganei, con la villa detta la Vescovana.

La facciata principale della Villa Pisani, Stra. Fotografia di Didier Descouens condivisa con licenza Creative Commons 4.0 via Wikipedia:

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La Vescovana era una villa di campagna fatta costruire a metà del ‘500 su una rocca medievale estense dal cardinale Francesco Pisani, Vescovo di Padova, per amministrare l’enorme tenuta di 1200 ettari della famiglia. La villa centrale a tre piani con affreschi di Paolo Veronese, Giambattista Zelotti e Dario Varotari nel piano nobile, contornata dalle Barchesse porticate, non aveva lo splendore della Villa di Stra, ma era comunque una bellissima residenza con 6 ettari di giardino e alberi da frutta, fiori e fontane. Nel parco c’erano anche la ghiacciaia, la colombaia e un piccolo teatro.

Evelyn e Almorò si innamorarono, e rimasero innamorati per tutta la vita. Neppure Evelina, come ora veniva chiamata, era una festaiola, era un tipo tranquillo, riservato, amava più gli incontri intellettuali che quelli di mondo.

Si sposarono nel 1852 a Santa Maria del Giglio, con Evelina magnifica vestita nel suo abito orientale. Vivevano fra Palazzo Barbaro a Venezia e la Vescovana, che divenne l’anno seguente la loro residenza stabile.

Evelyn van Millingen:

Entrambi si ”rimboccarono le maniche” per ridare splendore alla villa ormai in completo abbandono e usata come magazzino agricolo, gli affreschi rovinati dall’umidità e dall’incuria, svuotata di tutti gli arredi e dove i primi tempi poterono abitare solo il piano terra, ma prima di tutto era essenziale dare nuova vita alla tenuta che non rendeva più come un tempo a causa della carente amministrazione e alla scarsità di bestiame rimasto, indispensabile allora per coltivare la terra, ed era l’unica fonte di reddito.

Ogni giorno Evelina controllava personalmente il bestiame, ogni capo aveva un nome, e girava per la tenuta in calesse per controllare le colture.

La Contessa si occupò anche di migliorare le condizioni di vita dei contadini per incentivarli a restare a lavorare a mezzadria e a curarne l’alimentazione per combattere la pellagra, la malattia dei poveri del tempo nel nord Italia, facendosi benvolere e ammirare.
Curò le piante da frutto, soprattutto di agrumi, abbandonate da tempo: Le ”orangerie” erano state famose nel ‘700 e davano ottimi profitti, si dedicò perfino ai bachi da seta oltre che alle normali colture di grano e mais.

Evelyn van Millingen:

Si impegnarono molto, tanto che Almorò riuscì a pagare i debiti familiari ed Evelina si innamorò perdutamente di questa terra, piatta, malsana, con un clima umido per la presenza di tanti corsi d’acqua con relative zanzare e malaria, calda d’estate e fredda e nebbiosa d’inverno.

“Chi ha terra, ha guerra” amava ripetere Evelina, perché ogni giorno c’era da combattere

La Vescovana cominciava pian piano a tornare al vecchio splendore, eliminata l’edera che la ricopriva, ripuliti gli affreschi, arredata a nuovo, venne eliminato lo scalone esterno che portava al piano nobile per sostituirlo con una grande terrazza di gusto più ottocentesco e il giardino, lasciato incolto per tanti anni, cominciò a rifiorire.

Almorò:

Evelina ci si dedicò personalmente. Dopo aver tentato di farne un giardino all’inglese con prati verdi che non volevano saperne di attecchire, lo trasformò in un giardino all’italiana con qualche tocco inglese. Il giardino era chiamato “Crispijn de Passe”, dal nome del botanico olandese Crispijn van de Passe e la sua monografia sui tulipani. Evelina ordinò migliaia di bulbi di tulipani dall’Olanda e li piantò in tutto il giardino, dove si ambientarono perfettamente. Tuttora la villa è visitatissima in epoca di fioritura dei 60000 tulipani presenti nell’evento ”I bulbi di Evelina”. Si inventò anche un angolo che chiamava ”Mockery” (Scherzo) piantando piante e fiori alpini in quella landa piatta, aggiunse poi alberi non autoctoni e anche un tocco di oriente con statue di pavoni fra le piante. Ribattezzò la tenuta Gromboolia, “il regno dove tutto è possibile perché ogni visione può diventare realtà” dal romanzo di Edward Lear.

Evelyn van Millingen:

Ora che tutto era presentabile cominciarono ad arrivare gli ospiti e il salotto della Vescovana divenne famoso fra gli anglo-americani in Italia. Lo scrittore americano Henry James fu affascinato da questa donna semplice ed energica, colta e gentile, e fu sempre un suo grande ammiratore. Furono suoi ospiti anche teste coronate, ma lei prediligeva le cene tranquille con scrittori e poeti, come Robert Browning, Constance Fenimore Woolson, John Addington Symonds con la figlia Margaret, che divenne sua amica e le fece frequenti visite fra il 1888 e il 1892, e scrisse ”Days spent on a Doge’s Farm” (nella traduzione italiana si intitola ”La contessa Pisani”), il diario dei giorni passati alla Vescovana dove descrive Evelina, la sua vita e l’atmosfera aristocratica ma informale della villa.

Evelyn van Millingen:

Purtroppo Almorò non riuscì a vedere completato il miracolo operato dalla moglie, alla quale fu legatissimo per tutta la vita, arrivato al massimo splendore nell’ultimo decennio dell’800.

Morì di cancro il 17 luglio 1880 a 65 anni.

Evelina, restata sola, non mollò, continuò con tenacia a condurre l’azienda agricola, ora importantissima e florida grazie anche all’avvento dei macchinari agricoli, arrivati dall’Inghilterra per facilitare il lavoro e accrescere la produzione. Lei che era nata in ambiente cittadino si era completamente fusa con la natura e non volle mai lasciare quella che era diventata la sua terra.

Villa-pisani-bolognesi-scalabrin. Fotografia di Roberto Bianconi condivisa con licenza Creative Commons via Wikipedia:

Evelina morì il 19 giugno 1902, è sepolta insieme al marito nella cappella fatta erigere da Almorò nel 1860 nel parco della Vescovana.

La leggenda vuole che il 30 di settembre di ogni anno la contessa Evelina appaia fra i fiori del suo giardino

Non avendo avuto figli, con Almorò ed Evelina si estinguevano i Pisani Santo Stefano, la proprietà passava quindi al pronipote Marchese Carlo Guido Bentivoglio d’Aragona e poi alla figlia Contessa Elisabetta Nani Mocenigo. Nel 1969, dopo anni di abbandono, la villa venne venduta agli attuali proprietari Mario e Mariella Bolognesi-Scalabrin, che hanno restaurato e trasformato la villa Pisani-Bolognesi-Scalabrin in un Bed & Breakfast e luogo per eventi.


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