Un’oasi in mezzo al vasto deserto del Karakum era certo un’opportunità da sfruttare: già nel 3000 aC. ci furono i primi insediamenti umani in quella che sarebbe diventata un’importantissima città dell’Asia centrale, nell’attuale Turkmenistan:
La popolosa Merv
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Certo, il clima non è quello ideale, ma indubbiamente molto migliore di quello del deserto circostante: il vento alza grandi nuvole di polvere, e il sole di mezzogiorno è veramente caldo; talvolta in inverno l’oasi viene imbiancata dalla neve, che non dura mai più di un giorno.
Sotto, il Mausoleo del Sultano Sanjar. Fotografia di Hergit condivisa con licenza Creative Commons via Flickr:
Anche se queste non si possono considerare condizioni ideali, qui sorse e prosperò una delle più grandi città scomparse del mondo, che conobbe il suo periodo di maggior splendore nel 12° secolo, perché si trovava proprio sulle rotte commerciali della Via della Seta.
In quell’epoca Merv era la più grande città del mondo, con una popolazione che oltrepassava il mezzo milione di abitanti, una delle capitali del sultanato selgiuchide, che dall’Asia centrale arrivava fino al Mediterraneo.
Diversi decenni dopo, la città fu rasa al suolo dall’esercito del figlio di Gengis Khan, Toloui, durante una raccapricciante occupazione che, secondo i racconti dei contemporanei, fece oltre 700.000 morti.
Ma quando Merv era chiamata la “madre del mondo”, chiunque arrivasse non poteva che rimanere sbalordito: attraversata da ponti e canali, ricca di giardini e frutteti, la città medioevale era un miraggio reale nella desolazione del deserto.
Le sue strade strette e tortuose erano affollate di case che si appoggiavano a grandi costruzioni pubbliche, come moschee, scuole, biblioteche e ḥammām. Un grande mercato si estendeva fuori dalle mura di Merv, con merci che provenivano da Iran, Iraq, india e Cina occidentale. La città accoglieva i mercanti in un grande caravanserraglio, dove riposavano uomini e animali.
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La vita nell’oasi dipendeva dalle acque del fiume Murghab, che dalle montagne dell’Afganistan scorre fino al deserto, perdendosi in un delta paludoso. Nel corso dei secoli, gli abitanti di Merv costruirono, e mantennero, una serie di dighe e una rete di canali ed invasi che garantivano acqua alla città. Diecimila operai lavoravano al complesso sistema idrico di Merv, per mantenerlo sempre pulito ed efficiente.
Ma oltre ad essere famosa per i preziosi tessuti che si producevano – seta e cotone di qualità superiore – e per la ricchezza che il commercio le garantiva, Merv era nota come città della cultura, dove vissero poeti, matematici, astronomi, medici, musicisti. Anche l’erudito Umar Khayamm trascorse qui diversi anni, lavorando nell’osservatorio astronomico.
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Anche se nel corso della sua lunga storia, Merv era passata attraverso dominazioni diverse, mai nessuna conquista era stata così devastante come quella dei mongoli, che nel 1221 espugnarono la città dopo un assedio durato sei giorni. Fu uno dei massacri peggiori di quel secolo: furono risparmiati solo quattrocento artigiani, tutto il resto della popolazione, compresi donne e bambini, fu sterminata. Secondo lo storico persiano al-Joveyni “ne vennero uccisi così tanti che al crepuscolo le montagne sembravano colline, e le pianure erano inzuppate di sangue”.
Il bilancio delle vittime, circa 700.000 secondo le stime dell’epoca, forse è esagerato, ma Merv non tornò mai agli antichi splendori, anche perché i Mongoli distrussero la diga sul fiume Murghab, linfa vitale della città.
Nel 1888, quando George Curzon – futuro viceré dell’India – visitò il luogo, vide solo desolazione: “Molto decrepite e dolenti appaiono quelle mura che sembrano uno spreco di argilla essiccata al sole, questi archi spezzati e le torri traballanti; ma c’è magnificenza nella loro stessa estensione, e una voce nello squallore doloroso della loro rovina.”
Oggi, l’antica città di Merv è patrimonio mondiale dell’UNESCO