Il centro storico di Imola custodisce un piccolo gioiello architettonico che si chiama Palazzo Tozzoni. Questa dimora settecentesca, tutt’ora arredata con mobili e utensili originali, permette ai visitatori di immergersi in un’epoca ormai perduta, tra tende cremisi, sfolgoranti sale barocche e severe stanze neoclassiche. Queste ultime, in particolare, hanno fatto da sfondo a una storia d’amore sfortunata, il cui tragico esito ci ha lasciato una reliquia molto particolare.
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Sotto, il Salotto Giallo di Palazzo Tozzoni, fotografia di Sailko condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikimedia:
La vicenda, svoltasi nella prima metà dell’Ottocento, ebbe per protagonista il conte Giorgio Barbato Tozzoni. Discendente di un’antica famiglia di origine toscana, nacque nel 1781 e dedicò la propria giovinezza alle imprese militari.
Dopo una brillante carriera al servizio di Napoleone, il conte decise di ritirarsi e di prendere moglie; aveva ormai quarant’anni e sentiva il bisogno di procurarsi una discendenza.
Dopo aver esaminato varie candidate, rimase colpito da una fanciulla della vicina Faenza. Si chiamava Orsola e apparteneva all’aristocratica famiglia Bandini. I folti capelli bruni, la figura snella e il dolce viso della ragazza incantarono il Tozzoni, che si affrettò a chiederla in sposa.
Le nozze si svolsero nel 1819 e i due coniugi si stabilirono nell’ala est di Palazzo Tozzoni, dopo averla arricchita con nuovi ambienti in stile neoclassico. La fredda eleganza del loro “appartamento impero”, che all’epoca era di gran moda, emanava però una funerea malinconia, quasi un presagio degli avvenimenti successivi.
Sotto, la camera da letto “impero” di Palazzo Tozzoni, fotografia di Sailko condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikimedia:
Per compiacere la giovane moglie, Giorgio le offrì una vita lussuosa, scandita da feste e viaggi. Il primo anno trascorse nella felicità più assoluta e fu allietato dai sintomi di una prima gravidanza. Purtroppo, nell’inverno del 1820, l’incantesimo si spezzò. Orsola, incinta di pochi mesi, partecipò col marito a un’affollata festa di carnevale.
La ressa, le danze incessanti e la confusione provocarono un malore alla nobildonna, che perse il bambino
La contessa macerò nel dolore per mesi, nutrendo anche un certo risentimento verso il marito, colpevole – a suo dire – di averla condotta a quel tragico carnevale. Il tempo mitigó la sofferenza dei coniugi e portò la consolazione di un altro figlio. Il piccolo Alessandro nacque sano e forte, ripulendo il cuore di Orsola da ogni amarezza. I gridolini e i balbettii del piccino portarono una ventata di vita nel palazzo. Sua madre, con gli occhi brillanti di gioia e un ritrovato sorriso, si era fatta perfino più bella.
Sotto, il Salotto del Papa a Palazzo Tozzoni. Fotografia di Sailko condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikimedia:
Purtroppo, quando Alessandro aveva appena due anni, si ammalò all’improvviso. A nulla valsero le cure dei medici e dei genitori: nel giro di pochi giorni, il loro Sandrino morí.
Avvelenato dalla balia, sussurrarono alcuni; ucciso da una malattia misteriosa, forse dal malocchio, dissero altri
In ogni caso, il bambino non c’era più. Il suo corpo caldo e paffuto fu rimpiazzato da una gelida scultura commemorativa: ancor oggi, sotto gli occhi indifferenti dei turisti, il piccolo Alessandro dorme un eterno sonno di marmo, nelle stesse stanze che lo videro vivo e sgambettante.
Sotto, Cortile di Palazzo Tozzoni, fotografia di Sailko condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikimedia:
Orsola ne fu devastata. L’antico risentimento verso il marito, che non si era mai sopito del tutto, si trasformò in aperta avversione. Dimagrita e depressa, l’infelice contessa si chiuse in una corazza di malinconia e apatia, struggendosi nel ricordo del figlio morto. Giorgio Tozzoni, nonostante tutto, rimase perdutamente innamorato della moglie.
Ne sopportò il carattere difficile, la invitò a riprendere la vita di un tempo, cercò in tutti i modi di strapparla al male oscuro che la stava divorando. Fu tutto inutile: nel 1837 la morte tornò a Palazzo Tozzoni e prese proprio lei, la sua adorata Orsola, ancora nel fiore degli anni.
Giorgio Barbato rischiò di precipitare nella stessa depressione che aveva risucchiato sua moglie
Per salvarsi, si inventò una strana terapia: commissionò ai suoi migliori artisti la costruzione di un manichino, una bambola a grandezza naturale con le stesse fattezze della moglie. Il corpo fu rivestito dagli abiti della contessa defunta; il viso di gesso, accuratamente truccato, fu sormontato da un’elaborata parrucca.
I boccoli provenivano dai veri capelli di Orsola, recisi prima della sepoltura
Fotografia di Bolorsi condivisa con licenza Creative Commons via Wikimedia:
Per tutto il resto della sua vita, Giorgio Barbato Tozzoni visse con il manichino della moglie. Lo portava a tavola con sé, dormiva con lui, gli confidava i suoi pensieri e le sue pene. Anche quando sposò un’altra donna, che gli diede il sospirato erede, continuò a struggersi nel ricordo di Orsola e a dialogare con la sua effige.
Dopo la morte del conte, la bambola di Orsola fu relegata in un armadio degli archivi del palazzo, e rimase lì fino al nuovo millennio, dimenticata
Sotto, fotografia di Sailko condivisa con licenza CC BY-SA 4.0 via Wikimedia:
Oggi, dopo un lungo restauro, la bambola è uscita dall’armadio. E’ possibile ammirarla nella sala dell’archivio di famiglia, che si affaccia sul ballatoio del sontuoso scalone d’ingresso. Elegante e ben pettinata, sembra affacciarsi sulla soglia in punta di piedi, con il viso rivolto ai propri appartamenti.
Ha uno sguardo malinconico e assorto, come se stesse ancora ascoltando le confidenze di Giorgio Tozzoni. O come se attendesse, con premura di madre, un improvviso vagito del suo bambino di marmo, che dorme poche stanze più in là.
Fonti: Stehelene, Musei Civici Imola, Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali.