La Bistecca Tartara: Sanguinosa eredità degli Antichi Mongoli

Sin da piccolo sono stato incuriosito dalla bistecca tartara che, essendo tutta carne cruda, evocava in me un tocco di esotismo. Ne sentii parlare per la prima volta da mio nonno che lavorava nell’Est Europa, e poi anche dai miei genitori. Le opinioni erano positive ma, come si dice, “provare per credere”. Un giorno l’avrei provata.

Sotto, una bistecca Tartara Moderna:

Ma quando nacque questo piatto?

Le origini affondano nella storia dei conquistatori Mongoli di Gengis Khan, assoluti dominatori dell’Eurasia per quasi un secolo. Innanzitutto l’aggettivo tartaro è sinonimo di mongolo. Vi sono svariate ipotesi per cui parliamo di Tartari. Una proverrebbe dalle grida di terrore “ta-tar-ta-tar” della gente attaccata dai Mongoli, per via del tambureggiante suono delle migliaia di zoccoli di cavallo sul terreno. Un’altra dalla parola latina Tartarus che significava l’angolo più oscuro dell’Oltretomba, rilevando in questi predatori demoniache creature fuoriuscite dall’Inferno.

Questo modo di trattare la carne deriva dalla strategia-tattica di guerra che portò i Mongoli a creare un Impero che si estendeva dalla Polonia alla Cina. Strategicamente, confidavano sull’incredibile velocità di armate composte soltanto da cavalieri, molto più celeri degli eserciti avversari rallentati dalla fanteria. Tatticamente – simile al combattere dei Parti persiani che annientarono il potente esercito romano guidato da Crasso nella battaglia di Carre del 53 a.C.– si scagliavano sul nemico con nuvole di frecce, si ritiravano, riattaccavano, fingevano di nuovo di ripiegare e infine, con un avversario spossato da continue corse e controcorse e assottigliato nei numeri, scendevano da cavallo e concludevano il lavoro con la spada.

Era “la Danza dei Tartari”

In sostanza il Cavallo era l’arma segreta di questi minuti soldati (essendo molto piccoli di statura al pari dei loro cavalli). Sin da bambini, infatti, erano addestrati a stare a dorso di cavallo e persino a dormire nella scomodissima posizione a cavalcioni.

E, per quanto riguarda la nostra bistecca tartara, se non erano i cavalli a cucinarla… poco ci manca

I cavalieri mongoli, dovendo percorrere lunghissime distanze, escogitarono un modo molto originale per conservare la carne che, diversamente, sarebbe andata a male. Prima di partire, tagliavano lunghe strisce di carne, in particolar modo di cavallo, e le sistemavano tra il suo dorso e la sella. L’incessante sobbalzare, il caldo e il sudore salato dell’animale, il tutto per ore di fila, facevano marinare e ammorbidire la carne, evitando la sua putrefazione. Da cruda poteva essere mangiata alla bisogna con l’aggiunta di bacche selvatiche e spezie, che non servivano tanto per insaporire la carne quanto piuttosto per mascherare il “fortissimo” odore. Era un cibarsi per cui non c’era necessità di accendere fuochi che avrebbero richiesto legna in zone brulle e, soprattutto, comportato il rischio di rendersi localizzabili dal nemico.

Sotto, guerriero mongolo:

In pratica la bistecca tartara è stato il mangiare più adeguato per armate in movimento, avendo ogni possibile vantaggio. Senza dubbio adatto a gente abituata a una vita durissima, con uno stomaco che, a dire di ferro, sarebbe un eufemismo. A noi uomini moderni probabilmente ci verrebbe un brivido nella schiena nel degustare una carne marinata in tal modo… Una situazione simile ai famosi Spartani che vantavano un piatto guerriero a nome brodo nero (a base di maiale affogato in vino e sangue) che suscitava estremo disgusto negli altri greci.

Col passare dei secoli la bistecca tartara si è raffinata, conformandosi nella preparazione alla raffinatezza dei nostri palati, ed è perciò possibile gustarla in molti stati dell’Est Europa. Personalmente, nell’estate del 2014, la ordinai nel centro di Sibiu – graziosa città romena in stile mitteleuropeo – e la trovai gradevole. Era carne cruda tritata, mischiata a peperoni e altre spezie. Buonissima, anche se soltanto un lontano ricordo dell’originale bistecca tartara dei coriacei mongoli.

Sotto, la ricetta della moderna Tartara, una lontanissima e discendente dell’originale:


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