Il XVIII secolo, nella Storia dell’Impero Russo, è rimasto un periodo molto particolare, perché dominato in gran parte da figure femminili: la zarina Caterina I regna dal 1725 al 1727, la zarina Anna I dal 1730 al 1740, la zarina Elisabetta dal 1741 al 1762, la zarina Caterina II dal 1762 al 1796. Sessantasette anni complessivamente.
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Lo scrittore franco-russo Henry Troyat ha dedicato un agile e appassionante saggio divulgativo (“Zarine”) alle vicende personali di queste donne, che rappresentano figure estremamente suggestive da qualunque punto di vista. Tra intrighi, scandali, congiure, delitti e quant’altro si possa immaginare alla corte di una nazione immensa e particolarmente instabile politicamente, sul tema non ci si può limitare a scrivere un solo articolo, non ne basterebbero cento.
Sotto, la copertina del libro disponibile su Amazon:
Bisogna quindi limitare la scelta a un solo episodio che appaia significativo più di qualunque altro della mentalità del tempo e delle circostanze in cui si muovevano le diverse persone. E questo singolo episodio non lo ricaviamo dal pur ottimo Troyat ma da un altro bellissimo libro, opera della studiosa e insigne traduttrice Serena Vitale, intitolato “La casa di ghiaccio”, in cui espone “venti piccole storie russe” tratte dalle cronache nel periodo tra il XVIII e il XIX secolo, evidentemente il più ricco di vicende indimenticabili.
Sotto, la copertina de “La casa di ghiaccio”, disponibile su Amazon:
Non si deve dimenticare che la Russia zarista era, a tutti gli effetti, un regime totalitario né più né meno di quello che sarebbe stata successivamente l’Unione Sovietica. La piramide sociale era strutturata in modo rigidissimo. I contadini (detti “anime”) erano ancora considerati proprietà dei latifondisti e non potevano allontanarsi volontariamente dal loro villaggio, ma potevano essere venduti da un proprietario all’altro (in queste occasioni, potevano verificarsi delle truffe come quella che viene perpetrata da Pavel Cicikov in “Le anime morte” di Nikolaj Gogol, romanzo che nel 1842 segna un momento fondamentale nella straordinaria stagione della narrativa russa ottocentesca: Cicikov compra da altri proprietari dei contadini morti, tra un censimento e un altro, per poterli ipotecare e avere così in prestito i soldi che gli servono per fare la bella vita). Il servaggio della gleba, che nel resto dell’Europa aveva avuto termine insieme al Medioevo, in Russia, sarà abolito solo nel 1862 e solo a costo di un indennizzo che i contadini stessi dovranno pagare ai loro ex proprietari per emanciparsi.
Gran parte del territorio coltivabile o utilizzabile a qualsiasi titolo era dunque suddiviso in latifondi appartenenti ai “boiari” (o boiardi), ossia famiglie aristocratiche che spesso avevano espresso importanti ministri e consiglieri degli zar, e altrettanto spesso ordito complotti contro gli zar stessi, finché l’imperatore Ivan IV, non a caso conosciuto come “il Terribile”, in carica dal 1547 al 1584, dopo una lunga e sanguinosa lotta contro di essi, ne aveva limitato enormemente il potere a corte.
Nemmeno la modernizzazione forzata della Russia imposta dallo zar Pietro I, detto “il Grande”, in carica dal 1682 al 1725, aveva cambiato molto la situazione. Anzi, l’aveva peggiorata, perché i boiari erano espressamente ostili a ogni provvedimento che limitasse i loro privilegi, perciò erano diventati ancora più nemici del potere zarista.
Sotto, ritratto di Pietro il Grande:
Pietro il Grande era più influenzato dalla cultura europea di Ivan il Terribile, ma restava sempre un sovrano autocratico convinto di detenere il potere di vita e di morte nei riguardi dei suoi sudditi. Poiché il figlio ed erede Alessio si rifiutava di obbedirgli, gli chiedeva di essere esonerato dalla successione e se n’era andato all’estero per vivere tranquillo insieme alla donna non nobile che amava, Pietro lo convinse a tornare a casa con false rassicurazioni e poi, nel 1718, lo fece frustare a morte dopo avergli estorto con la tortura la falsa confessione di un complotto.
La madre di Alessio, Eudossia, già precedentemente ripudiata, fu chiusa prigioniera in un convento; gli amici del principe finirono quasi tutti squartati o impalati
A Pietro I succedette la seconda moglie, Caterina I: alla morte di questa, un comitato di reggenti capeggiato dal principe Dolgorukov (uno dei famosi boiari) avrebbe dovuto guidare il figlio di Alessio, Pietro II, fino alla maggiore età. Ma il Destino aveva deciso diversamente, e Pietro II, come la sua sorella maggiore Natasha, non avrebbe superato l’adolescenza. Morì infatti di vaiolo nel 1730, a quindici anni.
Caterina I di Russia, dipinto di Jean-Marc Nattier:
Le parenti più prossime di Pietro I e dunque più legittimate a sedere sul trono erano le figlie del fratello di Pietro il Grande, Michele, per quattro anni associato a Pietro sul trono, ma di fatto ininfluente perché mentalmente e fisicamente tarato, cosa che peraltro non gli aveva impedito di sposarsi e di avere cinque figlie. Due di esse però erano già morte nel 1730 e altre due non sembravano stare molto bene, nonostante l’età ancora giovane (sarebbero infatti morte entro i tre anni successivi). L’unica in buona salute era la vedova del Duca di Curlandia, Anna, che per la gioia dei boiari sembrava anche la più facilmente manipolabile. Fu quindi naturale che la corona fosse offerta a lei.
Ma i boiari avevano fatto male i conti, perché Anna, appena salita al trono, riprese a combattere la loro influenza ancora più di quanto avessero fatto i suoi predecessori, allontanandoli dai posti di governo e ripristinando la polizia segreta per tenerli sotto controllo. Si circondò di collaboratori provenienti dai Paesi baltici in cui aveva vissuto fino ad allora, in particolare affidandosi al suo amante, il lettone di origine tedesca Ernst Johann Biron, un uomo dal pugno di ferro. Il suo regno rappresentò un periodo particolarmente duro per i boiari.
L’imperatrice Anna era una donna piuttosto ignorante, di gusti rozzi, incattivita dagli anni in cui, dopo la morte del marito nel 1711, i parenti regnanti l’avevano lasciata a vivere quasi nella miseria. Sembra che odiasse o disprezzasse un po’ tutti, esclusi i suoi fidati collaboratori baltici. Come vessava i boiari, vessava anche il popolo minuto, perché temeva che potesse ribellarsi. Mangiava in modo spropositato e, nonostante un’incredibile robustezza fisica, che le permetteva di sottoporsi a sforzi che avrebbero sfiancato molti uomini (era un’infaticabile cacciatrice), nel tempo sarebbe diventata obesa e si sarebbe ammalata di una insufficienza renale che dopo qualche anno l’avrebbe portata a morte a soli quarantasette anni.
La zarina Anna I di Russia in un ritratto di Louis Caravaque:
Quando non poteva fare strage di fagiani, cinghiali, cervi e lepri, preferiva passare il suo tempo circondata da dame di compagnia più ignoranti di lei che le raccontavano pettegolezzi sulla vita privata dei boiari, e buffoni che per divertirla dovevano azzuffarsi tra loro fino a farsi male sul serio. Nel 1733, per fare dispetto a una delle famiglie più influenti del Paese, i Golicyn, Anna aveva assunto come buffone anche un loro parente, Michail, che si era messo nei guai sposando una straniera (italiana) e abiurando la religione ortodossa per quella cattolica: due cose, nella Russia del tempo, vietatissime senza l’esplicito permesso degli zar, che peraltro non lo concedevano quasi mai.
La famiglia, per difenderlo e risparmiargli chissà quale atroce supplizio, aveva scelto la via che oggi si chiamerebbe dell’infermità mentale, facendolo passare per scemo. Ma, poiché Anna aveva una vera passione per gli scemi, che trovava divertentissimi, appena lo conobbe, lo volle subito a corte come buffone.
Giochi tra cortigiani alla corte di Anna I di Russia (dipinto del 1872 ad opera di Valery Jacobi):
Michail Golicyn, a giudicare da quanto è rimasto di lui, doveva essere un uomo piuttosto sprovveduto, ma certamente scemo non era. Aveva studiato alla Sorbona in Francia, aveva svolto una dignitosa carriera militare e si era lasciato andare solo a quarant’anni, probabilmente perché sconvolto dalla morte della prima moglie. Con le mogli, poi, era particolarmente sfortunato, perché intanto gli era morta pure la seconda, quella italiana per cui si era messo nei guai.
Con il nome d’arte di Kvasnik, Michail Golicyn fece il buffone di corte per sette anni, sopportando che tutti lo prendessero in giro e gli tirassero addosso, per divertirsi, bicchierate intere di Kvas, una specie di birra molto leggera che si consuma da secoli nell’Est europeo e che lui aveva il compito di servire a tavola durante i pranzi e le cene ufficiali.
Anna aveva una serva calmucca (un popolo della Russia orientale, molto simile ai mongoli) di nome Avdotja Ivanovna, che era considerata la donna più brutta di tutta la Russia. Un giorno, nel 1739, Avdotja si lamentò con la zarina di non aver mai conosciuto l’amore di un uomo, che era il suo più grande desiderio. Il giorno successivo, la zarina fece chiamare Michail Golicyn e gli ordinò di sposare Avdotja. Michail non batté ciglio e accettò, anche perché non aveva alternative.
Sembra che Avdotja, in realtà, non fosse nemmeno così brutta come è stato tramandato. Sembra invece che fosse soprattutto molto sporca e trasandata (come quasi tutti quelli di origine popolare, del resto) e che, una volta ripulita attraverso una serie di bagni e saune, si capì che, tutto sommato, Michail Golicyn non ci aveva fatto un pessimo affare.
Ma la zarina voleva trasformare quel matrimonio in un evento capace di farla divertire un mondo, e ordinò, approfittando dell’inverno incredibilmente rigido di quell’anno, di costruire una casa di ghiaccio perché la nuova coppia vi abitasse nei primi tempi del matrimonio.
Gli artigiani e gli artisti chiamati dalla zarina a compiere l’opera non si risparmiarono. Alla fine, la casa, posta sulle rive della Neva (a quel tempo la capitale era San Pietroburgo), risultò immensa e, a modo suo, splendida, tutta di ghiaccio azzurro o grigio a seconda del colore del cielo. Dietro un muro di cinta di ghiaccio, c’era un giardino di ghiaccio, pieno di alberi di ghiaccio popolati da uccelli di ghiaccio. Ai lati del cancello c’erano due delfini di ghiaccio che cacciavano, dalla bocca, zampilli d’acqua di giorno e lingue di fuoco di notte.
Di lato alla casa, c’erano due dépendances piramidali di ghiaccio, e il giardino non mancava di personale di servizio, compresi giardinieri e palafrenieri di ghiaccio, con un elefante di ghiaccio che poteva barrire se nel suo interno entrava un uomo e suonava la tromba. Nell’interno, la casa aveva due stanze le cui finestre, cinque per stanza, erano coperte con stampe oscene. Nella stanza da letto, c’era un camino di ghiaccio in cui ardevano ciocchi di ghiaccio spalmati di petrolio e, di fronte, un letto a baldacchino, pure questo di ghiaccio. L’altra stanza, perfettamente arredata (in mobili di ghiaccio) era una camera da pranzo. Non mancava neanche una sauna, ovviamente in ghiaccio.
I due sposi, dopo la cerimonia, celebrata il 6 febbraio 1740, furono accompagnati alla loro alcova e messi a letto. La zarina fece disporre delle guardie intorno alla casa di ghiaccio, per impedire che la coppia se ne andasse di nascosto: non voleva perdersi nulla del divertimento.
Contrariamente alle previsioni, quando se ne andarono, all’alba, Michail e Avdotja stavano benissimo. Nove mesi dopo, la donna partorì anche un figlio, Aleksej. Più tardi ebbero anche un altro figlio, Andrej. Sembra che nel complesso il matrimonio sia stato molto felice, specie dopo che la zarina morì e i due furono liberi di trasferirsi a Mosca. Purtroppo dopo qualche anno Avdotja morì a sua volta e successivamente Michail si sposò per la quarta volta, con una donna molto più giovane, che gli diede altre tre figlie. Morì nel 1778, a novant’anni.
La casa di ghiaccio cominciò a sciogliersi già un mese dopo il matrimonio, in marzo. Quando, in ottobre, una colica renale mandò la zarina all’altro mondo, non ne rimaneva che il ricordo.