La Chiave: Simbolo dell’indipendenza della Donna Vichinga

All’interno di numerose sepolture di donne, durante alcuni scavi archeologici del XX secolo, sono state trovate un grande numero di chiavi ornate di epoca vichinga, databili in un periodo compreso fra l’800 e il 1066. Le chiavi di bronzo, realizzate secondo intricati disegni e testimoni di grande abilità artigianale, erano uno status symbol delle donne vichinghe e piccole opere d’arte da indossare in una cintura stretta alla vita.

La chiave della fattoria Heggum è lunga 9,5 centimetri, decorata con figure animali intrecciate. Venne trovata in un tumulo, e probabilmente appartenne a una matrona di grande potere. Il giorno del suo matrimonio le venne consegnata la chiave delle porte della fattoria e dei forzieri, simbolo concreto della propria posizione di indipendenza.

Doveri delle donne

Nonostante sia facile immaginare i vichinghi come spietati maschilisti, in realtà la società norrena tutelava in modo singolare l’indipendenza e la libertà della donna. Essa era responsabile di tutto ciò che accadeva dentro casa, ma non solo. Le donne lavoravano la lana, essiccavano il pesce e la carne, filavano e cucivano, pulivano l’interno e l’esterno delle abitazioni e accudivano i figli. Probabilmente, ma riguardo a questo non vi sono fonti scritte, si occupavano anche della cura degli anziani.

In una società prevalentemente contadina come quella Vichinga, la donna svolgeva anche lavori pesanti come il trasporto dell’acqua e la raccolta dei frutti della terra, ed era lei a preparare le misture di erbe per la cura dei malati.

Durante le frequenti battute di caccia degli uomini, oppure in un periodo in cui l’uomo era fuori per una razzia all’estero, la moglie diventava l’unica responsabile della fattoria, compresa la cura e lo sfruttamento degli schiavi.

Sotto, Chiave vichinga trovata nella sepoltura di Ellesø Skovsø:

Diritto al divorzio

La donna era quindi responsabile del corretto funzionamento dell’ambiente familiare, un lavoro durissimo esacerbato dalle fredde terre in cui erano stanziali le popolazioni nordiche. Tanto lavoro dava accesso anche a diversi diritti, che non trovano eguali nelle società cristiane dell’epoca. La donna vichinga aveva ad esempio diritto al divorzio dal marito, e le saghe islandesi descrivono una vasta gamma di leggi che testimoniano un sistema legislativo discretamente avanzato.

Sotto, Figura d’argento di una donna, forse la dea Frigg o Freya, trovata nel lago Tissø, in Danimarca. (Foto: Museo Nazionale della Danimarca):

La donna poteva chiedere il divorzio se il marito si fosse stabilito in un nuovo paese, oppure se non avesse avuto rapporti sessuali con lei per più di tre anni. Le cause più comuni di divorzio erano quelle economiche, oppure di violenza. Le donne potevano separarsi se l’uomo non riusciva a sostentare la famiglia, e ciò accadeva con una certa frequenza. Il divorzio era concesso dalla comunità (naturalmente non c’erano tribunali, o avvocati) nel caso in cui l’uomo avesse picchiato la donna per tre volte.

Per eseguire l’atto di divorzio la donna convocava dei testimoni e si proclamava divorziata, prima davanti alla porta di casa e poi davanti al letto della coppia

I bambini piccoli rimanevano con le madri, mentre quelli già grandi (in età adolescenziale e autonomi) venivano divisi fra gli ex-coniugi. Nonostante non siano rimasti registri scritti riguardo i tassi di divorzio delle coppie vichinghe, la stessa esistenza di questo diritto, unito a quello della proprietà privata e all’eredità, testimonia una notevole considerazione delle donne, che potevano anche essere guerriere, come recentemente dimostrato dagli studi sul guerriero di Birka. In seguito, i diritti delle donne vichinghe decaddero con la cristianizzazione delle popolazioni nordiche.

Fonte immagini archeologiche: Nationalmuseet i København

Matteo Rubboli

Sono un editore specializzato nella diffusione della cultura in formato digitale, fondatore di Vanilla Magazine. Non porto la cravatta o capi firmati, e tengo i capelli corti per non doverli pettinare. Non è colpa mia, mi hanno disegnato così...